domingo, octubre 28, 2007

Diario di Lecce





(that's to say: if you like it, do it!)


23/10/07 ore 19,50

Sto partendo per Lecce per partecipare a un convegno sul tempo. Salgo al secondo piano del pullman che mi porterà alla fermata di Viale Ugo Foscolo e mi accorgo subito di una cosa: che quando ti siedi in un posto al secondo piano di un pullman sembra come se a guidare non ci fosse nessuno. Come se il pullman (col parabrezza libero e i primi posti sprovvisti di volante) ti portasse da solo dove vuole lui (e a te non resta che sperare che non si schianti contro qualche muro o albero).

Ai lati della strada sfrecciano luci rosse e gialle. Intravedo l'interno illuminato di qualche casa o palazzina poco distante dall'autostrada. E il fatto che ci siano luci accese dà conforto: vuol dire che c'è ancora vita in giro, da qualche parte, anche se tu, che sei in autostrada, non sapresti individuare nè il posto nè il nome del posto in questione.

24/10/07, ore 17,30

Sono venuto a Lecce per motivi di studio e mi accorgo di avere sbagliato abito: qui non fa così freddo come a Pisa o a Firenze. E soprattutto, qui nessuno va in giro con un completo nero e un cappotto nero invernale e un paio di Nike rigorosamente nere ai piedi. Passeggio tra la centralissima e trafficata Via Templari e Via Umberto I e mi sento a disagio, come fossi un maniaco o un ladro in incognito.

A Lecce fa davvero caldo e per provare a scaricare lo stress che mi produce tanto sudore sulla fronte mi fumo una sigaretta seduto davanti ai resti dell'Anfiteatro Romano. Siamo a Piazza Sant'Oronzo, tra le più famose della città. Intere famiglie consumano il loro pranzo tra i tavolini del McDonald; i vecchi chiacchierano davanti ai giornali. Provo a chiedere a tre tipi appoggiati a un palo accanto a un taxi quanto costa la corsa da lì a Viale Ugo Foscolo (la fermata da cui ripartirò per tornare a Pisa). I tre smettono di parlare e con tutta calma mi consigliano d'indirizzarmi a quei due signori laggiù. Sono loro quelli che guidano il taxi. Così, rosso in viso per la vergogna, mi rivolgo ai due signori, ma neppure questi sono i tassisti. Chiedo scusa e seguo le loro indicazioni: i due che m'interessano stanno dentro - e non fuori - del taxi. Che stiano per caso complottando alle mie spalle? Che tutti quelli cui chiedo informazioni stiano organizzando un piano per impedirmi di tornare a casa?

Alla fine ci rinuncio. Sono tornato a Piazza Santissima Addolorata: è qui che alloggio, per l'esattezza Vico San Giusto. Il mio bed & breakfast è un bilocale a piano terra con bagno minuscolo e piano cottura degno, anche se il resto dei mobili appartiene a un'era che non è più la nostra. Siccome le luci sono tante, ma tutte fioche e site negli angoli più impensati, scrivere o anche solo leggere il giornale diventa un'impresa e così le accendo tutte, compresa quella del bagno (al neon - fastidioso ronzio tipico delle sale d'attesa - ma almeno così ho l'impressione di avere più spazio, come se con le luci accese guadagnassi spazio).

Non so come spiegarlo, ma sembra che a Lecce le case a piano terra diano direttamente sulla strada: la gente non sembra avere problemi o timori a lasciarsi "spiare" o più semplicemente guardare dai passanti che attraversano le strade del centro. Come dirlo: le case, con le loro solite stanze note a tutti, sono tutte ad altezza d'uomo (se sono a piano terra, ovviamente). Qui di fronte, ad esempio: se apro la porta con le persiane in plastica posso vedere una vecchina che cuce a maglia e guarda le telenovelas di Rete4. Più in là c'è un gruppo d'indiani che, forse grazie alla parabolica, guardano un musical o un video con danzatrici del ventre loro connazionali. E tra loro soglia e il selciato non ci sono che pochi centrimetri di distanza (questo sì, questa zona della città, il centro storico, è per la maggior parte pedonale; ci sono poche macchine e quando ci sono diventa complicato farsi da parte, appoggiarsi al muro, e lasciarle passare).

Le case sono bianche per via del caldo. Immagino che qui d'estate si soffochi. E che i leccesi abbiano visto la neve rare volte.

Un'altra cosa che colpisce di questa città è la presenza massiccia e discreta di negozi d'antiquariato e di prodotti artigianali. Dalle collane ai braccialetti, dalle borse alle maschere di cartapesta ai prodotti in ceramica o terracotta, dalle librerie dell'usato ai quadri alle cornici, dalle stoffe più pregiate ai prodotti tipici della cucina salentina, qui il turista curioso e appassionato d'artigianato può trovare di tutto. Le persone sembrano concentrate nel loro lavoro. E se entri a curiosare o a chiedere un'informazione te la danno con una gentilezza estrema.

A Lecce si respire tranquillità e aria di mare (anche se il mare è distante e da qui non si vede). Vago tra i vicoli stretti del centro e ascolto il rintocco delle campane: qui è pieno di chiese che ci tengono a ricordarci che un'altra ora è trascorsa e che siamo anche noi, ahinoi, mortali.

25/10/07 ore 8,45

Salgo sul pullman che ci porterà da Lecce a Cavallino (il luogo degli incontri del convegno). E' stracolmo di docenti. Luminari della scienza; baroni; grandi saggi dell'Accademia italiana.

A un certo punto mi si siede vicino un signore dall'aria distinta e gli occhiali con la montatura di tartaruga. Ha in mano un libro di Enrique Vila-Matas. Ci getto l'occhio e lui si accorge che sto leggendo il titolo del romanzo di Vila-Matas.

"E' un autore che non conoscevo: sa, mi hanno chiamato a far parte della commissione che dovrà giudicare la tesi di una ragazza che ha scritto 500 pagine su questo qui". E io.

"E' uno dei miei scrittori preferiti. E' pazzo. Mescola citazioni reali a citazioni inventate. Fa impazzire anche i suoi traduttori".

L'anziano signore distinto ride:

"Eh sì! Io devo andare lì a certificare se è postmoderno o meno. Secondo me lo è". E io:

"Oh, sì, ma certo che lo è, non ci sono dubbi. Postmodernismo allo stato puro. Un grande ironico, questo Vila-Matas".

Solo quando entro nella sede del convegno e sento le presentazioni dei partecipanti mi accorgo di aver parlato di Vila-Matas e di postmodernismo con Remo Ceserani. Che sul postmodernismo ha scritto qualche tempo fa Raccontare il postmoderno. Rosso in viso, alla pausa caffè, mi sono presentato chiedendo venia per la piccola gaffe. Il prof. Ceserani ride. Quale gaffe? Non ero certo tenuto a riconoscerlo dalla faccia! Poi lo ringrazio perchè in quel suo libro di qualche tempo fa citò due cose a me molto care: il luogo tra i monti abruzzesi in cui sono nato e un autore sottovalutato e misconosciuto come Tiziano Sclavi. Ride ancora e poi se ne va, parlando coi colleghi, e giovani promesse dell'Accademia italiana.

26/10/07 ore 2,12

Sono già 5 ore che siamo in viaggio. Ci siamo fermati all'autogrill per una sosta. Mi sgranchisco le gambe e mangio una mela. Una bionda molto carina ma dal culo enorme (e degli orrendi stivaletti rossi ai piedi) chiacchiera d'amore con un ragazzo ingelatinato. Si nota che sono amici e che si vogliono bene e che si conoscono da una vita. Io non conosco nessuno dei viaggiatori e avrei voglia di chiamare mia madre. O Alyssa. O mio fratello. Ma è tardi, stanno dormendo. Non posso disturbarli a quest'ora. E poi farei loro prendere uno spavento. Non è il caso. Accendo la luce del mio posto al secondo piano e leggo queste frasi da La pelle di zigrino di Balzac (e mi ci riconosco molto):

"E io, debole, gracile, così modestamente vestito, pallido e smunto come un artista appena convalescente dalla sua ultima opera, come potevo competere con dei graziosi giovanotti, arricciati, agghindati, incravattati da indurre la Croazia alla disperazione, ricchi, armati di Tilbury e rivestiti d'impertinenza?"

Già: come posso io competere?
















lunes, octubre 22, 2007

L'ultimo giorno

Se gli avessero detto che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno, avrebbe fatto maggiore attenzione, non ci sono dubbi. Non avrebbe lasciato la tazza del latte sotto la goccia del rubinetto e tutta incrostata di marmellata e cereali (non stava bene e poi sua moglie doveva rigovernare e avrebbe fatto maggiore fatica a staccare le parti di cibo incrostate). E non avrebbe lasciato a metà quel romanzo che gli piaceva tanto (lo stava prendendo, come si suol dire, la trama l'aveva ormai accalappiato, voleva sapere che fine avrebbe fatto quel potenziale suicida con in mano un potere sovrannaturale come quello offertogli dal vecchio che gli ha venduto la pelle di zigrino...). E avrebbe chiesto scusa a moltissime persone care. Amici, parenti, suo fratello, e la moglie. A lei avrebbe detto tutte le frasi che non aveva avuto mai il coraggio di dire (perchè, al suo orecchio, suonavano troppo romantiche). E l'avrebbe baciata con più passione.
Se gli avessero detto che quel giorno si sarebbe fracassato la testa contro un albero, mentre era al volante, ne avrebbe approfittato per guardare l'ultimo film di Woody Allen e andarsene per sempre lontano con un sorriso. E avrebbe fatto le coccole a Biscotto, quel gattaccio che dorme sulla pancia della moglie e certe notti lo obbliga a prendere i sonniferi per riuscire a dormire perchè fa troppo rumore, ronfa e ronfa che è una bellezza.
Se lo sapeva prima, non avrebbe perso tanto tempo in questioni di poca o minima importanza come pagare le bollette e far quadrare i conti a fine mese: quanti tramonti si era perso? Quante volte si era dimenticato di guardare le stelle cadenti? Quante notti era stato in casa, seduto, in pantofole, davanti al televisore, invece di stare un po' fuori, con il naso all'insù?
E avrebbe baciato di più sua figlia, la piccola Ines, e le avrebbe raccontato del suo passato da studente scapestrato (quanti episodi del suo passato ignorava la piccola Ines). E le avrebbe detto che nella vita è importante godersela perchè non si tratta solo di fare il proprio dovere, quello è risaputo, ma al dovere, figlia mia, devi aggiungere il piacere, sennò che vita è?
Se lo avesse saputo prima, avrebbe fatto quel viaggio a Cuba cui aveva sempre rinunciato per problemi d'economia domestica. E avrebbe convinto la moglie a lasciare la scuola per un po', avrebbe fatto le valigie anche per la figlia, e sarebbe stato pronto a vincere la paura dell'aereo, in rotta verso La Habana.
E invece non lo sapeva e così finì con lo schiantarsi contro il guard-rail e poi contro quell'albero a lato sinistro della strada, dopo la curva, sotto la pioggia, e l'ultima cosa che riuscì a vedere fu un fulmine e l'ultima cosa che riuscì a sentire fu il rumore di un tuono, e l'ultima cosa a cui pensò fu al dopo, e poi, immediatamente dopo, a Ines e alla moglie, le avrebbe lasciate sole e indifese, temeva che non ce l'avrebbero fatta ad andare avanti da sole e poi c'è quella tazza, e il segnalibro a metà di La pelle di zigrino (Balzac è un mostro d'invenzione), e quella telefonata, e quell'amico che non vedo da una vita, e quel dottore che mi diagnosticò il tumore e si era sbagliato (per fortuna) e quella luna e queste stelle, sopra le nuvole, mentre piove e la ruota dell'auto gira a vuoto e l'unico rumore che sento è quello di un tuono in lontananza e l'unica cosa che vedo è questo fulmine che per un attimo illumina a giorno il cielo, che peccato, non poter rivedere le stelle...

viernes, octubre 19, 2007

S-vario

Non sono riuscito a vedere l'intervista di Serena Dandini a Sandro Veronesi (dalla puntata del 20 Maggio di Parla con me - le magie di internet: basta connettersi a RaiClick e poi selezionare il programma preferito ed il gioco...sarebbe fatto). E intanto la vita passa. Per motivi che non è il caso di citare in questa sede, mi ritroverò a viaggiare (e mangiare kilometri e kilometri d'asfalto, aria, e terra) tra Pisa, Firenze, Roma, Lecce e Madrid (dopo quasi un anno, torno nella mia seconda patria). E intanto: provo a capire chi sia davvero Victor Iriarte (consiglio a tutti il suo blog: http://cajanumero8.blogspot.com/). Ogni tanto lascio un mio commento ai suoi post "cinetici" (o "cinematografici"; davvero uno spettatore/lettore attento; non gli sfugge nulla). E immagino che sia davvero un regista, uno di quelli bravi, che ci crede, che crede nella potenza dei sogni ad occhi aperti, che fa film d'autore (o ci prova, almeno, contro l'imperialismo estetico americano). E intanto: il tempo passa, ho superato la trentina e ho ancora in mente quel romanzo, in cui si mescola tutto. In cui parlo di Tony Umorali, un personaggio stralunato che tenta di suicidarsi in tutti i modi e non ci riesce (c'è quella scena che ho riscritto cento volte e non viene mai la versione definitiva, quella in cui decide d'impiccarsi e si stacca la corda - o si stacca il lampadario vecchio e arruginito intorno a cui lega la corda che dovrebbe togliergli la vita). E si parla anche d'Università, degli scandali quotidiani che occupano il gossip accademico: quell'alunna tanto scarsa eppure tanto bella che riesce a portarsi a letto il prof. piacente e piacione; quell'altra che vince la cattedra lì dove insegna il suo amante; quello che si batte idealisticamente contro il marciume morale che regna ovunque e vorrebbe mettere una bomba in presidenza e invece sbaglia indirizzo, fa esplodere l'aula magna, perchè, preso da un raptus d'ira, semplicemente, entra dal portone sbagliato. In questo romanzo si parla anche d'amore: di un tizio perverso che s'intrufola nelle case delle fidanzate per portarsi a letto le rispettive mamme; un tizio così schifoso che quando viene scoperto dalla ragazza più carina e dolce che abbia mai incontrato si butta dal ponte dell'autostrada Roma-Teramo (all'altezza di Pietrasecca). E poi si parla di odio. E di invidia. E di solitudine. Le lancette dell'orologio scorrono e un vecchio attende la morte steso sul letto di un'ospedale tagliato fuori dal mondo. Scatta la mezzanotte e un'infermiera gli dice se preferisce svegliarsi o se vuole continuare a vivere il suo incubo quotidiano (il vecchio annuisce e l'infermiera gli ricarica la flebo di una sostanza giallognola). E poi si parla di paura. C'è quello che ha paura di perdere il lavoro e lo perde davvero. Ha 42 anni e si riscopre artista: canta e canta. Si dà al canto fino ad arrivare ad incidere un disco, e nessuno dei suoi colleghi gli crede, fino a quando non lo vedono cantare dal palco di Sanremo.
E intanto... Non ho ancora letto l'ultima parte di un romanzo uscito a puntate dal 2002. Queste sono le prime parole dell'incipit:

Uno non lo desidera, ma preferisce sempre che muoia colui che gli sta affianco, in una missione o in una battaglia, in una formazione aerea o sotto un bombardamento o in una trincea, quando c'erano, in una rivolta di strada, o in un furto in negozio o in un sequestro di turisti, in un terremoto, un'esplosione, un attentato, un incendio, è lo stesso: il compagno, il fratello o il padre, o addirittura il figlio, anche se è un bambino.

E intanto, ascolto "Black Tambourine" dei Bleck, mentre Alyssa dorme e sogna sogni d'oro, ignara della mia insonnia di questa notte, piena di buoni propositi e di pensieri nervosi. Piena di progetti mai portati e termine e che forse resteranno solo tali, condannati a vagare per sempre nel limbo (dei progetti di vita).

domingo, octubre 14, 2007



Le piccole difficoltà della vita quotidiana





Ci sono certe cose che danno fastidio, non c'è niente da fare. Non parlo dell'ingiustizia sociale, o della povertà nel Terzo Mondo; non parlo della prostituzione minorile e non voglio riferirmi alla situazione politica italiana contemporanea (sarebbe troppo complicato parlarne - Grillo e il Vaffanculo-day, Prodi e Mastella, Berlusconi e D'Alema, basta anche solo metterli per iscritto, certi nomi - tranne il primo, per esser precisi -, perchè la penna si rifiuti d'andare avanti, perchè il cervello si rifiuti di funzionare, perchè le dita smettano di picchiare sulla tasteria del pc). Parlo di altre questioni scottanti, apparentemente banali, e che, ciononostante, m'inquietano o mi fanno semplicemente incazzare.

Partiamo dal punto numero:

1- la panna sul gelato. Non so a quanti di voi sia già successo ("voi" chi? Direte voi - "voi", rispondo, fregandome bellamente di dare un'identità certa e fissa al mio povero lettore - in realtà, sono lettrici, quelle due o tre che ancora mi sopportano), ma a me è capitato spesso l'estate appena trascorsa di chiedere un gelato e, poi, di chiedere d'aggiungere la panna (come ciliegina sulla torta). Solo una gelateria su quattro ha accondisceso alla mia richiesta SENZA FARMI PAGARE LA PANNA come se questa fosse UN TERZO GUSTO (o quarto, se già ne avevo chiesti tre: fiordilatte, bacio e stracciatella, i miei tre preferiti). Ora, mi domando e dico: ma da quando la panna E' UN GUSTO? Da quando in qua? Aboliamo questa cazzata della tassa sulla panna (devo dire anche che a Roma la panna te la mettono in automatico; e in certe città del Sud idem; in un bar del centro di Firenze, invece, c'è scritto addirittura a caratteri cubitali: LA PANNA VALE UN GUSTO e, affianco, subito il prezzo: 0,50 cents!!! Il gelato è un piacere; senza panna che piacere è? [ma mi rendo subito conto che questo è un problema minimo, anche perchè ci stiamo avviando verso la brutta stagione, verso il freddo inverno, altro che panne! Ciò non toglie che il problema resta e qualcuno deve porvi rimedio];


2- i giornalisti col microfono "cinico". Non so quanti guardino il telegiornale (forse l'unica cosa guardabile ancora oggi in tv - sempre che non si tratti di quello di Emilio Fede; oppure di Studio aperto - sempre bellessime le colonne sonore strappalacrime che i responsabili dei servizi montano insieme alle immagini di qualche crudo fatto sanguinolento di cronaca nera; bellissimi e, devo dire, anche alquanto arrapanti, i servizi sulle varie veline, farfalline, modelline che popolano e spospolano nel variegato mondo dei vips), però è una costante degli stessi di mandare in onda servizi su qualche disgrazia personale capitata a qualche sopravvissuto o familiare superstite: orbene, in questi casi non mi spiego perchè c'è sempre (dico: sempre) un giornalista dotato del suo bel microfono "cinico" (ma si possono anche togliere le virgolette: quindi, davvero cinico) che si mette a fare domande del tipo: "ma ora che il suo piccolo figlio è morto, ed è volato in cielo tra gli angioletti del Signore dopo quell'incidente da brividi, lei ne sentirà la mancanza?"; oppure: "cosa direbbe agli assassini di sua moglie se li avesse proprio qui, ora, davanti ai suoi occhi?"; o ancora: "come si sente dopo che suo padre è stato divorato dal pitbull del suo caro e vecchio vicino di casa? Non aveva mai notato segni di squilibrio mentale nell'animale?". Basta piagnistei in tv, soprattutto quando questi sono "guidati" e pilotati dalle domande assurde (diciamolo pure: stronze) di giornalisti privi di scrupoli (voglio vedere se l'auditel resta sempre sugli stessi livelli se tutti i direttori di telegiornali decidono di darci un taglio e di diminuire l'emissione costante di "servizi lacrimevoli" o a effetto melodrammatico sicuro; ma devono averci il loro tornaconto, altrimenti non si spiega - oppure quegli stessi direttori credono che siamo tutti spettatori morbosi affamati di vedere scene truculente o di gente che piange e si dispera?).


3- le super-offerte del mese. Dovrei fare un piccolo esperimento: conservare la valanga di volantini che le grosse marche o i grandi centri commerciali (di "distribuzione commerciale", in gergo tecnico) mandano a casa (non più per posta, come una volta, ma sfruttando la manovalanza di giovani ragazzi o ragazze che, zaino in spalla, fanno "volantinaggio" - vorrei anche sapere quanto pagano, per fare quest'opera di bene - loro, ovviamente, il bene, non dei "dipendenti"). E bisognerebbe mettersi lì a contare le cifre delle super-mega-offerte che, ogni mese, queste grandi marche (o grossi centri commerciali) ci rifilano come fossero vere occasioni da cogliere al volo. Forse, non ne sono sicuro, ma dico: forse, scopriremmo tutti quanti insieme che le offerte non sono sempre tali; che il computer che oggi ti vendono a 600 euro, domani ne varrà la metà, per le stesse prestazioni e con gli stessi optionals. Forse, ci renderemmo conto che il maxi-schermo al plasma a 45 pollici che oggi ci vendono per 1300 euro, domani varrà meno di una normale tv senza plasma. Forse, potremmo verificare con calcolatrice alla mano, che quello stesso frigorifero che oggi mi vogliono rivendere a 400 euro, in un altro posto, e alle stesse condizioni, posso pagarlo una cinquantina di euro in meno (solo perchè quest'altro posto non ha la stessa pubblicità a tappeto della grossa catena di commercio che sventola i suoi volantini promozionali a destra e a manca). E poi: abbiamo davvero bisogno di un nuovo pc ogni mese? E la nostra tv non emette le stesse scemenze di quella mega che vedo nel volantino? Di quante cose possiamo fare a meno nella nostra vita quotidiana? Di tante. Non c'è dubbio.


Ricapitolando: se volessimo tentare di trovare un filo rosso (non comunista; è rosso perchè così vuole il detto popolare; il modo di dire ormai giornalistico, più che accademico) che leghi o tegna insieme le 3 parti sopra-indicate, potremmo dire che questo s'annida nel fatto che tutte e tre le difficoltà della nostra vita quotidiana trovano il loro comun denominatore nella cinica "fame di denaro" delle aziende che producono certi prodotti (o di certe gelaterie che vendono il loro prodotto artigianale); e nella cinica e feroce "manipolazione mediatica" del povero cristo che sta lì e si guarda la televisione. E' ovvio che dalla panna ai direttori di telegiornali ce ne passa. Però è un fatto. E io lo noto. Mi vogliono vendere degli oggetti a basso costo di cui posso fare a meno (come se comprando ogni mese le offerte diventassi sempre più furbo e sempre più ricco, risparmiando sul prezzo pieno!); mi vogliono trasmettere una notizia pigiando sul piede dell'acceleratore emozionale. Ma io non mi lascio fregare. E al barista che mi dice che la panna è un gusto rispondo sempre: "Allora no, grazie, lasci pure i gusti che le ho detto". La panna, se voglio, me la faccio in casa. E poi, cazzo, non è un gusto, è parte dovuta del piacere di un buon gelato all'italiana...

lunes, octubre 08, 2007


The Post (scriptum)
Devo aggiungere una precisazione al post sulle donne (o sul mio presunto rapporto "felice" e costante con le medesime): non tutte le donne che incontro diventano subito delle amiche; non tutte le mie amiche mi hanno dimostrato un interesse che travalicasse i confini dell'amicizia. Voglio dire che in quei (rari) casi (pochi, per la verità - meno, comunque, di quanti ne possa sognare o immaginare) in cui una mia amica è finita nel mio letto (o meglio, in cui io sono finito nel letto di una mia amica - Alyssa non devi turbarti, mi riferisco a storie e storielle accadute ai primi anni dell'Università), l'amiciza, per forza di cose, è decaduta. Non ricordo se è proprio Aristotele (o era Ovidio?) nel De amicitia a dire che l'amicizia è tale perchè io, in quanto "amico", mi prendo cura, mi preoccupo dell'altra persona che reputo degna delle mie attenzioni (senza nulla pretendere in cambio - anche se è chiaro che l'amicizia corrisposta è o dovrebbe essere l'acme). Ma è proprio perchè me ne occupo (e pre-occupo) che non me la posso portare a letto. L'amore è altro dall'amicizia e non prevede rapporti sessuali (anche se l'amore nasce spesso da un rapporto d'amicizia e anche se oggi molto spesso l'amicizia sessuale è praticata con grande slancio e senza troppi pudori - ma chiudo subito la parentesi, perchè l'argomento ci porterebbe davvero troppo, troppo lontano e aprirebbe un dibattito ormai acenstrale, come la fatidica domanda: "ma può davvero esistere l'amicizia uomo-donna?". La mia risposta personale è sì, vista l'esperienza che ho avuto. Altri potrebbero dare altre risposte. Come è giusto e ovvio che sia.

domingo, octubre 07, 2007

Io e le donne

Suona come il titolo di un libro per "single" o per "aspiranti Casanova". Non è nè l'uno nè l'altro: voglio dire, questo post non tratta dei problemi di chi è solo (e cerca una compagna) o di chi è solo e cerca molte avventure. Si tratta molto più semplicemente di un mio tentativo per cercare di scandagliare una parte della mia vita avvolta nel mistero...

Io ho avuto poche donne; di sicuro ne ho avute meno di quelle che desidererei ancora oggi. Ancora ora, ne vedo passare un monte e molte me le porterei a letto (nel senso che ci farei l'amore e che poi proverei a parlarci, per stabile un contatto che non si riduca al solo sesso o al semplice atto animale). In realtà, ne vedo tante, ma su tutte applico il famoso detto "guardare ma non toccare", anche perchè, tra le altre cose: 1- sono findanzato; 2- sono fedele; 3- sono troppo impegnato (nel corpo e nella mente) a pensare alla mia vita potenziale futura in compagnia di Alyssa per pensare alle altre (o per immaginarmi accanto ad un'altra).

Eppure... Passano gli anni e mi accorgo di avere un particolare feeling con le persone dell'altro sesso: mi bastano pochissimi minuti per entrare in confidenza con una ragazza a me sconosciuta pochi minuti prima. Uno scambio di battute, le dovute presentazioni, e mi ritrovo subito immerso in un dialogo accanito su vita passata, vita presente, gusti e hobby, cosa fai tu domani sera, perchè non ci vediamo per andare a vedere un film o a mangiare una pizza, etc. etc....

Non so da cosa dipenda (se c'entrano qualcosa i geni), eppure mi riesce davvero facile stringere amicizia con le rappresentanti dell'altro sesso. Non è perciò un caso che abbia molte più amiche donne che amici maschi. Eppure...

Passano gli anni, più invecchio e più noto che anche le donne, in un qualche modo a me sconosciuto, percepiscono che di me si possono, ripeto: in qualche modo, fidare. Si avvicinano, mi fanno gli occhi dolci, oppure, più semplicemente, mostrano un certo interesse e cominciano a parlarmi del più e del meno e mentre parlano io mi rendo conto del fatto che, modestia a parte, potrebbero manifestare nei miei confronti interessi che vanno al di là dell'amicizia o della pura conoscenza superficiale, per inoltrarsi nell'ambito molto più spinoso dei sentimenti e della passione, mi è capitato più volte, in passato (e che Alyssa mi perdoni per quello che sto per dire), che una ragazza o una donna (anche d'una certa età - diciamo una quarantina d'anni) m'abbia manifestato un interesse che sorvolava gli interessi più comuni (e che più ci accomunano in quanto esseri umani pensanti) per coinvolgere gli "istinti di base" (con tutta la carica di elettricità e di caos che questi implicano). Insomma, mi è capitato più volte (in un bar, al bancone di una discoteca, lungomare, all'uscita di un cinema o dopo una cena a casa mia, sulla via del ritorno) di assistere a dimostrazioni d'interesse puramente sessuale...

E tutte le volte che è capitato, io mi sono limitato a fare lo sciocco: a buttarla sul ridere, a fare battute immani, a girarci intorno, senza approfittare mai (o quasi mai) della situazione favorevole (le labbra socchiuse, lo sguardo dolce, gli occhi luminosi, le labbra carnose e invitanti, la voce più lenta e persuasiva, le cosce messe in bella mostra, i tacchi alti o le scarpe coi tacchi allacciate proprio nel momento in cui pronuncio le battute più stupide - e lei ride, mi mostra i suoi denti bianchissimi e la lingua e mi invita a baciarla, o ad abbracciarla, a toccarla, in qualche modo, a stabilire un contatto fisico con lei e con il suo corpo invitante - la scollature generosa, le gambe tornite - quante armi hanno a loro disposizione le donne!).

Ripeto: tutte le volte che mi è capitato, io ho cercato di sviare il discorso; o con l'ironia o con l'autoironia (e ancora non mi è capitato di conoscere una donna che non sorrida dell'autoironia di un uomo - sarà perchè loro, le donne, sono scarsamente o raramente auto-ironiche).

Insomma: non me ne sono mai approfittato (a differenza di qualche mio amico che ha concluso la notte a letto, tra gridolini di piacere e sigarette fumate subito dopo l'orgasmo).

Non mi ritengo un bel ragazzo; non sono affascinante, nè interessante. Forse, a prima vista, posso risultare simpatico. E auto-ironico. Ma oltre a questo, ci sono poche qualità che possano attrarre le persone di sesso femminile. Eppure capita: e passano gli anni, e continuo a stare con Alyssa, e continuo a sperimentare lo stesso atteggiamento da parte loro; loro mi guardano, io le guardo, penso: "come sarebbe bello poterti baciare o leccarti la fica", e nel mentre sto fermo, sorrido, faccio battute, loro ridono alle mie battute e poi tutto si spegne, in una grossa risata o, al massimo, in una serie di risatine buffe che lasciano trapelare il dispiacere, o il disgusto, o più semplicemente il disappunto: "avrei voluto scoparti, ma si capisce che non mi vuoi, forse non ti vado bene così come sono, forse non sono il tuo tipo, però mi piaci lo stesso, chissà che non cadrai la prossima volta, chissà che non riesca a portarmiti a letto". E io ribatto: "mi piacerebbe scoparti, ma non è il caso; sono fedele e poi ho paura: e se invece non ti interesso? E se ridi alle mie battute solo per educazione o per falsa riconoscenza? E se mi trovi brutto? E poi, scusa, ma non mi hai appena detto che sei sposata - o fidanzata - o comunque impegnata?".

Pippe mentali. La fortuna vuole che continui ad avere più amiche donne che amici maschi; e che riesca a sopportare la mia vita anche grazie a loro, le donne...

miércoles, octubre 03, 2007


Certe volte
Ci sono delle volte nella vita in cui la cosa migliore da fare è stare fermi e non fare nulla. Certe volte corriamo e ci arrampichiamo sugli specchi e facciamo flessioni e ci giriamo intorno (al nocciolo - quello famoso - della questione) senza risolvere nulla. Ci sono certe volte nella vita in cui bisogna seguire il proprio istinto e scegliere in base a quello che questo ci sussurra, al di là di tutti i buoni propositi che ci detta la ragione (o la morale). E ci sono pure altre volte in cui bisogna calcolare pro e contra, studiare bene la traiettoria. Anche se è vero: tu puoi pure correre, ma se c'è una pallottola che porta scritto il tuo nome, quella, prima o poi, ti raggiungerà, e ti darà la morte. Non so se definirmi un fatalista; so che il caso gioca brutti scherzi e governa almeno l'80% delle nostre vite. Il resto spetta a noi; al famoso libero arbitrio. Siamo tutti liberissimi di scegliere e, perciò, di sbagliare. O di fare sbagliare gli altri. Tutti confondiamo tutti. Un sì e un no, o un forse, possono causare la morte, oppure il successo e la coronazione di una carriera di ogni umano sulla Terra. Nessuno scappa a questa legge: nemmeno i potenti (un sì e un no alle elezioni: pensate alla gioia di Berlusconi il giorno in cui scoprì che aveva battuto Prodi; e pensiamo a come ha vissuto quella famosa nottata Prodi quando, dopo alterne vittorie smentite, ha scoperto di essere salito al Governo con un margine davvero scarso, minimo, risicato; è sempre così, un sì e un no, basta poco).
E poi ci sono quelle volte in cui, anche a costo di non decidere, desideresti fare un viaggio interstellare, pur di non doverti prendere la "proverbiale" responsabilità (sacro-santa), pur di poter evadere per un po' dal pianeta Terra. Ma non serve scappare, il caos resta, se siamo noi, nel nostro animo, a essere caotici.
Certe volte mi piacerebbe essere George Sanders, che osserva con occhio acuto, e, al contempo, sembra, distaccato. E' imparziale, appare calmo, quasi rassegnato. Deve aver assistito a molte battaglie; a tanti morti, a cari scomparsi o donne bellissime che gli hanno lasciato solo una scia di dolcissimi profumi sulla giacca (o la macchia del rossetto sulla camicia bianca; o qualche capello biondo sulla spalla). E lui resta lì, fermo, pazientemente intento a guardare lo spettacolo della vita, mentre gli altri lottano, corrono, sudano, forse, a volte, inutilmente.
Sembra ripetere i versi di Cesare Pavese: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, / questa morte che ti accompagna / dal mattino alla sera, insonne, / sorda, come un vecchio rimorso / o un vizio assurdo. Ora che ci penso, sono versi troppo tristi, George Sanders li approverebbe, ma li pronuncerebbe con un tono ironico, e un sorriso sornione. Senza sbraitare; senza quasi farsi notare dal pubblico in sala. Come in un sussurro soave e quasi tenero.

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