viernes, septiembre 23, 2011

Il mondo a rotoli (?): scampoli di fine Settembre




Mi sembra tutto così strano, oggi... Tra poco ci sono gli esami e mi risulta strano dover prendere carta e penna, fare l'elenco dei nomi, vedere chi è presente e alza la mano e procedere alle interrogazioni (sempre le solite domande, alla fine, si esce dall'aula a pezzi, perché non si sa più cosa diavolo inventarsi per non cadere addormentati e stecchiti sulla cattedra)...

Ieri, invece, ero nello studio di una collega più avanti con l'età, anche se non di molto. Una brava, in gamba, un po' arcigna, a volte, ma nel complesso, una persona degna e che fa il proprio lavoro con serietà e passione. Ci siamo scornati sul mio stile: dice che così non va, che così questo libro non lo posso pubblicare, che il lettore si stanca, che questi aggettivi stonano al suo udito, che uso troppe volte la parola "mistero" e la parola "inquietudine", che a volte i miei periodi sono troppo lunghi e ci sono troppe, davvero troppe digressioni, così il lettore si stanca dopo le prime 30 pagine e smette di seguirti, il lettore, ricordati che di là c'è qualcuno che ti legge, mettiti nei panni del povero lettore...

E io ci provo a mettermici, ma non riesco poi mica così bene a immaginarmi com'è e che faccia avrà (o potrebbe avere) questo fantomatico lettore... Che ne so io chi mi leggerà? Non so neppure se ci sarà davvero un lettore, a questo punto dell'opera! E poi mi viene in mente la citazione di non ricordo più chi, uno che diceva: "Lo stile è l'uomo", e mentre lo penso e lo scrivo ora, a freddo, nella mia stanzetta, mi accorgo che a certi vezzi, a certi giri di frase, a certe parole mi risulterà davvero difficile rinunciare, ognuno ha il suo stile, se il mio a volte risulta barocco, o difficile, o troppo complesso o stancante, pazienza, "l'uomo è lo stile" o "ognuno ha il suo stile"...

Il mondo va a rotoli. C'è chi predica e vuol razzolare; e chi, invece, sta fermo e finisce magari sotto i resti di un satellite esploso che cade giù dal cielo come un meteorite di cui è difficilissimo calibrare matematicamente la traiettoria (è questo il mio stile, ok?).

Una mia ex mi chiama: me l'avevo promesso, me l'aveva perfino anticipato via Facebook, e l'ha fatto davvero. Il mondo sta impazzendo: ridiamo e scherziamo e ci facciamo le vecchie battute come due comici che si ritrovano a distanza di 10 anni... Tanti ne sono trascorsi dall'ultima volta che ci siamo baciati con una certa passione e un certo trasporto.

E' incredibile: non solo il tempo non cura le ferite e non migliora le cose, non solo noi non cambiamo, e non miglioriamo, anzi, è il contrario: il tempo ferma le ferite, le blocca, le lascia aperte e, nel tempo, noi diventiamo peggiori di quello che sembravamo, perché i nostri difetti sono sempre gli stessi, solo che ora sono aumentati, o meglio, si manifestano all'ennesima potenza.

"E quando mi chiamavi "piccola"? Te lo ricordi?".
"E quando andavamo a fare la spesa insieme e tu avevi sempre pronta la lista e io compravo sempre qualcosa che non era nella lista e t'arrabbiavi?".
"Dio, quanto ti ho amato!".
"E quanto ti ho pensata in questi ultimi mesi, e quante volte ho pensato di chiamarti e non l'ho fatto, perché temevo che tuo marito potesse arrabbiarsi!".
"Ma mio marito non deve arrabbiarsi, perché queste sono cose mie, private, tu fai parte di me, e mi conosci fino in fondo, lui non capirebbe".
"E ti confesso che anch'io penso lo stesso: tu fai parte di me, sei dentro la mia memoria, il mio cuore, il mio spirito, non posso né potrei mai dimenticarti"... e così di seguito, fino alla fine del mondo che va a rotoli tra i rantoli...

Mi sembra tutto così strano... Tornare in cattedra, vedere i volti di studenti mai visti prima, ascoltarne le chiacchiere seduto e in ordine, con la giacca stirata e la camicia pulita... E' tutto così strano, questo fine Settembre qua...

miércoles, septiembre 14, 2011

Los girasoles ciegos, di Alberto Méndez: Guerra Civile e morti in vita (che tornano a morire)




La bibliografia su uno dei drammi più feroci e ancora "scottanti" della Storia della Spagna contemporanea, ovvero, la Guerra Civile, continua a crescere ogni giorno che passa; non c'è mese che non faccia la sua apparizione (tra i libri più venduti) un romanzo, un saggio o un film o documentario ambientati, o sviluppati o incentrati sull'analisi dei dati che si possiedono a oggi su quell'evento fratricida.

Tra i libri che più mi hanno colpito ultimamente sull'argomento c'è, senza dubbio, la raccolta di racconti Los girasoles ciegos di Alberto Méndez (Barcelona, Anagrama, 2004 - esiste una trad. it., a cura di Bruno Arpaia, I girasoli ciechi, presso Guanda), un professore dell'Università "Complutense" di Madrid, morto a 63 anni, proprio quando il suo libro stava per ottenere un successo notevole sia presso il grande pubblico che presso i critici più attenti e raffinati...


Il libro raccogli 4 racconti, ogni racconto rappresenta una "derrota", ovvero, una "sconfitta"; ogni racconto è ambientato in un anno diverso e presenta anche un sottotitolo che specifica subito il tema che verrà affrontato.


Il primo si intitola "Si el corazón pensara dejaría de latir" ("Se il cuore pensasse smettere di battere") e parla della imminente condanna a morte di un generale franchista catturato dai repubblicani e in attesa di giudizio perché sembra che, proprio nel giorno della vittoria di Franco, sia passato al nemico (o abbia passato ai repubblicani informazioni top-secret). L'ottusità dei soldati; le ferree leggi dell'esercito nazionalista; la retorica ampollosa dei vincitori; la violenza delle carceri franchiste e l'abbrutimento dell'essere umano costretto a vivere in carcere in attesa della sua ultima ora sono tutti elementi che il narratore ci descrive e ci trasmette con un linguaggio plastico e visivo molto forte e diretto.


Il secondo racconto, "Manuscrito encontrado en el olvido" (ovvero, "Manoscritto trovato nell'oblio") è, a mio modesto parere, quello più scioccante di tutti: un ragazzo di appena 18 anni fugge insieme alla sua giovane fidanzata (o moglie) che muore nel mettere al mondo il loro bambino. Il padre deve far fronte alla sconfitta del suo esercito (quello del Fronte Popolare), alla fame del neonato e sua, alla presenza costante ed inquietante del cadavere della donna all'intero di una stalla nascosta in una montagna piena di neve. Il racconto si presenta come il diario di bordo che il ragazzo scrive per non impazzire e perché possa diventare testimonianza diretta dell'orrore della guerra appena finita. La morte è incarnata nella paura di sopravvivere in un contesto in cui non c'è più speranza. Quando muore anche l'unica mucca che può dare il latte necessario alla sopravvivenza del bambino, il giovane padre non sa più che fare, se non sfruttare quel poco di matita che gli resta per sognare un mondo migliore e per mettere nero su bianco le sue sensazioni in prossimità della fine... E' uno dei racconti più belli che abbia mai letto fino ad oggi...


Il terzo s'intitola "El idioma de los muertos" (ovvero, "La lingua dei morti") ed è il racconto con gli echi più biblici dei quattro. Un soldato si salva da un'esecuzione sommaria finendo, ferito, sotto il cumulo dei cadaveri dei suoi compagni di battaglia. Nessuno si è accorto che sotto quei corpi c'è ancora vita, c'è ancora qualcuno che, in mezzo al sangue e all'odore fetido dei morti, respira e vive. Sorta di Lazzaro tornato dal mondo dei più, il soldato Juan Serna passeggia tra i vivi come una sorta di fantasma. Viene nuovamente catturato dai franchisti e sottoposto a giudizio (sommario, come voleva la prassi). Rispondere alle domande insistenti dei suoi carnefici gli risulta assurdo come essere riuscito a sopravvivere in mezzo a quei cadaveri. Si chiede in che lingua comunichino i morti nell'al di là e si prepara ad affrontare il boia per una seconda, definitiva morte... Impossibile non provare brividi nel leggere questa storia di un redivivo che torna in vita solo per essere di nuovo condannato a morte dai boia del dittatore...


Il quarto e ultimo racconto, "Los girasoles ciegos", quello che da il titolo all'intera raccolta, è narrato dalle voci di più personaggi: un prete che s'invaghisce di Elena, la madre di Lorenzo, un bambino di 7 anni il cui padre vive nascosto in casa all'interno di un armadio a muro; Lorenzo, quando ormai ricorda quegli eventi da adulto e a posteriori; un narratore esterno che segue gli andirivieni del prete tra la scuola e la casa del piccolo alunno, perché ormai invaghitosi perdutamente della madre di lui. La lascivia con cui il prete tocca la donna in un primo approccio sessuale; il tono dottorale o professorale con cui prova ad istruire Lorenzo sul senso della vita e su chi sono i buoni e chi i cattivi; l'ipocrisia con cui cerca di giustificare le proprie azioni davanti a Dio e alla propria coscienza sono tutte caratteristiche che fanno di questo prete una nuova reincarnazione del Demonio. 
Altrettanto (se non più) emblematico di questo personaggio, quello del padre del ragazzino, un padre che vive dentro un armadio, nell'oscurità più totale, perché ha avuto la colpa di appoggiare l'esercito che ha perso. La paura di essere scoperto lo spinge a rintanarsi con tale cura dentro la propria abitazione da non sopportare più i rumori e le luci che provengono dal mondo esterno.
Si tratta dell'ennesimo, bellissimo tassello di un racconto sulla Guerra Civile che spiazza e turba e fa riflettere il lettore contemporaneo, così lontano, eppure, così vicino a quegli avvenimenti ricordati con uno stile così deciso, forte, realistico e crudo.


[L'immagine è il poster del film  tratto dal libro: il regista è José Luis Cuerda; il film è del 2008, ancora non l'ho visto, ma sapere che tra gli sceneggiatori c'è anche Rafael Azcona, il mitico co-autore di tanti film di Marco Ferreri, mi fa ben sperare...]

lunes, septiembre 12, 2011

Avere 34 anni (e non sapere ancora bene cosa fare della propria vita)


L'8 Settembre non è solo il giorno della Natività della Vergine (Maria). E non è soltanto il giorno dell'armistizio seguito al "proclama Badoglio" (1943, era l'inzio della fine della Seconda Guerra Mondiale). E' anche il giorno del mio compleanno... il mio 34esimo compleanno, per essere precisi. "Allora, come ti senti?", chiede mia madre, in procinto di apparecchiare la tavola (non verranno molti invitati, solo i nonni). Come mi sento? Felice e confuso, mi verrebbe da risponderle citando il titolo di una famosa canzone di Carmen Consoli (Dio mio, che fine avrà fatto Carmen Consoli? Dove sarà in questo preciso istante? Abita a Catania o a Palermo? Sarà in tournè? Che strani pensieri mi vengono in mente oggi).

In realtà, mamma sta preparando la festa per mio fratello che, dopo tanto, è riuscito a superare anche la parte orale dell'esame da avvocato. Oggi è un giorno felice per entrambi. Gli ho regalato una bottiglia di champagne: abbiamo stappato non appena la commissione ha emesso il verdetto, e ci siamo sbronzati come due scemi davanti al Tribunale minorile dove si svolgevano i colloqui... Mia madre era felice. Mia sorella era felice. Mio padre (che pure non c'era) era felice. Io ero felice? Sì, in parte, insomma... ero felice per mio fratello, felicissimo per lui, ma per me, insomma, stavo compiendo i 34 anni e un po' di dubbi mi sono venuti... sto invecchiando, è stato il primo pensiero, invecchio, Cristo...

Poi accendo internet. Una mia carissima amica mi ha mandato il suo particolarissimo regalo... una sua foto, scattata in riva al mare, al tramonto, con i capelli al vento e un sorriso che spiazza... (sì, è una delle 2 o 3 lettrici di questo blog, è una di loro). Le rispondo immediatamente: "Quanta abbondanza! Che Iddio ti benedica!".

E poi vado a vedere la lista enorme (e per me inusuale) di persone che mi hanno fatto gli auguri via Facebook (sì, avete capito bene: Facebook, alla fine ho ceduto anch'io, per colpa di un gruppo di colleghi spagnoli che mi prendevano in giro e che volevano mandarmi a tutti i costi le foto delle nostre numerose cene insieme a Madrid... ho ceduto, cazzo, e mi rendo conto di quale schiavitù possa diventare avere un profilo su Facebook, comunque, questo è tema di un altro post, concentriamoci sul compleanno)...

Incredibile, mi fanno gli auguri anche persone che non ricordavo neppure più di avere conosciuto (a Roma, a Napoli, a Torino o a Salerno, a Madrid, Barcelona, o a Santiago de Compostela). Mi fa piacere. Ma è facile fare gli auguri quando sulla destra dello schermo un messaggino t'avvisa: "Oggi è il compleanno di Chiara - o Francesca o Sara o Marta o Jorge o Pablo - falle gli auguri!", caspita, è troppo facile così, eh!

Rifletto sull'efficacia comunicativa dei social network come Facebook, poi torno a chiacchierare con mio fratello. Gli rigiro la domanda di nostra madre: "Allora, come ti senti?". Lui mi guarda, mi abbraccia e mi risponde, emozionato: "Sollevato".

Allora, io come mi sento? Che effetto fa avere 34 anni? Strano. Mi avvicino a grandi passi alla pensione. Alla vecchiaia piena di acciacchi.  Alla morte in persona. Alla tomba. Al nulla (pulvis et umbra). No, mi dico, basta pessimismo, vivi la vita, cazzo!

E allora mi ricordo che, se pure quello scrittore famoso cui ho scritto una lettera non mi ha ancora risposto, ho ricevuto email molto lunghe e molto carine da parte di quella ricercatrice che tanto mi stava a cuore (una tizia alquanto misteriosa che ho conosciuto in Biblioteca Nacional). Mi manda gli auguri anche lei, a modo suo, con un simpatico video da YouTube: un gruppo di marmocchi canta "Feliz cumple" danzando al ritmo di una tipica musichetta anni 80... Troppo simpatica! 

La verità è che ancora non so cosa fare della mia vita. Eccola, è questa la triste verità... E a volte ho come la sensazione che la mia vita sappia perfettamente cosa fare di me (l'ha già fatto, e continua a farlo). Cioè: è lei che dispone di me. Io m'adatto. E certe volte andiamo d'accordo. Ed è bellissimo quando tra uno e la propria vita s'instaura una bell'amicizia e un'onesta alleanza. E' come stare in pace col mondo... O almeno così mi sembra (mi è sembrato) fino a oggi... 8 Settembre...del 2011...

lunes, septiembre 05, 2011

Tornare a casa: l'Italia e il filo del rasoio (o l'orlo dell'abisso)


Lasciare la Spagna per l'Italia, abbandonare Madrid per Roma, tornare a casa dopo quasi 2 mesi d'assenza è sempre un evento traumatico: uno deve ricominciare a riadattarsi ai ritmi nostrani, deve ricominciare a prestare attenzione a fatti, volti e cose che non dovrebbero richiedere in modo così insistente e ripetitivo la nostra attenzione, a dover fare i conti con i tanti, troppi disservizi italioti, a dover rapportarsi, nolens volens, con la mentalità contorta - e a volte corrotta - tipica italiana...

Che qualcosa non vada in questo paese lo si capisce subito atterrando a Fiumicino. Le segnalazioni luminose dei terminal e dei punti in cui verranno consegnati i bagagli sono difettose e confondono solo le idee. I ritardi nella riconsegna sono dell'ordine di un'ora circa. 

Mi avvicino alla biglietteria e con tutta innocenza chiedo un biglietto per Roma Tiburtina (onde evitare il costoso trenino per Roma Termini che, da Fiumicino, arriva a 14 o 15 euro - una follia). Il bigliettaio:
"Roma Tiburtina? Ma nun ce poi annà a Roma Tiburtina, che nun ce o sai che l'hanno incendiata?".
"Incendiata? Dio mio, e quando?".
"Un mesetto fa, aho, ma da ndo stai a tornà? L'hanno scritto su tutti i giornali, incendio doloso!".

E vabbé. Prendo il pullman o, come si dice oggi, lo shuttle bus. L'autista non sa dove farmi posare la valigia: il bagagliaio e pieno. Dovevamo partire alle 11. Sono le 11,30 e nessuno si smuove. L'autista ride e scherza e parla di calcio con una specie di parcheggiatore. Poi decide che è ora (nel pullman, zero aria condizionata: vedo tedeschi boccheggianti, inglesi stoici in un'unica goccia di sudore e francesi allucinati). Partiamo e una coppia di spagnoli urla: "El maletero! El maletero!". Stavamo partendo per Roma centro con il bagagliaio aperto. L'autista frena di botto, inchioda, scende e chiude. Quando risale, ci mostra il suo sorriso migliore e, in un inglese maccheronico, dice: "Sorry, madame!".

Tralascio i sorpassi azzardati dell'autista, le macchine parcheggiate in doppia o tripla fila, il caos tipico del traffico romano. Quando arriviamo a Termini una turista avanti con l'età sta per vomitare. Vado a casa di un mio vecchio amico romano e pranziamo con la televisione accesa.

La ministra Gelmini sta parlando in una conferenza stampa. Non so cosa dica, non so di cosa si tratti, chiedo gentilmente al mio amico di togliere l'audio (mi basta guardare la faccia della ministra per avere il mal di stomaco - che razza ci capigliatura antiquata, che faccia!).

Mi viene in mente la solita domanda che mi hanno fatto diversi spagnoli mentre ero là: "Ma com'è possibile che Berlusconi sia ancora al potere dopo tanti anni di corruzione e di traffici loschi? Come fate ad accettare una cosa simile?".

Ecco, la solita domanda che fanno agli italiani che si trovano all'estero. Com'è possibile?

Non lo so. Assaporo un piatto di pasta col sugo e basilico e sorseggio un buon vino rosso dei Castelli e mi risento a casa. Nel mentre, però, mi viene in mente quest'immagine: l'Italia non è un paese normale, sembra come quel clown che cammina sulla corda tesa e rischia di cadere giù nel vuoto; o come chi sfiora il filo del rasoio e può tagliarsi da un momento all'altro; già che ci siamo, mi viene in mente un'altro topos: quello del folle che cammina sull'orlo dell'abisso. In realtà, è davvero un miracolo che non siamo ancora precipitati, che siamo ancora in piedi. E' un miracolo che l'Italia continui a sopravvivere con questa banda di matti al governo e con tutti i problemi ancestrali e di malfunzionamento della res publica che ci portiamo dietro da secoli... Un vero miracolo, un portento, un'impresa che non so spiegarmi...

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...