viernes, agosto 25, 2006

L'8 Settembre. Tornare in patria, ritrovare le proprie radici. Un po' come resuscitare. Lazzaro deve aver provato una forte delusione, quando Gesù gli ha ordinato di alzarsi e di camminare. Che casino. Che rabbia. Che indescrivibile fatica, tornare alla luce e rifare (magari) gli stessi percorsi, commettere gli stessi errori. L'8, tra poco. Roby si sposa (comunicato importante e di servizio per Alyssa: se mi mandi da solo, in qualità di testimone, ti tolgo il saluto e non ci gioco più, parlo sul serio). Mery sorride, mentre il cielo di Roma ci illumina d'immenso. Il sole della capitale, che scalda di più lì dove meno te l'aspetti. Camminare in periferia, con i pini che fanno da sfondo ai tuoi pensieri e una domanda ricorrente: ma quando la metti la testa a posto? Quando ti trovi un lavoro serio? E quando andate a convivere? Oh, ma tu e Alyssa, no dico, ma vi sposate? Cos'è immaturo oggiogiorno (oggigiorno, ma si scriverà così o non sarà un'altra delle mie solite sviste, giochi di prestigiditazione, illusioni o allucinazioni del linguaggio, che, sarà pure la casa dell'essere, come vuole quell'esistenzialista tedesco, ma com'è facile perdercisimitivi in questa cavolo di casa dell'essere - sei quello che dici, siamo la lingua che parliamo, dai, davero? Ma va là! Un mi par vero, maremmamaiala). E in più è il giorno del mio compleanno. 29 anni sono tanti (già scritto e detto e ridetto - anche a Roby e Mery, che formano la cosiddetta "bella coppia" proverbiale, anche quando litigano mi fanno tenerezza e invidia allo stesso tempo, mentre quando litigo io, con Alyssa, i cieli si annebbiano, cascano fulmini a ciel sereno e lei mi guarda come un cane bastonato e mi fa sentire una merda). L'8 Settembre; sarà una data da ricordare. Mentre quest'altro cielo scivola con una leggerezza impareggiabile. E la notte ricopre le cose e ci rende tutti un po' ubriachi (quanta birra e quanto vino, in questi giorni di esami - ma lo sanno anche i bambini, gli esami non finisco - mai).

miércoles, agosto 23, 2006


Questa foto proviene dal blog di Rosy http://magismagisque.splinder.com/.
È facile capire che siamo in un bar e che questo è effettivamente il bancone di un bar. "Bar" viene dall'inglese (come tante altre parole che usiamo, d'altronde, senza nemmeno rendercene conto) e, all'origine, indicava non ricordo più quale parte di una nave (ma la memoria associa il termine anche al Giudice che, in consiglio e in atto di emettere la sentenza, si erge dal "bar" per esporre la sua opinione davanti alla giuria popolare). L'immagine colpisce, oltre che per il colore (virato al seppia), per il modo in cui inquadra quanto entra a far parte della stessa. Dalla destra, una mano entra "in campo" (per dirla con linguaggio cinematografico) per afferrare un mini-bicchiere di chissà quale sostanza liquida (vino? Può darsi. Superalcolico? Potrebbe. Non è coca-cola, né aranciata, questo è sicuro). Pochi centimetri e c'imbattiamo nel primo degli unici due volti (umani) catturati dall'occhio (sempre poco) obiettivo dell'obiettivo della macchina fotografica. Si vede (intra? vede?) la nuca di un signore che, dal taglio dei capelli, potrebbe essere scambiato anche per una signora (attempata, bionda, piacente e dall'aria certamente divertita, non saprei dire se anche divertente, ma si nota, è facile notarlo, che sta godendo di questo momento di relax, davanti al bancone di un bar - mai davanti alla sbarra di una Corte di Giustizia - è difficile non lasciarsi andare ai sorrisi, ci si lascia dietro le preoccupazioni quotidiane e si pensa meno o si pensa meglio, cioè, si pensa solo a divertirsi e a godersela la vita, e quest'uomo - o questa donna? - sembra proprio sorridere per questo, perché si sta godendo un momento di vero e puro piacere e vero e sincero relax, sorseggiando il suo vino - o superalcolico, ma niente coca, non potrebbe essere coca-cola, basta guardare meglio per capire che, in bicchieri così piccoli, fatti di vetro, un prodotto così commerciale come la coca sfigurerebbe, siamo sinceri). Ma osserviamo meglio: in che direzione punta il suo sguardo divertito quest'uomo dai capelli lunghi (e lisci e semibiondi, ma la seppia, virata, inganna)? Verso chi o che cosa rivolge la sua attenzione in questo preciso istante? La prima risposta potrebbe essere quella che consiglierebbe la logica: verso il cameriere (non esistono banconi di bar che non presentino nel loro interno un camiere o "similia" - il padrone del locale, il buttafuori di turno, l'inserviente che pulisce il pavimento o il lavabo e i piatti e le tazzine), ma, ancora una volta, basterebbe fissare l'immagine e osservare con maggiore attenzione per immaginare una seconda ipotesi (anch'essa non totalmente slegata dalla logica e dal razioncinio di stampo sillogistico-aristotelico) e cioè, potremmo assicurare senza tema di smentite: verso l'altro individuo, quello che si vede lì in fondo, con uno strano cappello zebrato sulla testa. È, ripeto, la seconda persona di cui vediamo il volto (la terza, se sommiamo quella di cui intravediamo solo la mano nell'atto di afferare con decisione lo strano mini-bicchiere contenente l'ancora - per noi - enigmatico liquido scuro; la quarta se pensiamo che anche lui, come il tizio dai capelli lisci - e lunghi - sta guardando verso un eventuale, ipotetico cameriere - ma, ora che ci penso, potrebbero essere più di uno, i camerieri, rari i bar che vadano avanti solo con l'aiuto e la forza delle braccia di un unico cameriere o di un unico-tutto-fare barista, per bravo che questi possa essere). Di questa seconda figura umana, in realtà, non riusciamo a intuire l'espressione. È troppo distante dall'obiettivo per consentirci di formulare alcuna ipotesi, eppure... non può essere un tipo triste o depresso (o deprimente) uno che va in giro con un cappello così eccentrico, a dir il vero, forse, fin troppo eccentrico - rischia di passare per un pagliaccio, o per uno di quelli che, quando c'è una festa e l'occasione è quella giusta, vuol dare a tutti l'idea che lui sì, lui sì che si diverte e se la gode, se fossimo spinti a ipotizzare il grado di divertimento tra lui e il tizio con i capelli lisci, non avremmo dubbi nel dire che, a rigor di logica, quello che sembra godere del momento con più scaltrezza e senza infingimenti sia proprio il secondo e non il primo, un cappello troppo vistoso, vuol richiamare forzatamente l'attenzione su di sé e, insomma, per me quello in secondo piano non sta bevendo con la stessa allegria e la stessa calma placida e contenta di quello in primo piano (su quello di cui vediamo solo la mano, non azzarderei ipotesi alcuna). I tre rubinetti da cui fuorisce l'agognato liquore (o birra o acqua o superalcolico, ma in genere, da dispositivi del genere ci aspetteremmo sempre e solo birra alla spina, bella fresca) formano, invece, una casuale simmetria con le tre luci delle tre lamapade (o lampadari) che rischiarano la superficie del bancone e con la luce tocchiamo lo zenit della fotografia. Non solo essa ci permette di osservare un altro curioso dettaglio (sul bancone, appoggiata o subito dopo di esso, vediamo una specie di vetrina, contentente del cibo, senza dubbio, anche se non possiamo vedere di che cibo si tratti), ma ci permette di vedere sia il bancone stesso, che il tizio con il cappello eccentrico che il tipo allegro con i capelli lisci che il tipo anonimo e, per ora, senza volto, della mano che afferra il bicchiere. Insomma, che una delle prime frasi della Bibbia sia "Sia fatta luce e luce fu" non deve essere stato un caso, anzi, tutto il contrario, essendo la luce stessa il fondamento dell'apparire di tutte le cose che sono, che sono state e che potrebbero continuare a starci, almeno fino a quando ci sarà un obiettivo che, in modo del tutto arbitrario e (perciò) molto poco obiettivo, s'ingegnerà nel carpire una porzione di realtà, per offrircela in tutta la sua ambiguità e complessità.
P.S.: Rosy quella sera si rammaricava di non aver portato con sé la macchinetta fotografica. Per fortuna che ci aveva pensato qualcun'altro...

lunes, agosto 14, 2006

Dimmelo cos'è che ti piace di più di me,
anch'io ho segreti da raccontarti e sappi che
non serve a niente nascondersi dietro a quel paio d'occhiali
che porti anche quando è inverno e fa un freddo da lupi.
Se avessi sempre voglia di camminare insieme a me
in riva al mare, in cima, sulle montagne abbruzzesi
che sono così piene di sorprese,
sarebbe una storia senza finale, quello lo potremmo scrivere
insieme, faccia a faccia, seduti qua, davanti al camino
delle rose di maggio, davanti a un tramonto che sembra
annunciare l'apocalisse.
Dimmelo se vuoi venire con me fino a perdere il fiato,
sai che non mi freno davanti alle salite,
se solo me lo dicessi e se solo lo volessi,
quante strade ancora da percorrere, quanti cocktail
da bere, mentre il pianobar ci culla di notte sotto il cielo,
perchè, mi domando e ti chiedo, perchè
non abbiamo mai il coraggio delle domande più importanti?
mentre la musica ci fa dondolare, braccio dietro la vita,
mano nella mano, in sottofondo l'estate di Rimini e la tenda
da disfare, mentre leggi un romanzo d'amore che mi fa venire
da ridere, sorridi, sorridi pure, perchè lo so,
sarà banale, ma sei più bella quando sorridi,
con quella faccia da bambina quella bocca da vampira.

viernes, agosto 11, 2006

Everyday life follies

Spesso camminare in pieno centro può riservare molte sorprese: un uomo dal vestito elegante contempla come in estasi un secchio dell'immondizia. Lo osserva attentamente, sembra voglia infilarcisi dentro, chissà se è un finto ricco (e un vero povero), penso, un barbone che ha appena rubato un completo di Valentino a qualche ricco vero (o finto povero), mi chiedo: e se ha fame e non aspetta altro che il momento giusto - quando nessuno lo guarda - per acciuffare qualche rimasuglio, i resti di cibo dei vicini negozi e supermercati e alimentari della zona?

Passano poche ore. Davanti al distribuitore di bibite e caffè della biblioteca. Mentre la mia collega e amica Sele mi accusa di dicotomia ("Come dici?", chiedo; "Sei dicotomico", mi spiega; "ho detto: dicotomico", poi consiglia: "Aggiungi un po' di grigio alla tua vita"), e mentre io provo a spostare l'attenzione su un altro argomento e a parlarle dell'influenza di Antonio Tabucchi su Enrique Vila-Matas (ricordo quando Alyssa si precipitò per me alla Feltrinelli di via dei Calzaiuoli per scattare una foto al folle scrittore di Barcellona e ci riuscì, anche se, mi confessò, si vergognò non poco quando Vila-Matas venne interrotto dal flash della macchinetta e la fissò come a dirle: "Ora mi da quella macchinetta o la uccido e non esce viva da questa libreria"), ecco che si presenta (meglio: autopresenta) un tipo mezzo calvo e sulla cinquantina che, ci dice, sta conducendo degli studi di psichiatria clinica. Ha gli occhi spiritati e sembra essere appena scappato da un centro di salute mentale. Sì, insomma, sembra un pazzo scappato dal manicomio. Sele, che è sempre gentile, non so la sente di mandarlo subito a quel paese, come si dice: i pazzi bisogna assecondarli. E lui: "E lei cosa studia?"; e lei: "Mi sto specializzando in letteratura italiana medievale, da Cecco Angiolieri in poi"; "Ha mai letto Freud?", no, non ci credo, ora va a finire che mi cita pure: "Psicopatologia della vita quotidiana, sì, quello dovrebbe leggerlo, glielo consiglio caldamente, anche se mi domando: è stato pubblicato prima questo titolo o il saggio sul Motto di spirito che tante somiglianze mostra con Psicopatologia della vita quotidiana?". Sele ammette di non ricordare quelle date. Il tizio sembra adirarsi. Poi ingurgita il caffè (o era un cappuccino?) d'un sol colpo e ci dice che è stato un piacere per lui conoscerci e che ora deve andare perchè lo aspettano alcuni "casi molto molto interessanti", aggiunge, con ghigno sottilmente (e perturbantemente) maligno...

A casa, alle 4,30 del mattino. L'insonnia è ormai un'abitudine. Eppure, a volte, mi sembra un regalo: quando si hanno più ore a disposizione di quelle previste per la giornata "normale" così come la vivono le persone "normali" si ha l'impressione di avere molto più tempo a disposizione, come se si potesse godere di alcune ore in più, supplementari, e così, a volte, ne ho approfittato (per vedere film, rileggere romanzi letti in gioventù, scrivere qualche racconto che, il mattino dopo, mi sembrerà prodotto della follia di un genio che si crede genio e invece è solo pazzo come gli altri), ma stasera no, non è una di quelle volte (non vedo film, non leggo niente, nemmeno scrivo, ho solo la testa in panne e sudo freddo nel letto che mi attanaglia mio malgrado) e all'improvviso lo sento: un vicino di casa che litiga costantemente coi suoi genitori, deve avere sui vent'anni o poco più, sbraita, "voi volete uccidermi, lo so, ma io non me ne vado, avete capito, io questa cazzo di casa di merda non la lascio, capito? Fanculo tu e fanculo tu, io a lavoro non ci vado, lo so io quando è ora, ti pare questa, eh, ti sembra questa l'ora per chiedermi di spegnere il cellulare? Ma quanto sei stronza, non lo vedi che sono le quattro di mattina, dimmi, chi cazzo chiamo alle quattro di mattina?", testuali parole.

Faccio una telefonata a casa. Invece di mia madre sento la voce sensuale di una sconosciuta. Mi chiede se ho bisogno di massaggi. Le dico che forse, evidentemente, ho sbagliato numero. Mi dice che no, che il numero è esatto; se ho voglia di massaggi, devo citofonare al 3 scala B, interno 14. 3-B-14. Lo appunto. Come per scaramanzia. Non ho mai giocato al lotto. Mai. Poi rifaccio il numero: "Ma, ho risofferto d'insonnia". Mi chiede se continuo a prendere il caffè dopo cena. "No, ma c'è un vicino di casa che non mi lascia dormire". Poi cade la linea, mentre iniziavo a sfogarmi. Bah.

miércoles, agosto 09, 2006

La scrittura sull'acqua. La traccia che si ferma solo per una frazione di secondi, per poi svanire per sempre. L'emozione che deve aver provato Gutenberg quando ha stampato la prima pagina. La vertigine di leggere quanto scritto da un altro, in un altro posto, da un'altra era, "other rooms, other voices", come recita il titolo di uno dei primi romanzi di Truman Capote. E poi: il successo di un'invenzione; la Bibbia letta da tutti; la Controriforma; Lutero e la Santa Inquisizione. Ascolto jazz, il deejay augura buon ascolto, ma parla sui dischi che mette e manda all'aria la prima tornata di bassi e di batterie. Ritorno sui miei passi. La scrittura, anche oggi, quando l'era digitale terrestre proietta immagini da ogni angolo del pianeta. Quando internet diffonde il sapere in modo (più) democratico (sarà poi tutto così, rose e fiori, o son solo fiori d'arancio?). Borges narra in non ricordo più quale racconto che Gesù scrisse solo una volta e lo fece sulla sabbia. Poi cancellò quanto voleva spiegare agli apostoli e nessuno ci ha più saputo dire cosa scrisse veramente quella volta. Se non potessi scrivere...quanti pensieri in meno, se si è privati della scrittura, quanti messaggi non detti, quanti dubbi non risolti, quante riflessioni non nate, così, spontaneamente, sulla scia dei ricordi, con l'aiuto dell'immaginazione, l'azione implacabile dell'oblio, si scrive anche per ricordarsi di fare le cose, per non disperdere quanto altri prima di noi hanno saputo (o hanno saputo trasmetterci), per non morire del tutto dopo la morte. Jam Session di parole. Vorrei rileggermi il Fedro e vedere come Platone s'incartò sul più bello, mentre criticava i poeti e rinnegava della scrittura, foriera di oblio.

jueves, agosto 03, 2006


Mio fratello mi ha mandato dall'Italia una canzoncina orecchiabile e stupidissima, Ombrelloni di tale Simone Cristicchi. Il ritornello? "L'ombrello te lo ficco nel culo, e il gelato te lo spiaccico in faccia"... Ora ingurgita la tua crema solare, questa è la mia canzone per l'estate... o roba del genere. Mi viene da ridere. Se penso poi alle mille telefonate fatte ad Alyssa e non rispondeva, perchè, quando ero io a chiamare lei, lei era a lavoro, e quando era lei a chiamare me, ero io a essere occupato, mai che si sia riusciti ad incontraci per telefono, accidenti, non sembra, ma quanti fattori devono intercorrere affinchè due persone possano riuscire a comunicare a distanza, da due paesi diversi, ma anche da una città all'altra, pur stando entrambi nello stesso paese... nonostante internet e i mille ritrovati della tecnologia nostrana quotidiana attuale (fino a quando? ci si potrebbe domandare, ma stasera non ho voglia di pensieri saturnini - anche se ce ne sarebbero di motivi, eccome...).
Poi cambio musica e ascolto la Fughetta di Gerald Finzi (una scoperta dell'ultim'ora grazie a uno scrittore che sto leggendo con piacere da un paio d'anni circa, uno che ci sa fare e sa come catturare l'attenzione del lettore - anche se non è il mio caro perduto - per sempre? - Roberto Bolaño). Che differenza, santoddio, con Simone Cristicchi! E che relax. La finestra è chiusa, ma fuori, ci scometto, c'è la luna piena. Dentro si schianta dal caldo, ma i miei oggetti personali mi fanno compagnia, ricordandomi chi sono e da dove vengo. "Provale tutte ma non mollare mai", consiglia Alyssa con amore e una santa pazienza infinita. Dove troverà l'energia? E io, dove la vado a pescare, per fare tante cose insieme? Leggere, studiare, fare la spesa, pagare l'affitto e le bollette, telefonare, chattare, chiamare, uscire, prendere la metro, leggere, dormire, provare a vivere. Sotto un sole che sfianca e stanca a ogni pie' sospinto. Mentre Agosto è iniziato di soppiatto e non so cosa mi aspetta per Settembre. 29 anni son tanti. Oggi Alyssa ne compie 24. Mi sento vecchio, certe volte. La vecchiaia è quando conosci più gente morta che viva, qualcosa di simile disse uno che è morto tanti anni fa e sognava di Baroni Rampanti e di Città Invisibili e di Castelli dai Destini Incrociati... Incroci: a Roma esiste una strada che si chiama "Via delle Vergini"; a Madrid esiste "Calle Egipto"; a Londra c'è Baker Street, che è dove visse Sharlock Holmes, per gli amanti della scrittura di A. Conan Doyle e Craven Road, che è dove vive il fittizio Dylan Dog inventato dal folle Tiziano Sclavi; a Parigi c'è una strada che si chiama "Rue de la Morgue", che è dove si svolgono gli orrendi delitti di cui ci narra E. A. Poe in alcuni dei suoi primi racconti... ah! Gli Ombrelloni, che allegra cazzata. Meglio la Fughetta, va...

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...