martes, diciembre 30, 2014

Il 2015?

E così, siamo giunti alla fine di questo Dicembre e, dunque, di quest'anno, 2014 (annus mirabilis, per quanto mi riguarda, per le molte e belle esperienze fatte e per due o tre eventi che mi hanno letteralmente cambiato la vita, anche grazie alla carica energetica della mia compagna di sventure...).

Certo, lo chiudo non nel migliori dei modi: dal 24 (la vigilia) a quasi ieri, un'influenza tremenda mi ha obbligato a stare a letto (senza forze, senza fiato, senza febbre, ma con un mal di ossa, di testa e di gola da schiantarsi sul letto e non resuscitare per almeno 2 giorni).

Nel corso di 2 giorni ho anche sperimentato cosa significa digiunare: ho perso 2 kili. Liquidi, dice mia cugina. Non so se ha ragione lei. Comunque, la mini-dieta veloce non è stato un brutto affare: ho potuto mangiare di più una volta che lo stomaco ha deciso che era ora di tornare a lavorare...

E così, come ogni fine d'anno, uno si sente quasi in diritto-dovere di fare dei bilanci. Vedere cosa è "in" e cosa è andato "out"; stabilire in modo matematico i "pro" e i "contra". 

Esercizio di stile abbastanza facile ma che quest'anno non voglio portare a termine. Mi ritengo già fortunato così, ad avere la salute (come dice mia nonna) e avere al mio fianco una donna che mi ama (e che amo). E poi...sono tornato vivo dalla Polonia, e questo (come dice la pubblicità) non ha prezzo (un'amica dall'Australia mi chiede: "Ma perché ti eri convinto che quello in Polonia sarebbe stato il tuo ultimo viaggio? Perché questa teoria così catastrofista?". Chi ha letto il post sulla Polonia sa a cosa mi riferisco; chi non l'ha letto, non fa nulla, non si tratta di nulla di trascendentale, è che - semplicemente - credevo davvero che quello verso Varsavia fosse il mio ultimo viaggio, l'ultimo della mia brevelunga vita).

Certo: avrei potuto fare di più. Scrivere di più; pubblicare di più; fare più ricerca (e un po' meno lezione); essere meno pigro; leggere di più. Ma nel complesso non posso lamentarmi e il bilancio finale è nettamente positivo.

E ora mi appresto a tornare in Spagna. Solo una settimana da italiano in Italia. E non saprei dire come mi sento. A volte mi è sembrato strano perfino ascoltare un intero telegiornale nella mia lingua (ma perché - cari giornalisti - parlate con tono così scattante al tg? Perché? Chi vi ha detto che dovete spiccicare le parole con quella tonalità che fa sembrare "grave" e "scioccante" e "terribile" anche la notizia più allegra? Perché tanto "melodramma"?). Magari, quando sarò di là, mi ricorderò di qua e di questa settimana scarsa passata (ahimè) quasi interamente a letto, mezzo morto o mezzo distrutto dall'influenza...

E mia madre: "La cucina italiana è una delle migliori del mondo". Sì, certo, d'accordo, ma perché non aprire la mente anche verso altre tradizioni culinarie? (Le ho mostrato la foto di un'amica che sta percorrendo a piedi parte della Muraglia Cinese: e lei: "E cosa mangia?" E io: "In Cina hanno un'ottima cucina!". E lei: "Ma stai scherzando?").

E sì, insomma, non mi lamento anche se...mi sarebbe piaciuto avere almeno la forza per aprire i 4 o 5 libri che mi sono autoregalato per Natale; eccoli:

1 - Sandro Veronesi, "Terre rare" (Milano, Bompiani, 2014);
2 - John Cheever, "I racconti" (Milano, Feltrinelli, 2014);
3 - Remo Bodei, "Immaginare altre vite" (Milano, Feltrinelli, 2013);
4 - Gaston Bachelard, "La dialettica della durata" (Milano, Bompiani, 2010);
5 - Michele Serra, "Gli sdraiati" (Milano, Feltrinelli, 2013).

Grande prevalenza degli italiani, come si vede, e strana preponderanza dei Feltrinelli, quest'anno, per quanto mi riguarda... E vediamo se ci riesce di leggerli tutti e con calma dall'altra parte, nella mia seconda patria...

Buon viaggio e buon anno, "mon sembleble", miei cari lettori (anonimi e non), mie care tre o quattro lettrici fisse di questo blog...

miércoles, diciembre 17, 2014

LE VOCI E I RUMORI





“A volte la voce di un interlocutore ci colpisce più del contenuto del suo discorso e ci sorprendiamo ad ascoltare le modulazioni e le armonie di quella voce senza ascoltare ciò che ci sta dicendo. Questa dissociazione è, senza alcun dubbio, responsabile del sentimento di estraneità (quando non di antipatia) che tutti sperimentiamo ascoltando la nostra stessa voce: arrivandoci dopo aver attraversato le cavità e le masse della nostra anatomia, ci trasmette un’immagine deformata, come se ci guardassimo di profilo, con l’aiuto di un gioco di specchi”.

È il sempre geniale, erudito, chiaro anche quando complesso, Roland Barthes a parlare (in un saggio contenuto nella raccolta L’ovvio e l’ottuso) e a spiegarmi  perché mi suona “strana” o “diversa” la mia voce quando parlo in pubblico con un microfono (che distorce i fatti ancora di più di quando parliamo senza filtri tecnologici) o quando mi risento via Whatsapp, una volta mandato un messaggio vocale a mia madre (sì, ora anche mia madre ha scoperto questo strumento e ne approfitta per pregarmi di coprirmi bene, se in Italia fa freddo, o per chiedermi se ho mangiato, se teme che i miei ritmi lavorativi stiano diventando così folli e disumani da obbligarmi a chissà quale terribile dieta ferrea o squilibrata – ma non sa che qui, nella città spagnola in cui vivo, nella casa in cui abito, mi nutro molto, infinitamente meglio, di quanto non facessi quando pernottavo a Roma…).

Ma la riflessione del saggista e critico e intellettuale francese va oltre e ci spiega come noi, in quanto esseri umani, ci muoviamo e ci manteniamo in vita anche grazie alla traduzione sonora dei rumori che ci circondano; e qui Barthes fa un esempio chiarissimo: quello del bambino che riconosce ogni piccolo sussurro della sua cameretta e che, se spostato e messo dentro un altro ambiente, si sente smarrito, perso, abbandonato, proprio perché non riesce più a tradurre in modo corretto e istantaneo i tanti piccoli rumori che compongono quella che Barthes chiama “la sinfonia domestica” delle nostre famose e simboliche quattro pareti domestiche.

E poi va ancora oltre perché cita Franz Kafka, il quale, nei suoi Diari, ci parla di come la paura possa nascere improvisamente proprio dalla difficoltà di interpretare correttamente un cigolio della porte, un cadere di pentole in cucina, un sussurro inspiegabile da dietro una tenda, etc.

Tutte cose “intime” e “familiari”, certo, e che però diventano subito “strane” o “inquietanti” o “perturbanti” (per dirla con Freud) se il nostro udito non riesce a clasificarle in base ai suoi parametri razionali di sempre… (e mi vengono subito in mente mille scene da film tipico dell’orrore).


E poi il discorso si sposta proprio sulla psicanalisi e su Lacan e su Freud (una “scienza” tutta fondata sull’ascolto apparentemente “neutro” dello psichiatra nei confronti delle confessioni del paziente) e sull’inquinamento acustico della società contemporanea e sulla sfida di Ulisse nei confronti delle Sirene (il desiderio folle di voler ascoltare a tutti i costi il loro canto, pur sapendo che ciò implicherà la morte) e altri riferimenti che non sto qui ad elencare, anche perché non ho ancora finito di leggerlo, questo saggio, e però so già che mi piacerà, perché, diciamocela tutta, sono davvero pochi gli studiosi, i saggisti, i critici o gli intellettuali che sanno spiegare così bene le cose come fa Roland Barthes e uno si domanda anche che cos’altro avrebbe potuto scrivere e regalarci se la morte non se lo fosse portato via quel 25 Febbraio del 1980 quando, uscendo dall’Università, venne investito da un camion (o da un furgone) e finì all’ospedale e morì quasi un mese dopo, un 26 Marzo dello stesso anno…forse perché non riuscì a sentire o a tradurre correttamente il suono del clacson o della frenata dello stesso camion o furgone o quello che fosse che gli tolse la vita...

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...