viernes, abril 25, 2008

Diario di bordo del viaggio verso il Sud del mondo (III)

Mi trovo in una stanza d'albergo vicino al centro. Sono al quarto piano e se mi affaccio dalla finestra (vincendo le vertigini) vedo un serpentone d'auto che scorrono su strade intrecciate coi fari accesi e sotto una pioggia insistente. Sì, qui piove, da stamattina alle 6,30 e sembra pieno inverno (sebbene ci stiamo avvicinando a grandi passi alla fine d'Aprile - il più triste dei mesi, secondo T.S. Eliot). Fare lezione mentre fuori piove e in aula si sta al calduccio e gli studenti mangiucchiano le loro merende (Ringo, Duplo, Kinder Fettallatte, etc.) dà una certa tranquillità, oltre che soddisfazione personale. Faccio una domanda difficile e li provoco. Silenzio di tomba: poi uno dal fondo risponde: "Lo schema romanzesco è quello della Comedie Humaine di Balzac". E gli dico: "Bravissimo!", forse urlando nel microfono. Fatto sta che qualche ragazza nelle prime file ci resta male. Errore da evitare in futuro: il professore non può (non deve) elogiare troppo l'uno a scapito di tutti gli altri. Certo è difficile trattare tutti allo stesso modo; ogni studente è un "mondo a sè" e come si fa a farsi apprezzare e capire da tutti? Missione impossibile.
Dalla seconda fila una biondina mi guarda e sembra pensare: "Ma chi cazzo si crede di essere questo qua?". La fanciulla seduta affianco a lei sembra invece lamentarsi: "Ma perchè apre tante parentesi e fa tante digressioni e poi si perde e ti fa perdere il filo?". E parlo e alla fine mi manca il fiato anche se il microfono aiuta e la voce risuana alta e forte all'interno dell'aula enorme.
Dalla stanza accanto sento tacchi di donna che cammina. Poi il rumore dello sciacquone. Poi deve aver dato una tremenda testata contro il letto, sento un'imprecazione. Mi piacerebbe andare di là, fare due passi e scambiare due chiacchiere con questa sconosciuta vicina di stanza. Mi sento così solo quaggiù (tanti, troppi i kilometri che mi separano da casa). Avrei così bisogno di compagnia in questo hotel che svetta sul serpentone di auto. E piove. Continua a piovere. Le lenzuola sono fredde, anche se l'ambiente è riscaldato... Avrei bisogno di un po' di compagnia, oltre che di riposo...

lunes, abril 14, 2008

Mi trasferisco a Cuba...

Oggi, 14 Aprile 2008 (Lunedì, ore 20,11, quando ormai si sa ed è confermato che ha vinto la destra), ho fatto una doppia lettura incrociata: di un'intervista video su Micromega a Andrea Camilleri - le domande le poneva il giustamente "schieratissimo" direttore Paolo Flores d'Arcais - e di un'editoriale di Eugenio Scalfari al suo La Repubblica dal titolo "Oggi possiamo cambiare il paese" (l'editoriale era del giorno prima, Domenica 13 Aprile, quando ovviamente nessuno poteva prevedere quello che poi è accaduto).
Camilleri, col suo accento tipico e la sua voce bronchiale che tanto bene imita Fiorello, dice che Berlusconi è un alieno in quanto al sistema democratico; che non capisce proprio il linguaggio di ciò che comunemente intendiamo per "democrazia"; Scalfari, invece, dice che se pure Veltroni non soddisfa o non convince tutti coloro che si riconoscono nella sinistra (o nel centro-sinistra) è l'unica scelta di campo utile proprio per evitare che Berlusconi torni al potere.
Il nemico numero uno è sempre lui: demonizzato, criticato, osteggiato, sbeffeggiato, le varie "sinistre" sono tutte unite nel colpire lo stesso bersaglio (anche se con tattiche politiche diverse). Io di politica non capisco granchè; di certo è strano che il bersaglio sia stato mancato in modo così clamoroso. La maggioranza degli italiani è dunque di destra (o di centro-destra) e si fida di uno come quello là (si affida a un imprenditore di quella fatta) per sperare in un'Italia migliore, per migliorare le attuali condizioni di vita precarie nel nostro Paese.
Tra i miei amici, domani, ci sarà di sicuro quello che mi farà la tipica battuta: "Ce ne andiamo a Cuba?". Mi verrebbe voglia di rispondergli: "No, meglio la Spagna". Sempre tra le pagine de La Repubblica leggo che Zapatero ha nominato nove ministre donne contro otto ministri maschi per il suo nuovo, secondo governo targato PSOE. Cose lontanissime dall'attuale quadro politico nostrano; cose dell'altro mondo, verrebbe da dire; miracoli che qui possiamo soltanto sognare...
PSOE sta per Partito Socialista Operaio Spagnolo. Oltre al termine "Socialista" è anche l'aggettivo "Operaio" che da noi ormai non ha più senso o non ha più un significato condiviso da tutti e da tutti riconoscibile. PDL, invece, sta per Partito Delle Libertà, che vuol dire, parafrasando col ricordo rivolto a una pubblicità satirica contenuta nel vecchio programma della Dandini L'Ottavo nano: "Facciamo un po' tutti come cazzo ci pare". Sì, è questa la casa delle libertà... un po' tutti come cazzo ci pare...

sábado, abril 12, 2008


Cervantes, "el manco desconocido"




Chi era davvero Cervantes? La domanda se la sono posta centinaia (se non migliaia) di critici, cervantisti e non; è una domanda che sorge spontanea quando siamo davanti ai creatori di opere immortali, dei capolavori letterari che riteniamo "opere classiche", come lo è, nel nostro caso, la storia dell'idalgo (cittadino, tradusse Franciosini) Don Quijote de la Mancha.

Per motivi che “no vienen aquí a cuento”, ho avuto il piacere di seguire le orme di questo autore nelle maschere che si creò all’interno delle varie opere pubblicate in vita. L’autoritratto più famoso (quello anche più ironico ed auto-ironico) lo troviamo nel prologo alle Novelas ejemplares (1613, se non erro, dunque: pubblicate 2 anni prima della II parte del Chisciotte e ben 8 dall’uscita della I): qui Cervantes ci si presenta innanzitutto come “scrittore”, cioè: come l’autore di quella determinata e ben articolata lista di opere. E questo già colpisce, se pensiamo che all’epoca gli scrittori non conoscevano il copyright e non avevano un’idea precisa di cosa fosse essere “autori” (quando oggi una firma diventa spesso un marchio di fabbrica da pubblicizzare del tipo: “Stephen King, l’autore di Shining”). Insomma, Cervantes non è tanto (e non è solo) quello che pubblica La Galatea o Don Quijote, ma anche quello che si azzarda a “novellare” in lingua spagnola sulla falsariga del modello boccaccesco come mai nessuno prima di lui aveva osato fare…
Quando poi passa a descriverci com’è fatto fisicamente, quando si mette a disegnare il proprio autoritratto, beh, a questo punto il lettore non può non apprezzarne il tono giocoso (non si può non sorriderne): non fa che elencare i difetti della pelle pallida e del viso allungato, del naso pronunciato e dei capelli scoloriti e non più biondi, della mano sinistra ferita nella famosa battaglia di Lepanto (nel 1571, quando aveva appena 24 anni, coraggio da vendere, dunque), dell’intera corporatura (non molto veloce di piedi, fin troppo appesantito di spalle) per finire coi denti:

los dientes ni menudos ni crecidos, porque no tiene sino seis, y ésos mal acondicionados y peor puestos, porque no tienen correspondencia los unos con los otros

Verrebbe da dire: che sfiga, solo sei denti in bocca e questi unici denti buoni a masticare “peor puestos” perché non in linea gli uni sugli altri…

Nel prologo alle Ocho commedia y ocho entremeses (raccolta dei suoi tentativi di sfondare a teatro – tentativo vano, visto lo strapotere e la moda delle opere di Lope de Vega, suo acerrimo nemico), Cervantes “spiega” (si fa per dire) la sua assenza dalle librerie (si fa per dire) con una frase tanto breve quanto misteriosa: “Tuve otras cosas en que ocuparme, dejé la pluma y las commedias, y entró luego el monstruo de naturaleza, el gran Lope de Vega…”. A questo punto ci si domanda a cosa si riferisce, a quale periodo della sua vita allude, quando scrive: “ebbi altri affari di cui preoccuparmi” (ma si può tradurre anche: “dovetti occuparmi di altre cose, lasciai la penna e le commedie, ed entrò poi in scena il mostro della natura, il gran Lope de Vega”). Si sa che per 5 anni restò prigioniero degli arabi; e che per ben 4 volte tentò la fuga, invano; si sospetta che un sultano fin troppo clemente con lui (gli evitò la pena capitale: all’epoca e dalle parti di Algeri – o Tunisi – questa consisteva nell’impalamento) dovette prendere a cuore il suo caso anche per motivi che esulavano dalla religione e dalla politica. Rosa Rossi (autorevole ispanista italiana ed appassionata cervantista) ci ha scritto sopra un libro: Sulle tracce di Cervantes (Roma, Riuniti, 1997), sottolineando la presunta omosessualità dell’autore del Persiles. Altri hanno fatto la stessa cosa con Shakespeare, quando hanno attribuito lo “you” (nella forma originaria: “thou”) dei vari sonetti a un soggetto di sesso maschile…Who will believe my verse in time to come, / If it were fill'd with your most high deserts? si domanda l’autore di Amleto con retorica disperazione…

Un altro ritratto cervantino lo troviamo ovviamente nei due prologhi alle due parti del suo capolavoro più universalmente noto: quello che colpisce del prologo alla I parte del Quijote è il ritratto quasi plastico, quasi pittorico dell’autore che è in crisi d’ispirazione e che non sa come andare avanti (lo scrittore messo davanti a se stesso e alla pagina bianca, ancora tutta da scrivere – di fatto la critica ha parlato per questo prologo di un “prologo impossibile”, ovvero di un originalissimo “prologo su come scrivere i prologhi”):

Muchas veces tomé la pluma para escribille, y muchas veces la dejé, por no saber lo que escribiría; y estando una suspenso, con el papel delante, la pluma en la oreja, el codo en el bufete y la mano en la mejilla, pensando lo que diría…

Un quadro perfetto (tanto che in alcune edizioni moderne del romanzo si rimanda al famoso dipinto di Dürer intitolato Melancholia), una descrizione dettagliata dei travagli dell’autore che sta per creare o partorire la sua opera. E come si risolve il tutto, cosa succede dopo questa “suspensión” (che crea anche suspense)? Cervantes s’inventa un caro amico che, vedendolo in questo stato, gli chiede cosa abbia fatto; chi dice “io” (ma siamo sicuri sia lo stesso Cervantes?) espone il suo dilemma: non sa come scrivere il prologo; non sa come aggiungere all’opera quei sonetti o epigrammi laudatori che si era soliti apporre all’inizio di ogni libro per dargli maggiore autorità; nessuno scrittore famoso dell’epoca si è degnato di farlo, di pubblicizzare l’opera; anzi, si sa che all’epoca i detrattori come Lope avevano sparso la voce che Don Quijote fosse un libro sciocco per lettori incolti; Cervantes non sa cosa fare perché la sua creatura è “secca”: niente note a piè di pagina; niente lista di autori famosi alla fine del testo. E qui avviene lo sdoppiamento, come se l’amico fosse un suo alter-ego attraverso il quale farsi l’auto-elogio: a che serve citare Aristotele o Platone, se io so dire a parole mie ciò che essi hanno già detto in passato?

Il prologo alla seconda parte è ancora più geniale e, se si vuole, più umano. Cervantes pubblica la sua seconda parte dopo che un tale Avellaneda, l’anno prima (1614), ha dato alle stampe una Segunda parte aprocrifa del Quijote. Ora, il lettore si aspetta una reazione violenta da parte del “vero creatore” del folle idalgo e invece… Cervantes non si arrabbia; l’unica cosa che lo offende davvero sono le critiche volgari di Avellaneda alla sua vecchiaia e al fatto che lui è monco:

como si hubiera sido en mi mano haber detenido el tiempo, que no pasase por mí, o si mi manquedad hubiera nacido en alguna taberna, sino en la más alta ocasión que vieron los siglos pasados, los presentes, ni esperan ver los venideros

“Come se fosse stato in mio potere fermare il tempo, che per me non passasse, o come se la mia monchezza fosse nata in qualche taverna, e non nella più alta occasione che videro i secoli passati, i presenti, né sperano di poter vedere quelli venturi” (questa una possibile traduzione non letterale e fatta en passant).

Cervantes difende il suo onore di “cristiano viejo”. O almeno, da quanto citato si evince il carattere di un cristiano orgoglioso della sua “limpieza de sangre”, orgoglioso di difendere (o di aver difeso) l’Impero e la Corona con la spada e con la croce (rimettendoci anche la mano sinistra). Come al solito, anche sulla religiosità di questo autore così “misterioso” nonostante i molti dati che abbiamo a disposizione la critica si è divisa: c’è chi, come Américo Castro, considera l’autore un “converso” disilluso e disingannato che guarda la Spagna imperiale ormai al tramonto con pessimismo trattenuto. C’è chi invece, studiando soprattutto l’ultima scena del Quijote, il suo ritorno a casa, il suo rinsavire e il suo morire “cristianamente” come esempio evidente della ortodossia dell’autore. I dubbi restano anche nell’ultimo ritratto da vivo che Cervantes ci regala nel prologo all’ultima opera (apparsa postuma), ossia a Los trabajos de Persiles y Sigismunda: tutta la critica ha notato lo strettissimo arco temporale in cui Cervantes scrive la dedicatoria e il prologo in onore al suo mecenate, il Conde de Lemos, e la data in cui emette l’ultimo respiro: è il 19 Aprile del 1616; di lì a quattro giorni l’autore sarebbe spirato (secondo alcuni la data incerta della morte oscilla tra il 22 e il 23 Aprile; se fosse valida la seconda ipotesi allora ci troveremmo davanti a una fearful symmetry, a una “spaventosa simmetria” (per dirla con Frye), perché quella è anche la data di morte di William Shakespeare – due classici che scompaiono nello stesso giorno, gran sfortuna per la cosiddetta Weltliteratur):

Ayer me dieron la extremaunción y hoy escribo ésta; el tiempo es breve, las ansias crecen, las esperanzas menguan y, con todo esto, llevo la vida sobre el deseo que tengo de vivir

Se dobbiamo prendere alla lettera queste parole, allora vuol dire che Cervantes è davvero “in punto di morte”: ha già preso il sacramento dell’Estrema Unzione; sta per guardare in faccia la morte, eppure… “vivo la vita – o anche: conduco la vita – con il desiderio che ho di vivere”. C’è poco tempo, gli restano forse pochi giorni o poche ore, e a cosa pensa Cervantes? Al desiderio di vivere. Non solo: alla voglia che ha di continuare a scrivere e a pubblicare le opere che, per ora, non ha fatto in tempo a far stampare. E le elenca: Las semanas del jardínBernardo – la seconda parte della Galatea, dedicandole, in anticipo, a Vossignoria il conte di Lemos…

Il prologo vero e proprio drammatizza e narrativizza un ultimo, probabilmente fittizio, incontro di Cervantes con un giovane studente: questi lo incontra per caso per strada e come ogni fan che si rispetti gli si avvicina pieno di timore e di stupore. Segno di riconoscimento: la mano sinistra fuori uso; prova a toccarla, questa non reagisce. Allora lo studente esclama: “Voi, siete proprio voi signor Miguel de Cervantes, el regocijo de las Musas!”. Cervantes risponde con certa autorità: sì, sono io, ma non sono solo la gioia o il divertimento delle Muse (ci lascia intendere che voleva diventare famoso non solo e non tanto come “autore del Quijote”, quindi, come autore comico, ma anche come scrittore serio). I due parlano. In realtà, è l’autore a condurre la conversazione verso un tema piuttosto triste: la sua malattia. Lo studente prova a dargli qualche consiglio, come se fosse un vecchio amico o un medico che dà la ricetta giusta per una pronta guarigione. Poi si abbracciano e si separano per sempre. E qui Cervantes scrive parole dal tono profetico (o apocalittico), anticipando un futuro che è ancora di là da venire:

Tiempo vendrá, quizá, donde, anudando este roto hilo, diga lo que aquí me falta y lo que sé convenía

Verrà un tempo, forse (e questo “forse” ha una carica enorme – nemmeno l’autore è poi tanto sicuro), in cui, riannodando questo rotto filo (il filo del discorso, ma anche: il filo della narrazione), dirò ciò che qui manca e ciò che so che conviene (o “conveniva” o “faceva al caso nostro”). Quindi: verrà il momento in cui potrà raccontare quanto lasciato in sospeso (si riferisce alla storia appena abbozzata dell’incontro con lo studente? O piuttosto alle storie che ha lasciato a metà e che, nella dedicatoria al suo mecenate, ha appena elencato? Non si sa). Poi, aggiunge l’estremo saluto, un saluto che è un addio agli amici, ai libri, alla scrittura e alla vita:

Adiós, gracias; adiós, donaire; adiós, regocijados amigos, que yo me voy muriendo y deseando veros presto contentos en la otra vida

Questo è quello che si aspetta Cervantes: di rivedere i propri amici contenti nell’al di là; di riassaporare le stesse gioie provate sulla terra; di rivivere gli stessi scherzi, gli stessi divertimenti che ha provato da uomo mortale come tutti in questa vita terrena…

A questo punto la domanda: "chi era veramente Cervantes?" resta ancora priva di una risposta univoca. Di certo, dai frammenti citati, si può dedurre l’immagine di un uomo che ha sofferto parecchio, che amava scrivere e che avrebbe continuato a scrivere anche in prossimità della morte e che amava molto la compagnia degli amici e il godimento epicureo dei piaceri della vita di quaggiù…

jueves, abril 10, 2008

La canzone del momento



E' questa la mia canzone del momento: New Soul della brava e bella Yael Naim:



I'm a new soul

I came to this strange world

hoping I could learna bit about how to give and take.

But since I came here

felt the joy and the fear

finding myself making every possible mistake

la-la-la-la-la-la-la-la...

I'm a young soul

in this very strange world

hoping I could learn

a bit about what is true and fake.

But why all this hate?

Try to communicate.

Finding trust and love is not always easy to make.

la-la-la-la-la-la-la-la...

This is a happy end

cause' you don't understand

everything you have done

why's everything so wrong this is a happy end

come and give me your hand

I'll take your far away.

I'm a new soul

I came to this strange world

hoping I could learn

a bit about how to give and take

but since I came here

felt the joy and the fear

finding myself making every possible mistake

la-la-la-la-la-la...

la-la-la-la-la-la...



link (per sentirla e per vederla - prima che impari a "colgar" anche file musicali o video su questo blog...):



http://it.youtube.com/watch?v=tYBLjEaDFDE

sábado, abril 05, 2008

Madri

C'è la madre di Martin che fa la vigile urbana e sta provando a scalare di un gradino, studia per vincere non so quale concorso pubblico imminente; guarda il figlio quando pronuncia la parola "playa" e sorride... forse le ricorda quella canzone degli anni '80 "vamos a la playa" dei Rigueira, quei due cantanti dalla chioma bionda assurda e la voce in falsetto...

E poi c'è la madre di Mirko, che sembra timido e in effetti lo è e non capisco perchè: la madre teme che durante l'ora di lezione d'inglese io e suo figlio si giochi a carte o si racconti barzellette. Mi da fastidio che stia lì a sentire la lezione sulla "-ing form" e il "present continous", perchè non si toglie di mezzo e ci lascia in pace? Ha la vista debole, indossa un paio d'occhiali anni '50 spessi come il culo d'una bottiglia di birra Moretti. Quando Mirko sbaglia e io sottolineo l'errore, lei sbuffa (come a dire: "non sai niente, è proprio vero: guarda che figure mi fai fare"). E allora io evito di correggerlo, tra i due non ho dubbi: faccio il tifo per Mirko, la mamma è una dittatrice, lo tiene sottochio e mi osserva in cagnesco, Mirko dì pure quello che ti pare, non ti correggerò più, "I'm Mirko and I live with my mother" (sarà divorziata? Che acida che è! Ecco perchè: forse è divorziata ed è un'eterna insoddisfatta, una sempre incazzata, che tipa, davvero, che antipatica che è).

E poi c'è la madre di Giovanni, un ragazzino di appena undici anni, è un tipo tarchiatello, a dire il vero, e a dirla tutta, è proprio ciccione, ma mi sta simpatico, fa spagnolo da nemmeno un anno e ha una pronuncia stentata, com'è normale e comprensibile, e allora gli faccio le domande più facili: Giovanni risponde e io gli dico "bravissimo", alla madre, anche lei in carne, brillano gli occhi quando mi sente elogiare suo figlio, e così sono entrambi contenti, anche se a volte faccio finta d'essere severo, gli ho addirittura assegnato dei compiti, delle frasette: "Riempi gli spazi bianchi con la forma adeguata: POR o PARA". Per la prossima settimana, ok? Giovanni annuisce. E la mamma: "Mi raccomando, non lo carichi troppo, c'hanno già tanti compiti da fare, sti poveri figlioli". Offro loro delle nocciole ricoperte di cioccolata (dolce fatto in casa da Alyssa): Giovanni ne mangia una manciata, le afferra a piene mani e mi fa: "Fai i complimenti alla tua compagna, questi dolci sono proprio buoni, complimenti".

E poi c'è quella che vorrebbe che il figlio diventasse Presidente della Repubblica; e quella che ne accetta anche i difetti fisici; e quella che lo vuole muscoloso e lo obbliga a fare palestra (calcio e piscina, tutto insieme), e quella che lo vorrebbe il primo della classe e che se prende 6 le sembra poco, e ogni mamma ha la sua idea di figlio e io che figlio lo sono stato e continuo ad esserlo ringrazio mia madre, che non mi ha mai mandato da nessuno a fare lezioni private anche perchè non potevamo permettercelo...e ciononostante ce l'ho fatta, ho studiato e sono andati avanti, fino ad arrivare qui, a dare lezioni private a ragazzi a volte soffocati da madri a volte fin troppo protettive...

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...