Celibe
E’ strano: è
da più di due anni che indosso un braccialetto di cuoio, nero, e proprio
stanotte mi si è rotto. E’ strano perché l’autodistruzione del bracciale
avviene la notte prima di un evento che – almeno in teoria – cambierà per
sempre la mia vita e – almeno immediatamente e all’atto pratico – cambierà per
sempre il mio stato civile. E’ strano, ma non del tutto anormale, quindi, il
fatto che io attribuisca alla rottura del braccialetto un significato del tutto
particolare, un significato simbolo (la rottura sta per qualcos’altro,
ovviamente). Domani cambio vita e ancora non me ne rendo bene conto.
In realtà,
so già cosa mi aspetta: quali sono i gesti di rito (grazie, non dovevi; oh, ci
sei pure tu! Grazie, sei un mito! Madonna, ma ti sei fatto tutti questi
kilometri per venirci a trovare, non dovevi proprio! Grandissimo, era una vita
che non ci vedevamo, eh?), quali le parole convenzionali previste dal codice
civile, quali i momenti culminanti della festa (finiremo tutti a ballare la
tarantella o la “Macarena”, brilli a più non posso, è inevitabile, suvvia). E
so pure quali saranno i riti che continueranno a puntellare la mia vita di
coppia con la mia compagna di avventure. So che lei è la mia compagna di
avventure ideale. E so, quindi, che nel più profondo del mio animo, nella zona
più intima della mia coscienza, anche domani (come pure dopodomani o come pure
tra un mese o anche un anno), io continuerò a pensare alla mia compagna di avventure
come l’ideale: qualcosa di perfetto, o quasi. E continuerò a pensarlo pure
sapendo, in realtà, che “ideale” non lo è nessuna donna in carne ed ossa e che
respiri su questa Terra. Perché anche lei – che ora definisco con l’aggettivo
di cui sopra – è “umana” e, dunque, soggetta a quei difetti, a quegli
andirivieni, a quei tic che ci contraddistinguono tutti in quanto “esseri umani”
e perciò: “deboli”, “arbitrari”, “irascibili”, “influenzabili”, “incontentabili”,
“indecisi”, “invidiosi”, “gelosi”, “permalosi”, “orgogliosi” e via di seguito.
Le dedicherò
perfino un mini-discorso, domani, alla mia donna ideale (o all’ideale di donna
per me o alla mia idea di donna perfetta). E in quel caso non adotterò a
proposito l’aggettivo “ideale” proprio per non venire meno alla consapevolezza
che “ideale” non potrà mai esserlo perché se l’accetto così com’è dovrò
accettarla anche perché si discosta (o si discosterà sempre) dal mio “ideale”.
Sarà, dunque, sempre “umana”.
E allora
ecco, ora capisco che è proprio perché riesco a vedere il suo lato “umano”, la
sua fragilità, in quanto donna e in quanto essere umano, che io ne sono
perennemente (ancora, sempre, sempre di più) attratto: e questo ha un che di
magico, ha un che di irrazionale, ha un che di – perché non dirlo? – romantico che
mi fa impazzire, che mi fa ridere e che mi fa sorridere come poche altre cose
su questa Terra.
E allora mi
preparo: ad accoglierla e ad abbracciarla, a baciarla e ad amarla per quel
tanto che posso, per quel tanto che sento, per quel tanto che provo.
Sì, è una
notte strana questa, e stramba, ed emozionante. Una notte in cui anche la rottura
di un bracciale può assumere valenze filosofiche o universali esorbitanti. E
domani vedremo come andrà a finire davvero, e se l’alcol non farà ballare gli
invitati prima del tempo (ma conoscendoli, credo proprio che sarà così).