Tre carrozze ferme
Ci sono fenomeni che uno
non riesce a spiegare o a spiegarsi; come trovare un libro di Giovanni Verga
che s’intitola come me, o meglio, come il mio cognome (che non dirò qui, per
una mia stramba paura e un mio strano desiderio d’anonimato) e che, a quanto
pare, diverrebbe la prova comprovata della validità dell’albero genealogico che
mio nonno fece riscotruire anni fa da un’esperto in genealogie… E poi ci sono
altri fenomeni cui si assiste quasi inebetiti, quasi a bocca aperta, quasi impotenti,
come se la ragione (e la razionalità) non sapesse che farsene dei suoi potenti
mezzi, come se la ragione fosse condannata a girare a vuoto (e le domande si
accumulano e non si trovano risposte né vie d’uscita di sorta).
Ecco, in questo secondo
caso, per quanto concerne queste secondo tipo di fenomeni, posso citare qui i
tre vagoni che ho scoperto per caso all’interno del giardino di una casa
minuscola in aperta campagna a esattamente 7 kms da casa mia…
Si tratta di una casa
piccola rispetto all’enorme giardino che la contiene; è come una sorta di
piccolo monolocale (a due piani, col comignolo che spunta dal tetto) disperso
in mezzo al deserto. E dentro questo deserto si trovano adagiati direttamente a
terra ben tre diversi vagoni di treno. Le strutture sono in ferro battuto e,
perciò, completamente arrugginite, mentre il resto è in legno, rovinato,
rosicchiato dalle tarme, mezzo spaccato o aperto su alcuni lati per via delle
condizioni atmosferiche (quei tre vagoni devono essere stati testimoni silenti
di chissà quante alternanze di notte e giorno e di chissà quante primavere,
estati, inverni e autunni).
E la domanda che sorge spontanea è ovviamente questa: ma come diavolo ci sono finiti questi tre vagoni dentro il giardino in stile Reggia di Caserta del proprietario di questa strana casetta di campagna? E chi ce li ha portati fin là? E soprattutto, come? In elicottero? Con un tir per carichi speciali? In macchina? Impossibile. Come, allora?
Uno si ferma a pensare e
immagina i binari della possibile ferrovia che doveva passare di là, nelle
vicinanze. Uno si ferma con la bici e scende e si accosta alla rete metalicca
che gli permette di sbirciare nei giardini altrui, nella proprietà privata di
un altro, ma non riesce proprio a scorgere nessun passaggio a livello di sorta,
né tantomeno dei binari che possano giustificare l’assurda presenza di questi
tre vagoni che sembrano sopravvissuti all’alternanza delle varie ere glaciali e
all’estinzione dei dinosauri.
Come diavolo hanno fatto ad arrivare fin qui? Come e perché si sono spiaggiati proprio dentro questo rettangolo di terra in mezzo a cui sorge quella casa da nani il cui proprietario non riesco mai a vedere in giro (glielo domanderei subito: “Mi scusi, scusi la mia curiosità, ma lei, come ha fatto a ritrovarsi tre vagoni di treno in casa? Dove li ha presi? E non le danno alcun problema, parcheggiati come sono lì dentro?”).
Parcheggiati, no, la parola
non è quella giusta: piuttosto, mi ripeto, sembrano spiaggiati, come le balene
o le foche quando perdono l’orientamento e smarriscono la rotta.
E uno si domanda pure:
quante persone (se si tratta di persone) avranno trasportato questi tre vagoni
di treno? Quante merci (se parliamo di merci) avranno sposato da un punto
all’altro del globo terrestre? E avranno viaggiato solo su binari spagnoli
(visto che siamo in Spagna) o anche su binari stranieri (magari italiani,
attraversando la terra in cui sono nato)?
Niente. Non so rispondere.
Non si trovano proprio le risposte per questo tipo di domande (forse oziose,
forse perfettamente inutili). E ogni volta che passo davanti a quel rettangolo
di terra, il mio sguardo viene immeditamente attratto verso di loro, sì, verso i
tre vagoni di un treno che non c’è più (dove sarà la locomotiva che li spingeva
ad alta velocità sui binari?). Le ruote sono anch’esse arrugginite e mezzo
sprofondate nel terreno (le ruote bloccate nella terra sono l’esatta negazione
della loro funzione tipica: la velocità, qui immobilizzata dalla terra);
qualche ciuffo d’erba spunta anche dall’interno dell’intelaiatura di legno.
Chissà quanti topi o gatti o insetti o altri animali più o meno selvaggi
avranno usato (o usano ancora) queste tre carrozze come casa loro, come l’habitat
ideale… E chissà se e quando il padrone della casina si deciderà a dare loro
una bella ripulita: ci sarebbe lo spazio sufficiente per creare, chessò, una
carrozza ristorante e una con la piscina e magari un’altra per farci una
biblioteca ambulante (o fissa, visto che la locomotiva che spinge il tutto non
c’è più).
Quanti fenomeni strani
nella vita; quanti ancora da vedere. E quanti resteranno misteri insolubili.