viernes, diciembre 26, 2008

Diavolo d'un von Trier

Come ogni anno, m'ingegno (e m'impegno) a trascorrere le feste natalizie in modo divertente e, soprattutto, rilassante (per questo non esco, non viaggio, non rispondo al cellulare, ai messaggini d'auguri - tranne poche eccezioni, non vedo nessuno - tranne i parenti e gli amici più stretti, me ne sto rintanato, manco fossi un orso bruno in letargo - o un orso marsicano incazzato col mondo intero)... e così, anche quest'anno faccio scorpacciata di libri e film che m'interessano o mi incuriosiscono, che titillano la mia fantasia, al di là delle mode del momento... e così decido di rivedermi le quasi 4 ore della prima parte della serie per la tv The Kingdom (1994) di quel geniaccio malefico di Lars von Trier... che errore madornale! che sciocco sono stato! addio sonni tranquilli!

The Kingdom è forse l'opera migliore del regista di tanti (discutibili e assai discussi, per la verità) successi cinematografici degli ultimi dieci anni (pensiamo a Breaking the waves - Le onde del destino o a Dogville; pensiamo a The element of crime - tra le sue "opere-prime", il primo film in "giallo e nero" della storia del cinema - o il primo che mi sia capitato di vedere con questo abbinamento - o all'assurdo Idiotern - Idioti o al melò con Bjork Dancer in the dark); è una serie che si sviluppa in 4 puntate di circa un'ora ciascuna; e in quanto prodotto seriale è fortemente giocato-orchestrato-strutturato sulla base della regola d'oro della suspense (e dell'interruzione improvvisa della trama in coincidenza con i momenti di massima tensione narrativa). Alcuni critici lo hanno etichettato come "una specie di E.R. girato come se fosse Twin Peaks"); ed in effetti, i riferimenti sono piuttosto azzeccati (David Lynch deve essersi divertito molto a vederlo, se mai lo abbia visto). 

Il "Regno" del titolo non è nient'altro che l'ospedale moderno in cui si svolge l'azione; un luogo di scienza, un centro medico rinomato della Copenaghen di oggi, nato però sulle ceneri di un antico Lazzaretto dove morte, peste e corruzione (dei corpi e delle anime) erano all'ordine del giorno; qui si ammucchiavano i malati incurabili; qui si compivano riti al di là dell'ortodossia cristiana. E il "Regno" dei morti torna a farsi sentire. Una medium avverte la presenza e le grida disperate di una bambina che si scoprirà uccisa in oscuri frangenti nel lontano 1919; i medici ovviamente non danno importanza all'accaduto e trattano la vecchia strega come fosse una pazza che dà i numeri; il primario, svedese (bravissimo l'attore, di cui ora non riesco a trovare il nome su Google), inizia a maledire i colleghi danesi (famosissime in Danimarca le scene in cui questo scienziato pazzo urla contro i suoi vicini di casa chiamandoli "cani, canaglie, pezzenti" dal punto più alto dell'ospedale); gli altri si danno da fare a mettergli i bastoni tra le ruote (sembra che questo famoso chirurgo abbia commesso qualche errore di troppo durante un'operazione al cervello causando la semi-paralisi della piccola paziente - un'altra bambina sfortunata o "dannata", dopo quella che ci appare sotto forma di fantasma all'inzio del film). C'è pure chi, ancora studente, si diverte a spaventare le amiche tagliando la testa al cadavere che il prof. di anatomia usa per le sue lezioni; e chi, come il nemico numero uno del primario svedese, ne approfitta per crearsi una "stanza privata" nei sotterrani del "Regno" riciclando e accumulando la roba che non si usa o viene sprecata in ospedale (riciclo e smercio di microscopi; colliri; garze; etc. - che idea assurdamente geniale)... e c'è chi resta incinta (nota bene: almeno questa prima parte di The Kingdom è altamente sconsigliato a un pubblico femminile impressionabile e/o che sia in stato di gravidanza). E poi ci sono i due disabili che, dalle cucine dell'ospedale, commentano la storia come fossero una sorta di "coro" che contribuisce da un lato a raccapezzarsi nella trama intricata del film, dall'altro a trasmettere ancora più inquietudine nel povero spettatore...

Lars von Trier si diverte a prendere in giro proprio le nostre paure più arcaiche e ancestrali; e ci porta con mano sicura (anche se traballante - quasi tutta la serie è girata con camera a mano - uno dei principali "recursos" del cosiddetto Dogma) fin dentro gli incubi più atroci legati a questa vicenda di morte e di anime in pena che non riescono a trovare la pace nel mondo dei più.

Risultato: ci si prendono dei grossi spaventi; si ride (in alcune scene in cui il grottesco la fa da padrona e gli attori sembrano marionette impazzite in mano a uno scienziato - appunto - pazzo); e si trema per tutta la durata della serie... Ieri sono riuscito ad addormentarmi verso le 3 del mattino.

Oggi ho preso un treno da Roma in cui si pubblicizzava una mostra dedicata a Jean-Michel Basquiat che, guarda caso, s'intitola "Fantasmi da scacciare" (appunto - fino a Febbraio, al Museo del Corso, in via del Corso).

Stasera avverto degli strani rumori provenire dalla soffitta di casa; il che è allarmante perchè la soffitta è vuota, non ci vive nessuno, ci appoggiamo reti e materassi vecchi che non usiamo...

Diavolo d'un Lars von Trier...

P.S.: una mosca si è posata sullo schermo del computer (al 26 Dicembre... col freddo che fa... una mosca... porca vacca!)

sábado, diciembre 20, 2008

Tempus ruit

Nel bel saggio Mimima temporalia (Roma, Sossella, 2005), il filosofo teoretico Giacomo Marramao ci fa riflettere, tra le altre cose, sull’incredibile “accelerazione” dei tempi cui ci stiamo ormai abituando in questa nostra età moderna che sembra andare sempre più di fretta; cito:

 “La condizione moderna vive […] sotto una costrizione perenne: per guadagnare tempo, essa non può fare altro che temporalizzare tutto ciò che incontra sul suo cammino. Ma questa inflazione del tempo induce il paradosso della “morte del tempo”, del “tempo esaurito”: ogni futuro che il progetto moderno “intenziona” può sussistere nella sua effettualità solo in quanto delineato al passato”.

Temporalizzare: pensiamo alle offerte pubblicitarie che ci giungono da ogni mezzo di comunicazione (radio, tv, gionali, cartelloni in mezzo alla strada, etc.); non ce n’è quasi più nemmeno una che non punti sul fattore “tempo”: “approfittatene ora, comprate questa tv al plasma, questo cellulare, questa cucina, quest’auto, vi costerà il 20, il 30, il 40, il 50% in meno”, con la solita, eterna postilla: “offerta valida fino al 31/12/2008”…. Quando poi, scaduta l’offerta, basta guardare la pubblicità del mese seguente che ripete la stessa solfa, anche se con la “scadenza” spostata di un mese, per cui l’ “offerta sarà valida fino al 31/1/2009”…

O pensiamo alla programmazione cinematografica: l’ “ultimo” film di Woody Allen, l’ “ultimo” dei fratelli Vanzina (quello sì, a scadenza annuale, ogni Natale una boiata pazzesca per fare stare tranquilla la gente che paga per “non pensare”), l’ “ultima” puntata sull’Uomo Ragno, o Batman, o i Magnifici Quattro, etc. etc….

E’ vero, non possiamo non dirci d’accordo con Marramao: tutto è temporalizzato; ergo, tutto è soggetto a “morire nel tempo”, che fugge, scappa via, sguscia senza scampo, ci domina, ci perseguita, ci ingloba e ci include (sempre da sempre e ogni giorno in continuazione). Tanta l’angoscia che ogni cosa (ancora prima di nascere) non può che essere presentata, vagheggiata, “sperata” e “aspettata” se non come “cosa già da sempre appartenente al passato”… Perfino un progetto futuro può apparire, presentarsi, mostrarcisi come “progetto già declinato al passato”…

Che paradosso, che assurdità, che spreco di energia, ma quant’è vera questa asserzione se, ancora una volta, osserviamo quanto succede nel campo dell’arte… Ormai un film resta e resiste nelle sale cinematografiche per “non più” di una settimana (due al massimo, se ha davvero un successo tale da consentirne il “parcheggio temporaneo” per più di quel tot); o pensiamo ai libri, non solo ai cosiddetti best-sellers, ma ai libri di qualità, o che tali ci appaiono… Quanto dura oggi un libro in libreria (possiamo includere nel discorso i discount, i grandi supermercati o, in generale, la grande distribuzione – Feltrinelli, Ricordi, MelBookStore, etc.)? Quanto tempo ha a disposizione il lettore per comprare il libro che lo attira prima che questo venga ritirato dagli scaffali? Gli unici a resistere negli anni sembrano Omero, Dostoevskij o Proust, ovvero i cosiddetti “classici”… e per gli altri? Quanto il tempo a disposizione?

Ma pensiamo anche alle “anticipazioni”… Pensiamo ai “trailers” che dovrebbero metterci al corrente di un nuovo film… Perfino i “trailers” nascono morti; persino una pubblicità che dovrebbe titillare la nostra fantasia (i nostri “progetti per il futuro”) sembra appartenere al passato… e questo per due motivi fondamentali: 1) perché i trailers si assomigliano tutti più o meno tra loro (la ripetizione non aiuta a distinguere o a ricordare distintamente un film dall’altro); e 2) perché anche i trailers durano troppo poco per restare impressi nella nostra memoria troppo labile, e troppo “pressata” dalla succitata accelerazione dei tempi, per cui passa una settimana e di quel film di cui ho visto il trailer non ricordo già più nulla, o pochi dettagli, e poi se anche li ricordassi, ormai è tardi, è passata una settimana, il film è letteralmente “scomparso” dalle sale, dovrò aspettare la versione in dvd, o la copia pirata scaricata da internet… che noia, che palle, che sòla…

Il tempo fugge; le notizie che il giornale di oggi vuole presentarci (o darci in pasto) come fossero “le ultime novità scottanti”, “l’ultimo scoop straordinario”, già il giorno dopo sono polvere e cenere, già nessuno le ricorda più in tutta la loro “scottanza”; le novità diventano ricordi sbiaditi nell’arco delle 24 ore; il mio pc (nemmeno un anno di esistenza) è già preistorico, rispetto agli ultimi modelli; idem per il mio televisore (che non è né al plasma né a cristalli liquidi, e seppure lo fosse…); idem per il mio stereo; idem per quella notizia che ho registrato dalla tv o staccato e ritagliato dal giornale di ieri… In una situazione simile, che fare? Rallentiamo? Ci accontentiamo di restare a galla? Scegliamo di viaggiare con lentezza e di coltivare il ricordo come arte sopraffina che “trattiene” solo quanto ci colpisce davvero ed è davvero importante per noi? Fino a quando saranno vere le notizie che ricaviamo da una ricerca su internet? Fino a quando saranno lette come “notizie”? Fino a quando continueremo a leggere (leggere vuol dire anche esercitare la memoria per interpretare e conservare il senso di quanto sta scritto nel libro – o supporto tecnologico che esso sia)? Fino a quando continueremo ad assistere alla “morte del tempo” o al suo “esaurimento”? Davvero Google ci renderà tutti più stupidi? Io non lo so; e non è che Marramao ci dia risposte confortanti… Anche se ribalta la questione: forse non è possibile fare esperienza del tempo senza lo spazio; anzi, ogni esperienza di tempo è sempre anche (da sempre?) “spazializzazione del tempo”. E allora le domande da porsi saranno altre e riguarderanno i luoghi, gli spazi fisici, i quadri e i confini che ci abitano/abitiamo ogni giorno, giorno dopo giorno, cambiando necessariamente il punto di vista su quanto abitiamo, occupiamo, vediamo, sentiamo… Ma, appunto: questa è un’altra questione (spinosa), meglio fermarsi qua.

martes, diciembre 16, 2008


INSOMNIA

16 Dic 08, ore 1,43

Uno si può ritrovare talmente solo, a volte, da preferire la lettura dell'articolo di un amico filosofo (danese) dal titolo “L'Esistenzialismo è un Umanesimo?” alla visione dei programmi della tv di prima serata. E può patire talmente tanta solitudine da appoggiare l'orecchio alla porta per spiare chi stia entrando in questo preciso momento nella porta dell'appartamento di sotto (è Lunedì, ovvero Martedì: improbabile si tratti di qualcuno che torna dalla discoteca, domani è giorno lavorativo, non si rincasa così tardi se poi la mattina bisogna essere operativi per il lavoro). Chi sarà l'insonne? Come faccio a superare anche questa nottata in bianco?
Dopo la lettura dell'articolo decido che è giunta l'ora di far sapere all'autore cosa ne penso del suo contributo (poteva pure toglierlo quel punto interrogativo nel titolo). Mi piace il modo in cui pone le domande più complesse, quelle cui è quasi impossibile rispondere. Mi piace sentire il rumore della sirena d'una volante a quest'ora tarda della notte, ti fa sentire meno solo, e più in centro (noi che siamo in periferia; è sì, zona residenziale, ma è pur anco e pur sempre periferia, checchè ne dica la padrona).
La volante sfugge via sgommando. L'inquilino del piano di sotto accende la tv, è a tutto volume, l'abbassa immediatamente, forse arrossisce di vergogna (tutto sto rumore a quest'ora, che diranno). Spengo il pc; apro la finestra (freddo becco); due cani randagi camminano lentamente annusandosi mutuamente, vicino ai secchioni della spazzatura. E' notte fonda e non vedo l'ora che torni il sole. Un po' di giorno, per cortesia. Luce, per favore...sennò qua famo notte!

lunes, diciembre 15, 2008

Luoghi percorsi e frequentati nell’arco di una giornata

 

Ci sono dei giorni durante i quali il nostro “io” (con tutto l’ambaradan di corpo e di spazio e di mente e di cellule che esso si porta dietro) percorre (o si trova ubicato in modo temporaneo in) una diversità – a volte davvero – impressionante di luoghi e posti e città diverse. E quando accade, quando il corpo e la mente si ritrovano per lassi di tempo determinati dentro (o entro) spazi, città e luoghi diversi, quando ciò si verifica (per una molteplice e variegata serie di concause che non è qui il caso di nominare) allora è come se l’ “io” si disperdesse e non fosse più “io” (o come se l’ “io” facesse una fatica immane nel riconoscersi come “io” e nel ricostruire con esattezza l’ordine cronologico degli spazi visitati).

Questa giornata che si appressa a finire è stata, per me, una di quelle: provo a fare mente locale; dunque, sono stato, in meno di 24 ore in due città diverse: Firenze e Pisa; in molti luoghi diversi: casa mia, la strada che da casa mia porta alla stazione, dentro il treno regionale che unisce Firenze a Pisa (direzione Livorno), la strada che dalla stazione centrale di Pisa porta all’Istituto Comprensivo “Fibonacci”, dentro le aule 1A, 2A, 1B e 2B (con relative classi di studenti di medie scalmanati e indisciplinati), dentro la segreteria (e poi la presidenza) di suddetto Istituto, di nuovo lungo la strada che porta dalla scuola alla stazione, dentro la mia ex-casa pisana in compagnia di un mio ex-coinquilino, lungo la strada che unisce la mia ex-casa con l’Università, l’Università di Pisa (in particolare, dentro un ufficio di una mia collega nel Dipartimento di Lingue), poi dentro il bar sotto il Dipartimento, e poi di nuovo per strada, fino a raggiungere la biblioteca di Scienze Naturali (una biblioteca ultra-moderna e nuova di zecca, computer Mac per gli utenti, possibilità di navigare in internet gratis via wireless se si è studenti e si è dotati di apposito numero di matricola), e poi di nuovo la strada fino alla stazione centrale di Pisa, e di nuovo ancora dentro il treno regionale che unisce Pisa a Firenze Santa Maria Novella, e da qui all’hotel Magnum, in viale Amendola, vicino Piazza Beccaria, per risalutare degli ex-colleghi cui sono rimasto particolarmente affezionato, e poi di nuovo lungo la strada che, percorsa in bici, mi ha riportato finalmente dentro casa mia, zona Piazza Le Cure, vicino a viale dei Mille…

L’ “io” si smarrisce e si domanda quanti “io” siamo stati per tutte quelle persone con cui siamo entrati in contatto, con tutti quelli che conoscevamo già prima o con quelli che non conoscevamo affatto, quanti “io” siamo stati mentre parlavamo con l’amico di vecchia data, la collega dalla gonna dallo spacco provocante, la sindacalista dalla faccia acida, la preside dalla faccia stressata e i capelli arruffati, gli studenti che fanno i furbi e le pernacchie, gli studenti universitari che, chini sui libri, fanno delle lunghe pause davanti ai Mac e si mettono a chattare con gli amici via messanger, la barista, i camerieri, i controllori dei treni, i barboni di Santa Maria Novella, i drogati che ti chiedono 2 euro per il biglietto, la fidanzata che ha appena finito di prepararti la cena…

Il solo elenco delle persone e dei luoghi che “io” ho percorso o visitato temporaneamente in questa giornata mi da i brividi… Troppi posti diversi e troppi “io” contrapposti da poter ricordarli e visualizzarli tutti… Troppi luoghi che ci hanno ospitato troppo in fretta forse; e chissà se domani avremo voglia o modo di tornarci; e chissà fino a quando queste strade che percorriamo ogni giorno ci vedranno ancora passare come “passanti abiutali”…

jueves, diciembre 11, 2008



Senza internet (si può stare)

 

Per non so quale oscura ragione mi è scomparsa la connessione wire-less grazie alla quale riuscivo a tenermi “attaccato” a internet. Provo e riprovo, ma nulla, non va. Mi dispiace non poter leggere il giornale, non poter ascoltare Radio 2, non tenere aggiornato il blog, non poter leggere il blog letterario “Non solo Proust”, di Gabriella Alù (una simpatica lettrice inquieta, curiosa e “obliqua” come ogni vero lettore di razza che si rispetti – lungi da lei il tono accademico di taluni critici nostrani – che poi sbagliano anche i congiuntivi). E mi dispiace non poter rispondere a Giovanna per quella questione sull’Università e le date degli esami di Gennaio… e non poter sapere se Silvia ha alla fine risposto alla mia, di email.

Come ci siamo ridotti: a dover dipendere da internet, a doverci sentire soli o persi senza internet (la rete globale che ci ha ormai inglobati dentro di sé, facendoci spesso perdere di vista i contatti “reali” con le persone “reali”)…

Fumo una sigaretta in balcone e osservo la cupola del Brunelleschi. Mi telefona Roby, dice che ha scoperto di soffrire di una malattia della pelle incurabile (in sottofondo si sentono le campane di chissà quale chiesa della periferia romana): “Non posso sta al sole, so intollerante ai raggi solari, te rendi conto? E st’estate so annato pure ar mare, capisci che cojone so stato?”. Roby mi riporta col pensiero a Roma, a quest’estate, quando trascorrevo intere ore della giornata a girare in mountain-bike per i monti abruzzesi. Ora sono fermo; isolato dal mondo; in una casa nuova che non sento ancora come “la mia casa”; circondato da vicini fantasmi; incazzato col mondo intero; nostalgico dell’ultimo viaggio a Madrid; in attesa che il Natale passi il più in fretta possibile…

E ripenso a quell’amico pisano che, il giorno in cui decise di farsi mettere la connessione adsl, scoprì che la linea telefonica era intestata al vecchio padrone di casa, una persona morta nel 1982: “Le bollette continuano ad arrivare a nome suo; è lui l’intestatario, e non sai che imbarazzo quando mi chiamano quelli del call-center e mi chiedono se è in casa il signor Conti e io sono costretto a fingere, a dire che per il momento non c’è, riprovate più tardi, perché ho paura che, se dicessi loro la verità, potrebbero fare dei controlli e scoprire che siamo in nero, in affitto, ma senza contratto legale, ti rendi conto, sono incastrato, cazzo, non posso mettermi la linea internet adsl 24 ore su 24 perché tutto dipende dalla dipartita di un caro signor Conti che chissà ora cosa penserebbe se vedesse ancora il suo nome stampato sulle bollette che paghiamo io e mia moglie, che situazione assurda”.

E proprio perché sono senza internet, ne approfitto per leggere più di quanto non faccia di solito: ho iniziato The Great Gasby, di Scott Fitzgerald, che grande classico, ragazzi, che colpo al cuore, che emozioni palpabili a ogni scorrere di pagina, ha un incipit che ti lascia con il fiato in gola. Sembra di ascoltare la voce di Marlow quando ci presenta i primi dati intorno a Kurtz, quel genio impazzito che vive nel “cuore di tenebra” della giungla congolese, lontano anni luce dalla razionalità della cosiddetta “civiltà” (occidentale). Siamo negli anni del boom economico e del rilassamento dei costumi sociali della puritana e ricca America (i cosiddetti “roar twenties” – i magici e ruggenti anni 20). Siamo a pochi passi dalla casa del Gasby che dà il titolo al romanzo. Siamo insieme a Nick, che ci parla di sé e parlando di sé ci fa conoscere passo dopo passo questo grande personaggio che risponde al nome di Gasby. Siamo testimoni oculari delle apoteosiche feste che Gasby offre a casa sua; il bello è che è talmente ricco e generoso da permettere a perfetti sconosciuti di infilarsi nelle sue feste; ed è talmente di larghe vedute da fingere di essere davvero loro amico quando questi perfetti sconosciuti gli si avvicinano per un brindisi o per una stretta di mano sportiva. Siamo tutti amici di Gasby, anche se continuando a leggere ci rendiamo conto del fatto che qualcosa non torna, qualche particolare ci sfugge, Gasby sembra essere l’uomo più felice sulla Terra, ma forse non è così, e Nick lo intuisce, anche se nemmeno lui sa spiegarne il motivo… Siamo in biblioteca; un personaggio misterioso (forse quello più misterioso di tutti), un tipo occhialuto che viene apostrofato dagli altri come “il Gufo”, è mezzo ubriaco e sdraiato su un divano. Appena vede entrare il gruppo di ragazzi e fanciulle in cui si trova immerso anche Nick fa un’osservazione per niente banale: “Sono tutti veri”, dice, e lo ripete: “tutti veri”. Si sta riferendo ai libri, ai tantissimi libri che costituiscono la biblioteca personale del padrone di casa. Continuiamo a leggere, con l’idea che l’osservazione del Gufo potrà aiutarci a sbrogliare la matassa delle domande che restano senza risposta intorno alla vera natura di Gasby. Il ritmo è musicale, lo stile ci cattura, Nick continua il suo racconto e noi lettori perdiamo per un po’ il contatto con la realtà grigia che ci circonda… con la cupola del Duomo sullo sfondo, quasi immersa nel buio delle quattro del pomeriggio…

P.S: se ora (11 Dic 08, ore 13,22) sono riuscito a riconnettermi, è evidente che quanto scritto appartiene a un tempo ormai consumato e svanito nello scorrere dei giorni; quindi, è ovvio che ora guardi a quanto accaduto come a un incidente di cui conosciamo il finale; nessuno si è fatto male, i feriti sono lievi, la strada è di nuovo percorribile (in avanti o all'indietro, come più ci garba)... 

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...