jueves, junio 26, 2008

Lavorare (stanca)



Come il protagonista di Caos calmo provo a fare anch'io un'elenco (o lista veridica); penso a quello dei lavori che ho fatto in 30 anni di vita vissuta (a volte davvero pericolosamente). Dunque, vediamo, escludendo i vari e onerosi "impegni accademici", ho fatto il:



1-necroforo (o aiutante becchino) nel 1996 (per pagarmi la prima retta al primo anno di Università; gran bella esperienza; non potevo chiedere di meglio, visto che all'epoca - appena 19enne - mi consideravo un "dylandoghiano doc"; certo, faceva un po' effetto mangiare il panino della pausa pranzo in mezzo a lapidi e lumini accesi, comunque... esperienza formativa: vero il detto che "è dai vivi che bisogna guardarsi, non dai morti");



2-coordinatore tecnico durante le estati degli anni 1997-2000 (aiutavo a promuovere e publicizzare un famoso "Film Festival" in un paesino a una ventina di km dalla mia cittadina d'origine; lì ho potuto conoscere Mario Don Chisciotte, un tipo intraprendente che crede ancora nella rivoluzione e si batte contro l'ignoranza dilagante dei "tempi moderni"; capelli lunghi e pizzetto arricciolato e incolto, gestisce anche una locanda detta - per ovvi motivi di somiglianza fisica col padrone - "del Brigante"; Mario, oltre a saper montare i film, a proiettare, a scucire denaro dallo Stato e dai vari assessori alla cultura della zona, sa fare degli ottimi crostoni; devo ringraziare lui se ho potuto godermi lo spettacolo di tanti film persi durante l'anno e rivisti sotto il cielo stellato dell'estate abbruzzese);



3-guida turistica per gruppi di spagnoli a Roma caput mundi durante l'estate del 2001 (ottima scusa per conoscere meglio il centro storico e gironzolare nelle sale delle gallerie vaticane; unica nota negativa: le file interminabili dei fedeli al pascolo in Vaticano e il caldo afoso, sopportato insieme a schiere di turisti orrendamente sfigurati dal sudore e da un vestuario degno dei peggiori guiris);



4-facchino e mini-bar service presso l'Hotel Excelsior - sempre di Roma - durante la stagione 2003-04 (qui ho conosciuto il mio miglior amico, Roberto detto Robby, o anche "er Polipo", un professore che mi ha insegnato molte cose sulla vita e l'arte di arrangiarsi - in questa vitaccia - oltre al dialetto romanesco doc; ho anche avuto modo di studiare quella speciale razza che va sotto l'anglicismo di "vip"; Fernanda Lessa la più sciocchina; Martina Stella, in compagnia di Lapo Elkan, una vera adolescente dal cuore romantico e trafitto; Alba Parietti, in accappattoio, e alle prime ore del mattino, decisamente uno spettaccolo da evitare; Marta Marzotto, sempre piena di piume; Andreotti, intravisto lungo il corridio di un'ala particolarmente artistica dell'albergo, in mezzo a una decina di uomini della scorta - o erano carabinieri? - comunque, un ricordo che, a posteriori, mi fa apprezzare ancora di più il capolavoro di Sorrentino, Il divo, di cui scriverò anche qui, se non espiro prima l'ultimo respiro);



5-customer service presso la Hertz italiana s.p.a. - a Pisa, nell'aeroporto Galileo Galilei - in compagnia di una banda di sbandati e laureati (alcuni anche dottorati) per l'intera stagione 2005-06 (durante questa occasione ho avuto modo di tornare a scrivere due poesie: una sugli aerei; l'altra sull'asfalto infuocato degli aeroporti);



6-receptionist presso l'Hotel Miralibi, nei pressi del Piazzale Michalangelo, a Firenze - cominciato da un mese, ma lavoro pulito e ben pagato (non posso ancora emettere un giudizio sul capo; i colleghi, invece, sono tutti "brave persone"; i clienti, si sa, sono nati per rompere le palle, ma fa parte del gioco; l'altra sera ho chiamato un ristorante con cui abbiamo una convenzione; ho sbagliato numero, io sono partito a razzo, volevo prenotare per due persone, siete ancora aperti alle 22,30? Risposta - impaurita - dell'interlocutrice: "E' uno scherzo, vero?"; ma anche le figure di merda fanno parte del gioco - o almeno, lo spero).



In sintesi: lavorare stanca. Decisamente.

domingo, junio 22, 2008

Diario di bordo del viaggio verso il Sud del mondo (V)


Il caldo afoso è arrivato anche qui. Molto sbracciate e con scollature generose, le studentesse si chinano sui libri e sugli appunti per un ultimo ripasso prima che io mi sieda e faccia l'appello. La tensione si taglia a fette nell'aria viziata dell'aula; negli sguardi di queste "fanciulle in fiore" si leggono l'ansia e l'angoscia per un voto cattivo o, addirittura, la bocciatura.


"Scusi, professore, posso andare in bagno?". Permesso accordato. La prima recita bene la sua parte. Non per sadismo nè per civetteria, ma al solo scopo di tastarne la tempra, le faccio una di quelle domande cui è impossibile rispondere se non hai studiato a fondo, se non si è approfondito l'argomento di propria spontanea iniziativa. La ragazza alza gli occhi al cielo e tira un sospiro di sollievo. Trenta. Mi ringrazia ma la fermo subito, sono io che ringrazio lei perchè vuol dire che le mie parole non si sono perse nel vuoto, che quanto ho tentato di spiegare è arrivato all'orecchio dell'ascoltatore, che un minimo della mia passione per i libri sono riuscito a trasmetterla a chi prendeva nota e provava a seguire il ragionamento.



Si siede la seconda della lista, una di quelle che mi aveva scelto come suo correlatore. Le tremano la voce e le mani. "Mi parli di un argomento a piacere", dico, tanto per sgonfiare la tensione. Lei parte spedita in uno spagnolo a volte troppo maccheronico, altre decisamente italianizzato, ma abbozzo e la lascio proseguire. Alla terza risposta giusta la interrompo, chiedendole il perchè del suo atteggiamento quando, mesi prima, senza avvisarmi di persona, ha deciso di seguire il consiglio della sua relatrice, ha scelto un altro correlatore, io sono stato informato all'ultimo dalla collega - una tipa losca, che non gode certo di buona reputazione, una con cui non berrei nemmeno il caffè alla macchinetta del corridoio - perchè, le chiedo, perchè non ti sei fatta viva di persona? La studentessa arrossisce; si sente in colpa, evidentemente, e alla fine scoppia a piangere.



Non ho mai fatto piangere nessuno fino a oggi a un esame orale. Forse sono stato troppo severo; forse ha capito l'errore e le spiego che l'esame è andato bene, le metto trenta, perchè è brava e ha studiato tanto e se lo merita, ma l'Università dovrebbe insegnare anche come comportarsi nella vita, dovrebbe insegnare anche la correttezza e non il gioco di prestigio o la gara a chi è più furbo...



Ma com'è difficile, essere imparziali. E com'è complicato fare i giudici. E' tutto così relativo e soggettivo; è difficile per un tipo timido sbloccarsi e superare le proprie paure parlando a voce alta in sede d'esame. Chi sono io per giudicare? Chi mi dà il diritto di far piangere questa studentessa così ligia al dovere e forse così influenzabile da un parere contrario, così piccola e indifesa davanti alla mia scrivania e alla mia domanda intorno alla sua presunta paura di venirmi a dire in faccia come stavano le cose?



Basta così poco per ridurre una persona al silenzio o spingerla sull'orlo del baratro (o spingerla a piangere senza censure davanti a un'intera aula).



Doppo quattro ore si siede l'ultima della sessione pomeridiana. Sono esausto. E mentre lei parla dell'asino di Sancho io guardo fuori della finestra, vedo un campanile che batte le ore, le mezze ore e i quarti d'ora. E' il campanile di una chiesetta che si trova a pochi metri dalla Facoltà. Il tempo scorre lentamente sotto un sole accecante e in questo stesso istante si sentono le grida d'euforia di chi ce l'ha fatta e ha passato l'ennesimo test; e al contempo si sentono le critiche amare di chi non l'ha passato e accusa il professore, hai visto che stronzo, che pezzo di merda, che razza di domande, che antipatico, come mi ha trattata?



E' tutto così relativo e così complicato, chi siamo noi per giudicare gli altri, classificarli attraverso un voto o un numero, un'etichetta o un aggettivo, un "approvato" o un "respinto", un sì e un no...

domingo, junio 15, 2008









Apocalittico
La musica evoca sentimenti e idee con un'immediatezza impossibile alla letteratura (forse solo la pittura le si avvicina, in questo caso). E' vero però che ci sono scrittori che fanno musica con le parole. Come J.D. Salinger in questa frase (che mi fa morire dal ridere, soprattutto se penso alla scena in cui è inserita - da Il giovane Holden): "Non puoi fermare un professore quando vuol fare una cosa. La fa, e basta".

Un altro molto attento al ritmo è Proust:
"A lungo, mi sono coricato di buonora. Qualche volta, appena spenta la candela, gli occhi mi si chiudevano così in fretta che non avevo il tempo di dire a me stesso: "Mi addormento". E, mezz'ora più tardi, il pensiero che era tempo di cercar sonno mi svegliava; volevo posare il libro che credevo di avere ancora fra le mani, e soffiare sul lume; mentre dormivo non avevo smesso di riflettere sulle cose che poco prima stavo leggendo, ma le riflessioni avevano preso una piega un po' particolare; mi sembrava d'essere io stesso quello di cui il libro si occupava: una chiesa, un quartetto, la rivalità di Francesco I e Carlo V" (al di là delle anafore e ripetizioni interne sul verbo "addormentarsi" - o sul suo quasi-omonimo "dormire" - e sul sostantivo "sonno" e "sogno" a esso parallelo, è assolutamente ritmica quella enumerazione nel finale di periodo con lista caotica di oggetti e luogi e persone perse o confuse nel vortice del tempo che passa - è appena passato - sappiamo che sta (già) passando).
Gli esempi potrebbero essere molteplici (e moltiplicabili a piacere). Mi fermo qui. E allora torno a quelle canzoni che (mi) evocano una qualche idea o un qualche sentimento. E curiosamente, penso, ce ne sono due, due soltanto, che riescono a farmi tremare trasmettendomi uno scenario, un'idea, un sentimento e un luogo e un tempo futuri: l'Apocalisse.
Quella fase (temporale) in cui il tempo smetterà di esistere; in cui perfino la Morte avrà finito di mietere le vite degli umani. E in cui Dio, in qualità di Sommo Giudice, leggerà nel libro della vita e ci destinerà nel luogo che la nostra anima si è meritata. Quando tutto è già successo e non serve a nulla arrabbiarsi o protestare. E non serve a niente gridare o piangere. Quando ritroveremo davvero tutti quelli che abbiamo conosciuto in vita (anche quel tizio intravisto sul treno alla stazione, e non ce n'eravamo accorti, lì per lì, sul momento, ma era un tipo interessante che avrebbe potuto allievare il nostro viaggio e le nostre sofferenze del momento, raccontandoci delle sue, ben più tragiche e tristi). Quando riabbracceremo la mamma e il papà, la nostra compagna attuale e la nostra ex e il nostro ex-capo, e ci guarderemo in faccia senza vergogna e senza remore e ci diremo: "Ma perchè? Perchè tanta rabbia e tanto rancore? Come cavolo abbiamo fatto a non capire, a non capirci quella volta? Perchè quel bacio (o quell'assenza di un bacio)? Perchè quel tradimento? Perchè quel licenziamento inaspettato? Perchè tanto sangue e sudore e lacrime amare?".
M'immagino l'Apocalisse e mi vedo a girare in bici in una strada di una città deserta. Io e mio fratello siamo gli unici a percorrerla in quel momento; gli alberi sradicati, il sole basso all'orizzonte, nell'ora del tramonto, sappiamo di essere in ritardo, sappiamo che il Sommo Giudice ci attende, ma anche a rischio di farci sgridare andiamo piano, pedaliamo lentamente, ci fermiamo a guardare i resti di quella che un tempo dovette essere una discoteca (sassi e poltroncine gettate per terra in disordine sparso). E nelle nostre orecchie echeggiano le note e le parole di queste due canzoni (ripeto: le uniche due melodie che riescono a trasmettermi in modo nitido e diretto il senso - il sentimento? l'idea? - dell'Apocalisse, dell'ultimo giorno di tutti i giorni della Terra su cui viviamo): Who Drove The Red Sportscar? del sempre cavalleresco Van Morrison e Nothing Man dei Pearl Jam...

domingo, junio 08, 2008

Mountain-bike

Con questa bici ho percorso la bellezza di 8852 km in 8 anni; la comprai nel 2000, quindi, ormai, è veterana, una Bianchi quasi da rottamare, se non fosse che ci sono terribilmente affezionato. Per intere giornate, sotto il sole estivo, è stata l'amante, la fidanzata, la moglie, l'amica fidata delle mie scorribande in mezzo alle montagne abruzzesi. Per ore intere è stato lo strumento che mi ha permesso di isolarmi dal resto del mondo e di concentrarmi sui miei pensieri. E' quando scendi a tutta velocità da una strada sterrata fatta solo di rocce e sassi che ti accorgi di quanto sei piccolo, rispetto a quelle rocce, quei sassi, quell'erba, la natura insomma. Ed è quando scendi che corri il rischio di cadere. L'adrenalina viaggia nelle vene. I muscoli delle braccia e delle gambe si tendono in uno sforzo congiunto per non perdere mai l'equilibrio. Il sudore scende a fiotti sulla maglia e dietro la schiena, sulla fronte e sopra le braccia. E per un po' ti senti come un uccello che plana al di sopra delle nuvole o come un gatto che scappa riuscendo illeso da sotto le ruote di un tir. Mi manca, la mia bici, in questo momento di stress e di su e giù lungo la penisola. Mi mancano quei chilometri di asfalto o quelle rocce dietro cui si nasconde il pericolo. E chissà fino a quando dovrò starne lontano e farne a meno...

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...