jueves, septiembre 21, 2006

Pisa. Dopo Torino, Pisa. È ovvio. Dunque, Pisa non è una città (né uno stato d'animo, come Roma, tanto meno un luna-park, come Madrid), bensí, diciamo, un paese in grande scala. Vi abitano circa 90 mila abitanti; di questi, 40 mila sono studenti. Ovvero, Pisa è invasa annualmente da una popolazione studentesca notevole (la fauna varia: studenti in sede, fuori sede, in corso, fuori corso, triennalisti, biennalisti - detti anche, specialisti -, penalisti o civilisti, inquieti o annoiati, dell'Erasmus o nazionali o regionali, etc. etc). Anzi, se non fosse per gli studenti, oltre che per la Torre pendente (che delude un po' le aspettative, è piuttosto piccola, quando ci passi sotto o attorno o la guardi dal basso), probabilmente Pisa non sarebbe quello che è. A Pisa, quindi, si corre il serio rischio d'imbattersi nei docenti del proprio corso di laurea (o di dottorato, o di post-dottorato, o della iper-specialistica) non solo nei corridoi dell'Università (vero fiore all'occhiello, tra quella normale e pubblica e quella "Normale", con "N" maiuscola), ma anche per strada; a me è capitato di vedere il mio prof. preferito nel suo ufficio, in orario di ricevimento; al supermercato, mentre faceva la spesa e comprava il pane; dal fruttivendolo, mentre acquistava dei broccoli; in piazza, mentre passeggiavo con Alyssa e lui con la moglie. La cosa può dare anche fastidio, soprattutto se il prof. in questione non è un campione di simpatia.
Non solo: Pisa ha degli orari tutti suoi. Se la mattina si sveglia piano, con una certa calma (diciamo che verso le 9 quasi tutti i negozi e i bar del centro riprendono la loro attività), a metà mattino è in fermento, per placarsi verso l'ora di pranzo. Dalle 13,30 alle 15, più o meno, si rilassa. Gli studenti (onnipresenti) pascolano nella centralissima Piazza Dante (una Piazza che segue anch'essa un orario tutto particolare: se fino alle 18,30 è popolata, da quest'ora in poi diventa un luogo oscuro e misterioso in cui diventa complicato non inciampare, visto il buio e l'assenza di luce artificiale), mentre i lavoratori (impiegati, bidelli, assistenti alla didattica) mangiano nei bar tra Borgo Stretto e Corso Italia. Poi, si rompono le fila. C'è chi torna a casa, per studiare bene la lezione, o chi, come le donne delle pulizie, pulisce prima di chiudere a doppia mandata i portoni pesanti delle varie Facoltà e Dipartimenti; i barboni tornano ai posti di combattimento, nei pressi della Stazione.
I barboni. O i mendicanti. Ce n'è uno che mi perseguita. Ha la barba folta, incolta e bianca, i pochi capelli arruffati e va in giro con un coniglietto marrone tenuto al guinzaglio come fosse un cagnolino. Credo abbia il dono dell'ubiquità. Ieri l'ho visto, nell'ordine e partendo da quando sono uscito di casa: 1- in Stazione, vicino alla fermata degli autobus (gli autobus di Pisa sono nuovi di zecca, niente a che vedere con quelli perennemente scassati di Roma); 2- a Piazza Dante, steso sul prato a prendere il sole, mentre i fuori sede (o in sede e in corso) e i fuori corso (o pendolari, o stabilmente residenti) pascolavano coi loro libri sotto il braccio; 3- a Piazza Giusti, direzione Aeroporto, con un carrello della spesa pieno di cianfrusaglie e buste della spazzatura, in attesa di chissá cosa o chissá chi; 4- vicino alla farmacia vicino a casa, di notte, mentre mi trovavo in un frangente tipico da Sabato sera senza (ma ti li sei scordati? Oddio, sí, scusami, esco subito e vado a comprarli).
E poi c'è il Lungarno. Meglio di quello di Firenze. C'è più spazio per contemplare il lento fluire del fiume. Di notte, le cosiddette "spallette" si riempiono di ragazzi e ragazze che ammazzano il tempo chiacchierando (quasi sempre d'Università). E Piazza Santa Caterina, un po' appartata, ma che preferisco alla tipica Piazza Garibaldi (dove ci diamo appuntamento? A Piazza Garibaldi, è la risposta canonica, prima che i ragazzi e le ragazze s'incontrino per bere una birra - e, di passaggio, parlare di Università). Piazza dei Miracoli, invece, quella no, troppo turistica. Anche se gli immensi prati con l'erba tagliata sempre a filo hanno il loro fascino (una volta ho conosciuto un tipo che, con l'intenzione di studiare disteso su uno di questi prati, s'era addormentato sotto il sole. Era arrivato a lezione con il viso rosso fuoco. Mi disse: "È pazzesco, non sai cosa mi è capitato: stavo a Piazza dei Miracoli, steso al sole, a studiare e ripassarmi un po' la lezione e... mi sono addormentato, senza nemmeno accorgermene, è pazzesco").
A Pisa è facile annoiarsi; per fortuna che ogni giorno capita qualcosa di pazzesco, come disse quel tale. E tra Corso Italia e i portici di Borgo Stretto ne succedono di cose strane. Come incontrare il proprio professore che cammina con la moglie; o un compagno di studi che compra un libro; o un barbone che chiede l'elemosina con al guinzaglio un piccolo coniglietto marrone.

sábado, septiembre 16, 2006

Torino. Via Roma. Se parti dalla stazione (di Porta Nuova - mai visti tanti barboni e tanti giovani drogati che ti chiedono un euro, questo sì, con modi garbati) e prosegui dritto, lungo via Roma (sotto i portoci, in modo tale da non bagnarsi, visto che piove, sì, oggi purtroppo piove, ininterrottamente, e sembra proprio che non voglia smettere, piove), puoi arrivare fino a via Po e da qui, se prosegui, finisci con l’imbatterti nella mole (monumentale) della Mole Antonelliana. Torino è una città misteriosa, non è un caso se qui sono sorte le prime (e più dure a morire) sette sataniche (o sataniste?). Torino è una città ideale per suicidarsi, quando cala la nebbia e la geometria delle sue strade (tutte uguali, tutte molto esatte, nelle loro linee e nelle prospettive che si intersecano come su una schacchiera – Torino è anche una scacchiera, in cui le piazze segnalano gli spazi ideali per una pausa dal gioco: Piazza San Carlo, Piazza Castello, Piazza Arbarello, Piazza Cavour, Piazza Vittorio Veneto) spinge all’astrazione più pura, tutta spigoli e angoli e marciapiedi misurati al millimetro, non una cosa fuori posto, non un dettaglio di più. Ma Torino, diciamola tutta, è anche la città del Museo del Cinema (ricordo il titolo di un film molto lirico e carino di Davide Ferrario, Dopo mezzanotte, su un tipo che è una fotocopia di Buster Keaton e che si isola proprio lì dentro, nella Mole Antonelliana, con le immagini del cinema per amiche, compagne di gioco eterno, l’eterno intrecciare le immagini per farne storie da mostrare agli altri e storie da raccontare e raccontarsi). Domani, se trovo il tempo, mi piacerebbe farci una capatina (ma chi era l’attore che impersovana il protagonista di quel film, così notturno e così misterioso, com’è oggi Torino, città perfetta per girare un giallo – e mi ricordo anche di Profondo rosso e della pseudo-città che Dario Argento creò proprio tra Torino e Roma, come a voler confondere le carte in tavola e creare così una sorta di summa delle città claustrofobiche e pericolose, quelle che a ogni angolo, di notte, nascondono un potenziale assasino in serie – o serial-killer, per dirla all’inglese).
Intanto, fuori piove. La tv satellitare compie i soliti miracoli: posso vedere le varie versioni di quanto accaduto oggi nel mondo (la CNN me lo dice in inglese, TVE in spagnolo, TV5 in francese, e via dicendo…), mentre i canali a pagamento sembrano gratis e su Sky danno The SawII, dovrebbe essere interessante, il primo capitolo lo vidi a Pisa e mi sembrò geniale, un gran film horror, dal finale davvero imprevedibile (lo sceneggiatore, un maniaco sadico di quelli pericolosi, se lo si incontra in una città oscura e misteriosa e piena di nebbia o di pioggia, come Torino, tanto per fare un esempio). Pur tuttavia (che cavolo vorrà mai dire “pur tuttavia?”: e soprattutto, si usa ancora? O sono io quello che deve farsi un bel ripasso della lingua italiana dopo un’assenza comunque di tre mesi dal suolo – e dalla lingua – patria?), mi piace l’idea di addormentarmi con il dolce rumore della pioggia (sembra il titolo di un film, ma mi sbaglio: quello era Il dolce rumore della vita, un piccolo capolavoro di Bertolucci – Giuseppe, non Bernardo, da non confondere). Nelle stanze affianco: il silenzio. Nella stanza di sopra: niente. O è davvero molto tardi, e tutti dormono (e io risoffro d’insonnia, come al solito), o sono l’unico cliente di questo hotel vicino alla stazione di Porta Nuova. Oppure, vaneggio e ho le allucinazioni uditive. Tra poco spegnerò la luce. E chissà che domani, su Torino, non sorga il sole. E tornammo a riveder la luce…

miércoles, septiembre 06, 2006

Ho appuntato i loro nomi (le loro email o i numeri di cellulare) su tovaglioli di bar, pezzi di carta strappati dall'agenda, diario, risvolti di copertina, su una pagina di El Pais, su un qualsiasi dépliant pubblicitario. Sono stati compagni di disavventure e di nottate passate a scambiarsi opinioni, ricordi, impressioni e pareri per tre lunghi mesi (fuggiti come un attimo, ma si sa: "Hora ruit", il tempo fugge e i minuti scivolano nei secondi e i secondi si corrompono, corrodendo le ore e i giorni).
Pablo, che scrive poesi e apparirà nella pagina dei "ringraziamenti"; Rosy, che oltre ad avere un blog cui ho già fatto pubblicità in queste mie "carte sparse" (e a cui continuerò a farne in futuro e a voce) è una bella persona, come non se ne trovano quasi più in giro; Seby, che quando ha in mano una birra non può stare fermo finchè non la finisce - e che mi ha regalato molte risate all'uscita dalla discoteca di turno o sul cammino del ritorno a casa; Merce, che con la mania della pulizia non sembra nemmeno spagnola, la mia personale professoressa di parolacce, una miniera e un vulcano, più "manchega" di Don Quijote; Ambar, che prima o poi finirà col fare la vice-direttrice di chissà quale quotidiano nazionale, sempre di corsa, sempre sorridente e disposta a rincuorarti nei momenti dello sconforto o della depressione più nera; Emiliano, col suo accento romano (e fa pure rima); Daniel, che viene da Zurigo e conosce il francese, l'inglese, il tedesco, ovviamente lo svizzero, intuisce lo spagnolo e capisce anche l'italiano: "Scusa, como se dice...?"; Vero, che viene da Buenos Aires e che quando arrivo nella capitale è sempre pronta (ad accogliermi, abbracciarmi e a ridere alle mie battute che non fanno ridere nessuno o solo pochi eletti - ho fans selezionatissimi lì fuori) e che, con il nuovo taglio, guadagna in bellezza e grinta (sembra ancora più combattiva e intraprendente: come Ambar così Vero: due che non indietreggiano davanti agli ostacoli e non hanno paura, rassicura sapere di poter contare su persone come loro); Dadda, che è un fratello, oltre che un amico, e che sa stare al gioco (con la vista lunga, un occhio critico dietro uno sguardo bonario, ma almeno, cavolo, potevi lasciarmi il cellulare a casa, invece di lasciarlo in ostaggio a quelli dell'edicola per una tua svista comprensibile, ma ripetuta: per poco non ci lasciamo la testa, a Barajas); Antonio Escudo, prof. e autodidatta, emissario ed esperto di Giudaismo, sempre pronto a regalarti una fotocopia di un suo racconto o quella di un articolo da un giornale sefardita o una citazione da Mosé o da Seneca o da Ovidio, in originale, latino o greco, of course; Sele, l'esperta medievalista, ne sa più lei, di Cecco Angiolieri, che Cecco Angiolieri stesso, con la chioma leonina e la camminata sbarazzina, danza sul bordo (dell'abisso) ma, oltre a non cadere mai, trova sempre il tempo per lo spasso più pazzo e la cucina buona (non solo toscana); Brian, che sta scrivendo una tesi su Thomas Bernhard e che, quando mi ha avvistato in Biblioteca, ha esclamato: "It's incredible, I was writing an email to you and Sele, to see if you were here too!"; Emanuela, che tra poco insegnerà alle superiori e che balla come mai avrei immaginato (cattolica di vecchio stampo, quante discussioni abbiamo avuto parlando di Dio, Demoni e Opus Dei); Rocchina, che ama più la Spagna dell'Italia, basta vedere come le brillano gli occhi se pronunci nomi come Madrid, o Sevilla, o Granada, o Salamanca; Jana, che è asturiana e nazionalista, il latte asturiano è il migliore, Alonso "is the best", la sidra è il top... Nomi, che appartengono a volti che ricordo con nitidezza e che amo ricordare con la speranza di non dimenticarli in futuro; sei quello che mangi (sei la lingua che abiti?), ma anche, credo, la gente che frequenti, gli amici che hai, quelli che incontri (per caso?) e con cui hai condiviso (e condividerai) qualcosa, in questo frammento assurdo che è la vita...

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...