lunes, octubre 21, 2013

Laura


Laura? Ma chi è Laura? Laura chi? A domanda (ipotetica) rispondo (a metà tra finzione e realtà): Laura è una delle tre o quattro lettrici di questo blog, una persona speciale, per me, un’amica e una confidente, una che ho conosciuto per caso all’Università quando avevo ancora tutta l’energia di chi aveva appena finito un dottorato e s’apprestava a scrivere il suo primo libro di critica letteraria…

“Andiamo a mangiare insieme a mensa?”, chiesi, timido, vedendola pensierosa dentro la famosa Sala dottorandi, davanti al suo Apple, all’interno di una stanzetta al terzo piano della Facoltà, uno studiolo piccolo ma pieno di luce, dotato di pc risalenti agli anni 90, di una fotocopiatrice guasta e di aria condizionata funzionante (una mano santa d’estate, quando si sudava da fermi).

E Laura – incredibilmente - mi disse di sì, che veniva a mangiare con me a mensa, anche se non aveva troppa fame (e già all’epoca mi sembrava un po’ magrolina, è vero che io ho sempre preferito le donne tonde, e non è che lei non fosse in linea, no, anzi, era in una linea perfetta, praticamente una modella, ma forse qualche chiletto in più le avrebbe giovato e poi, di fatti, ne parlammo di questi chiletti in più, ah, quante volte ne abbiamo parlato, tra risate e prese in giro, sorrisi gioviali e simpatiche ricriminazioni tra amici – “Ma tu stai fuori! Mi vuoi tutta ciccia e brufoli?”, facendo il verso al famoso sketch pubblicitario).

E così imparai a conoscere Laura, ad apprezzare la sua onestà intellettuale, la sua sincerità, la sua apertura mentale, la sua capacità di ascoltare il prossimo, di condividere gioie e dolori, impressioni e riflessioni, dubbi e paure… E a mensa, lo ricordo ancora oggi, come se fosse ieri, io intento a ingurgitare un piattone di pasta al sugo e un petto di pollo con tanto di patatine a fare da contorno e lei intenta a parlarmi di una relazione sentimentale molto lunga che era appena finita, Laura triste, Laura pensierosa, mentre io facevo cadere le molliche per terra e lei spilluzzicava con gesto armonioso un po’ di verdure cotte al vapore (fagiolini e carote, con pochissimo olio e un pochettino di sale – “Ma fai la dieta? Ma tu non ne hai bisogno, dai?!”) e io la guardavo e mi domandavo: “Ma quant’è bella questa ragazza?” e lei iniziava a sciogliersi, a spiegare, a raccontare, perché, come, quando si erano lasciati, cos’era che la faceva sentire “svuotata” e se potevo capire come si sentisse (e sì, io potevo, anch’io ero reduce da un rapporto durato molti, molti anni) e lei che parlava e parlava e mi sembrava totalmente a suo agio, com’è che certe volte tra persone si stabiliscono certi vincoli, com’è che troviamo la persona giusta al momento giusto per il segreto giusto, e io ascoltavo e ascoltavo e poi me l’hai pure detto – una volta, a Salerno, dopo aver mangiato un gelato gigante lungomare –: “Mi piaci perché sai ascoltare”, che gran complimento mi facesti quel giorno, e sì, insomma, Laura, tu parlavi di te e di lui e del vostro rapporto spezzato e io trangugiavo e pensavo: “Ma com’è strana la vita, uno viene all’Università per studiare e lavorare sodo e si vede coinvolto nel bel mezzo di un segreto intimo, di una confessione senza censure e a cuore aperto”, e quando arrivò il momento del caffè offrii io, ovviamente, e poi andammo a passeggiare nel giardino antistante la Facoltà di Giurisprudenza e lì, continuando a parlarmi di te, intravidi delle lacrime che erano sul punto di scendere e di rigarti il volto, e di fatto piangesti, o sbaglio?, e io non sapevo cosa diavolo fare, come fare?, non sapevo se abbracciarti e consolarti o lasciarti da sola, a piangere e a sfogarti per conto tuo, e mesi dopo mi confessasti che avevo fatto bene a non offrirti la mia spalla, perché altrimenti avresti pianto ancora di più, che meladrommatiche voi donne, a volte!

Dopo quel famoso pranzo, ci furono feste, cene, passeggiate, gelati, confessioni anche più intime, gite in barca a Capri (la “Grotta azzurra”, che esperienza!), e canzoni, tanta buona musica, tante “pippe mentali” su amore e sesso, sui rapporti uomo-donna, sulla validità e la fattibilità dell’amicizia uomo-donna, sugli uomini sposati che tradiscono le mogli e sulle donne sposate che tradiscono i mariti, su questo e quell’altro, sulla letteratura americana e su quella chiquana, su Madrid e su New York, sui colleghi e sui prof. più antipatici che ci rendevano la vita impossibile e su quelli più umani che ci regalavano i loro libri, sui libri letti e quelli ancora da leggere, insomma, su tutte quelle belle cose che rendono un’amicizia degna d’essere vissuta fino in fondo e al cento per cento…

Ora Laura è lontana, ha lasciato la Campania per l’America, è tornata a New York, una delle sue città preferite, e ogni mattina le mando un messaggio da Whatsapp per svegliarla; è diventato una specie di rituale: lo so che da lei ci sono 6 ore in meno, ma a me piace scriverle alle 8 e, quindi, darle il “buongiorno” quando nella Grande Mela è notte fonda e lei sta per andare a dormire… o è già a letto (le 2 di notte) e soffre d’insonnia e non riesce a prender sonno (l’insonnia: ecco un’altra cosa che ci accomuna, a me e a Laura).

Se non ci fosse Skype, non avremmo modo di vederci (soprattutto ora, che io sono in Spagna e lei laggiù – e poi di nuovo in Italia), e ogni volta che riusciamo a trovarci online è una festa: “Ma come stai? Ma da quant’è che non ci parliamo?” e ogni volta che parliamo è come se non ci vedessimo dall’altro ieri, le battute sono quelle (“dicidici”), il tono è sempre lo stesso (gioviale), l’attenzione è sempre alta (non ci sfugge niente), la voglia di ridere sempre notevole (“sei proprio matto!”).

Laura, una delle amiche più care che ho, una delle persone più generose, simpatiche, intelligenti e in gamba che conosca… (una che a quest’ora starà dormendo, perché qui da noi sono le 8 del mattino - vediamo se si sveglia, da lei sono le 2, mandiamole un messaggio: "Good morning! And good luck! Mon collègue, mon amie!).

jueves, octubre 10, 2013

La resurrezione di Lazzaro




Da quanto ne so il Vangelo di Giovanni è uno dei più intriganti e misteriosi dei 4 che ci sono giunti (almeno, secondo la versione ufficiale del Testo Sacro per eccellenza della religione cristiana). Tanto per intenderci: Giovanni è l’unico evangelista che narra il Giorno del Giudizio o Apocalisse, ovvero, quel giorno che segnerà la fine del tempo terreno (e del suo computo umano) e l’inizio dell’eternità. Quel giorno esatto non solo Dio si metterà a giudicare tutti i morti di tutti i tempi (quando tutti i vivi saranno ormai morti), ma disporrà e deciderà anche la morte della Morte (la cui funzione sarà ormai nulla quando non ci sarà più nessuno da eliminare dalla faccia della Terra).

Giovanni è anche colui che narra la storia di Lazzaro e della sua miracolosa resurrezione (se ricordo bene e non erro – ma non sono un esperto di Bibbia, né uno studioso attento della stessa, vado a orecchio e leggiucchio a tentoni, come un bambino alle prime armi e alle prime letture). Si tratta di uno dei tanti miracoli che compie Gesù e che – lasciando il pubblico a bocca aperta – spingono tanti ad avere fede e a dargli credito, ovvero, a credere che Egli sia davvero il Figlio di Dio, venuto sulla Terra per lavare i peccati del Mondo, per riscattarci tutti dal peccato mortale che commisero i nostri progenitori Adamo ed Eva.

Il capitolo che narra i fatti è l’11 e i versetti sono più o meno quelli compresi tra il 32 e il 46. Poche righe per raccontare l’incredibile, l’inspiegabile, il mistero della resurrezione della carne…

Gesù torna davanti a Marta e Maria, chiede dove hanno sepolto Lazzaro, fratello di Marta, e quando gli Giudei gli rispondono “Gesù pianse”. Nel pubblico qualcuno – con spirito alquanto cinico – avanza una domanda retorica che puzza di zolfo (l’avvocato del diavolo): “Se piange per la morte dell’amico, perché non gli ha evitato la morte?”. Ma Gesù non dà troppa importanza a queste parole, ordina immediatamente di aprire il sepolcro, di spostare la pietra che mantiene chiusa la tomba di Lazzaro. E qui potremmo anche chiederci: di che morte è morto Lazzaro? Non si sa, né mai si saprà (forse è un dettaglio trascurabile, ma insomma…)

Subito dopo interviene Gesù, con tono deciso: “Togliete la pietra!”. È un Gesù che agisce quello che si percepisce in questa scena; non perde tempo, ordina e vuole che gli si risponda, che i suoi ordini vengano esauditi.

 La sorella di Lazzaro interviene, invece, con tono umanissimo: “Signore, egli puzza già perché siamo al quarto giorno”. E un lettore un minimo attento drizza le orecchie, perché qua i conti non tornano, non come speravamo: Gesù risorge al terzo giorno; per erronea associazione d’immagini (e di numeri), eravamo fermamente convinti che anche Lazzaro resuscitasse al terzo giorno e invece no, signori miei, qui Marta ci dice che no, che siamo già al quarto giorno, e perciò il cadavere “già puzza” (non so come traducono le altre versioni, io leggo dalla Bibbia Nuova Riveduta che offre un sito che si chiama “laparola.net” – e all’interno ci sono almeno altre 3 differenti versioni e ognuna cambia – per un verbo, un aggettivo, un avverbio, complicando ulteriormente le cose; fatto sta che questo verbo “puzzare” dà bene l’idea della morte, della putrefazione della carne; la versione della C.E.I. traduce “manda cattivo odore”, ma siamo là, l’idea angosciosa del morto che si sta decomponendo c’è già, è tutta presente e viva – o vivace – sotto i nostri occhi di lettori di gente come Edgar Allan Poe o Charles Baudelaire…). Gesù le risponde con tono deciso (riprendendo quasi alla lettera una frase che Marta aveva già pronunciato prima, pochi versetti prima, non appena lo vede): “Non ti ho detto che se credi, vedrai la gloria di Dio?”. Marta crede in Gesù e si aspetta ogni cosa da lui, è pronta a credere nei suoi miracoli. E qui Gesù glielo sta ricordando e sta ribandendo di fronte agli altri la sua natura divina. Cosa succede dopo?

“Tolsero dunque la pietra”. Gli spettatori che si suppone siano accorsi ad assistere alla scena eseguono (in quanti?) gli ordini di Gesù e spostano effettivamente la pietra che chiude la grotta dentro cui giace Lazzaro. “Tolsero dunque la pietra”. Una frase così semplice – composta da 4 parole – crea la suspense che precede l’apparizione (o ri-apparizione) del morto… Solo che qui i conti – ancora una volta – non tornano, perché subito dopo leggiamo: “Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: “Padre, ti ringrazio perché mi hai esaudito”. Come? Ancora prima di vedere il miracolo, ancora prima di constatare la resurrezione del morto, Gesù ringrazia Dio per averlo ascoltato? È come se qui il protagonista anticipasse l’evento e fosse dotato del dono dell’onniscienza: con la forza di volontà e della mente, Gesù sa già che Dio lo ha ascoltato e ha esaudito il suo volere… Anzi: subito dopo aggiunge che ha pronunciato questi ringraziamenti a voce alta per far sapere a tutti i presenti che lui è davvero stato mandato da Dio sulla Terra per salvare chi  crede…

“Detto questo gridò ad alta voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. Ecco, l’uso del punto esclamativo dà l’idea dell’imperiosità di questo Gesù che sa già come va a finire, che imparte ordini, che pretende che gli altri – presenti sul luogo del miracolo – gli diano retta… E che pretende che un morto “venga fuori”, al solo suono della sua voce…

E qui il lettore si sorprende per colpa di un altro falso ricordo: ma come, ma la frase non era “Lazzaro, alzati e cammina!”?


Misteri della memoria (a largo raggio). Quella che sembra essere diventata una frase dell’immaginario collettivo è frutto di una cattiva interpretazione (o lettura) del testo biblico. “Vieni fuori!” e non “Alzati e cammina!”… Ma che strano!

“Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti da fasce, e il viso coperto da un sudario”.

Qui la suspense raggiunge l’apice perché, dopo tanto parlarne, noi vediamo insieme ai “protagonisti” o “testimoni” del miracolo il morto che risorge. E l’immagine è paurosa (o almeno, molto inquietante): Lazzaro è come un neonato, con i piedi e le mani avvolti in fasce (si suppone di colore bianco) e ha il volto coperto da un sudario. Una specie di morto vivente, uno zombi, o una mummia, che torna a camminare. Gesù, a questo punto, dà il suo ultimo ordine:
“Scioglietelo e lasciatelo andare” e a partire esattamente da questo punto noi lettori non sapremo più che fine farà Lazzaro, dove esattamente andrà e cosa farà nella sua nuova vita di “non morto”…

Non ci sono dubbi: ci troviamo di fronte a un racconto potente, a un brano di una carica narritva enorme, che apre molte domande e infonde nell’animo del lettore una serie di dubbi esistenziali irrisolvibili.
Lazzaro è un personaggio dentro cui si rispecchiano – riflesse in senso letterario – molte questioni che toccano uno dei misteri più grandi e paurosi dell’essere umano, quello della morte. Il lettore partecipa all’evento, assiste al sorgere della suspense, ma quando “vede” il cadavere non sa come reagire e cosa pensare.
Se davvero Lazzaro è tornato dal mondo che Amleto definisce come “The undiscovered country from whose bourn no traveler returns”, ci domandiamo come sarà stato quel viaggio, cosa avrà provato nel ritornare alla vita e se davvero avrà avuto voglia di seguire il comando (duro, compatto, spietato) di Gesù: “Vieni fuori!”.
E se fosse tornato contra la propria volontà? E soprattutto, una volta tornato, dove andrà? Cosa farà a partire da ora? Come reagiranno Marta e Maria a vedere di nuovo Lazzaro in vita?

La pittura e la poesia (l'arte in generale) hanno riscritto mille volte questo “mito”; Lazzaro è diventato nel corso dei secoli un personaggio passibile di “ri-scrittura” proprio per questo motivo: ognuno può vedervi rispecchiati i propri dilemmi più inquietanti.

Quello che la Bibbia sottolinea è che:
     1  La resurrezione è possibile (se si crede in Dio);
     2  La resurrezione è fenomeno che riguarda la carne e non solo l’anima.

È per questo che – come ricorda Marta con linguaggio diretto e molto realistico – il morto “puzza” (sono già passati 4 giorni). La resurrezione cui assistiamo qui, in questo brano e in diretta (per dirla con termini cinematografici), è una resurrezione che colpisce la carne, prima ancora che lo spirito (quella avverrà il Giorno del Giudizio, quando ognuno di noi – stando alle parole di Giovanni – finirà per sempre all’Inferno, a patire le pene eterne per i propri peccati o gioirà per sempre in Paradiso, a godere della felicità eterna che concede il Sommo Giudice ai giusti, ai buoi e ai pentiti).

Il fatto che Giovanni sottolinei la “fisicità” del cadavere di Lazzaro mi fa pensare che dietro ci sia: 
a)  Una finalità ideologica (o teologica): vi racconto questo, riportando i fatti e le parole di Gesù, affinché anche voi crediate (fine comune a tutti e 4 i Vangeli); 
b) Una finalità più nascosta e sottile: vi racconto questo per mostrarvi com’è un morto che torna alla vita, che faccia ha, come si muove, cosa fa, una volta risorto.

Se ci atteniamo al punto b), la resurrezione del povero Lazzaro assume i tratti di un evento che potremmo definire come “traumatico” più che come “miracoloso”. Detto in soldoni: Lazzaro non sembra tanto felice; ripresentarsi davanti ai vivi sotto forma di “mummia”, con la faccia avvolta nel sudario e mani e piedi “imbavagliati” da fasce, appare come evento scandaloso, non voluto e non desiderato. Egli segue la voce che gli ordina di “venire fuori” dal sepolcro ma lo spettacolo che offre di sè ci muove a compassione. Nessuno di noi – credo – si lascerebbe guardare in quelle condizioni.

Ovvio che – agli occhi della Chiesa – la finalità a) debba prevalere su quella b). Ma se ci fermiamo a leggere la Bibbia come se si trattasse di un romanzo (o di un testo narrativo) – cosa lecita, perché la Bibbia per me è anche questo e non lo dico solo io, lo dice pure uno come Northrop Frye – è piuttosto evidente che questo tipo di resurrezione muove alla compassione e alla pietà, più che alla gioia e alla serenità (tutt’altro discorso quello che si potrebbe fare comparando questa scena a quella della resurrezione di Gesù – l’evento clou del Cristianesimo).


Sintetizzando: lo scandalo ontologico del fenomeno della resurrezione della carne ci pone di fronte al mistero più grande e spaventoso, quello della Morte; la scena in cui Lazzaro torna alla vita, invece, ci mostra come la “realizzabilità” di questo miracolo assuma tratti piuttosto cupi e quasi tristi. Così come è cupo e triste il fatto che non sapremo che fine farà Lazzaro il giorno in cui tornerà a morire per la seconda volta, quella definitiva. Di Lazzaro non sapremo più nulla, a partire dalle ultime parole che gli rivolge Gesù: “Scioglietelo e lasciatelo andare”. 

E forse non lo sapremmo nemmeno noi, dove andare, se davvero potessimo tornare da quella regione che Amleto (in un altro testo e in un altro contesto linguistico) ci presenta come una “terra ignota” o “undiscovered country” da cui nessun viaggiatore fa mai ritorno…

viernes, octubre 04, 2013

Cambiamento di prospettiva



L’ultimo post risale al 15 settembre del 2013 e se rileggo questa frase: “L’Italia è ferma e Berlusconi – come da sempre, negli ultimi 20 anni – ci tiene stretti per i coglioni (mi si perdoni la rima, è inevitabile, con certi cognomi)” e la rapporto ai fatti odierni (in data 4 ottobre 2013) mi sembra che non sia cambiato molto (anzi, forse la farsa è arrivata a livelli insospettabili, perfino per chi pensava si fosse giunti a un “punto di non ritorno” - e questi punti non ritornano mai, vedi quello che sta succedendo a Lampedusa...).

Intanto, la mia vita ha subito un cambiamento a 360 gradi e quello che pensavo fosse un trasloco da una casa ad un’altra all’interno di due diversi quartieri di Roma si è rivelato un trasloco dall’Italia alla Spagna.

A volte è così: per ottenere quello che sogni, devi non solo lottare, combattere, sudare e scontrarti contro mille ostacoli, ma devi pure rischiare, metterti in gioco, lanciarti senza il paracadute.

E così, all’improvviso, dall’oggi al domani, mi ritrovo a stare in cattedra davanti un pubblico di studenti spagnoli (qui sono io lo straniero, o quello strano, che cita Cervantes e parla di Shakespeare, che illustra i disegnini surrealisti di Sir Laurence Sterne e spiega Omero – o prova a spiegare l’incredibile modernità dell’Odissea, davanti agli studenti della Facultad de Letras).

E mentre tento d’adattarmi e di capire di quale collega posso fidarmi e da chi devo tenermi a debita distanza, di quante ore di lezione dovrò fare e di quali spazi mi competono, mentre sottopongo il cervello a uno sforzo notevole di pratica giornaliera della lingua straniera (sono pur sempre un italiano), ecco che apro l’email e mi arriva una pubblicità di un libro dal titolo curioso: L’allattamento ai tempi della Grecia antica… e uno si domanda: ma chi può interessarsi a un argomento del genere? Come allattavano le donne nella Grecia antica? E perché dovrebbe interessare proprio me, un argomento del genere? Chi ha fornito il mio indirizzo email alla casa editrice che distribuisce il libro L’allattamento ai tempi della Grecia antica?

Certo che, a pensarci bene, se uno cambia prospettiva può giudicare le cose in modo nuovo: io qui sono l’elemento "esotico"; sono quello “straniero”; c’è chi penserà che sono un mafioso o che mangio solo pasta e c’è chi mi giudicherà per il modo di vestire; magari ci sarà pure qualche collega greca, o una qualche greca che è venuta in Spagna a lavorare (sperando che la crisi sia un po’ meno dura che nel suo paese d’origine) e che sa spiegarmi come allattavano le donne greche nella Grecia antica. La prospettiva è importante. Non dimentichiamolo mai…

Nel frattempo: avevo intenzione di scrivere una cosetta su La storia di Elsa Morante e – guarda tu la casualità – mia sorella mi scrive in un messaggio privato su Facebook che dovrà sostenere un esame di Letteratura Italiana Contemporanea proprio su Elsa Morante.

“Ce li hai Menzogna e sortilegio e La storia e L’isola di Arturo?”

È il caso che vuole che io mi sia portato dietro gli ultimi due titoli (e su La storia – come già detto – avevo pure cominciato a scrivere una cosa). Tra tanti libri, proprio quelli che servono a mia sorella, incredibile, no?

“Guarda che L’isola di Arturo me lo sono comprato proprio poco prima di prendere l’aereo per Madrid! E avevo chiesto a tuo fratello di comprarmi Aracoeli come regalo di compleanno, ma lui, ovviamente, se n’è scordato! Che faccio? Ti mando La storia e L’isola via posta tradizionale?”.

Una collega mi guarda e mi sorride.

“Ma Menzogna e sortilegio sta qua?”

Un’altra mi dice il suo nome, ma io lo dimentico all’istante (siamo troppi, in questo dipartimento).

“Guarda nella prima libreria sulla sinistra, appena entri, primo scaffale in fondo a partire dal pavimento”.

Un altro mi dice di chiamarsi Juan José.

“Ok, mo' guardo!”.

Un’altra mi offre una sigaretta.

“E buona lettura: sono tutti dei tomi giganti!”.

E allora sento, percepisco l’ansia di mia sorella, che non ama leggere, come non amano leggere gli studenti che mi ritrovo davanti ogni giorno.

A volte, anche cambiando la prospettiva, l’oggetto dell’osservazione non cambia: come in Italia, così in Spagna, i ragazzi girano per l’Università senza libri in mano, nessuno legge più, nemmeno il giornale, sono tutti fissi con gli occhi sul cellulare…


Vado a scrivere a mio fratello; ho deciso: invece di Aracoeli, vorrei tanto che mi regalasse L’allattamento ai tempi della Grecia antica… chissà se lo trova, in libreria...

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...