viernes, noviembre 20, 2015

RIUNIONI ALL’ESTERO (ITALIANS)




È inevitabile: basta che due o più italiani che vivono e lavorano all’estero si riuniscano davanti a una tavolata imbandita perché si finisca a parlare di Berlusconi... Non ce la facciamo proprio a superare il trauma, a ignorare l’argomento politico (e politicizzato), a dimenticarci per un momento dell’artefice del cambiamento antropomorfico dell’italiano medio degli anni ’80 (20 anni di berlusconimo... se ci si pensa un po’ su, son veramente tanti, 20 anni, e un mio collega de “La Sapienza” lo dice sempre, lo sostiene a spada tratta: “Ci vorranno altri 20 anni per digerire gli effetti del berlusconismo, altri 20 anni!”... finirà mai? Ho i miei dubbi: è una forma mentis radicatissima nel cervello di certa gente...).

È successo l’altra sera, quando un collega romano de Roma ha avuto la brillantissima idea di riunire altri 7 compagni di lavoro italiani. È stato divertentissimo tornare a parlare italiano con gli italiani: una toscana, un pugliese, due calabresi, l’anfitrione è romano, come già detto, io abruzzese, un’altra di Genova, un altro di Torino... Dal Nord al Centro al Sud Italia...

Una delle calabresi ha portato un ciambellone con schegge di cioccolata incorporate, io una bottiglia di vino rosso di quello buono (Ribera del Duero), un altro un’altra bottiglia di vino, ma bianco, un’altra un vassoietto di dolci assortiti. Primo piatto: una carbonara buonissima, con parmigiano (“il pecorino m’è finito l’artro giorno, me dispiace”); secondo piatto: bistecchine di vitella tenerissime al pepe giallo (una vera goduria); antipasto: mozzarella di bufala campa doc (prodotta a Salerno) e finti pachini (“ragà, ce o sapete, qua i pachini veri nun se trovano”). Il tutto accompagnato da risate, chiacchiere spensierate, risate e sorrisi, fino a quando qualcuno non comincia a parlare di politica (e, quindi, a parlar male dei politici italiani) e, puntuale come una bomba sganciata su un’accampamento d’estremisti islamici in Siria, il richiamo a Berlusconi, la critica al Cavaliere, l’attacco al “fantasma” del Capo dei Capi...

“Che poi il problema è tutto qua: Craxi ha voluto che il suo pupillo andasse avanti con la costruzione di Milano 2, è stato Craxi, il socialista Craxi, a proteggere e portare avanti il progetto del suo allievo...”.
“Ma perché proprio lui e non un altro?”
“La P2”, dice uno.
“La P2, la Massoneria”, aggiunge un altro.
“Ma la P2 è collegata alla mafia?”, chiede un’altra.
“La mafia è al servizio della P2, in realtà, ovvero: la mafia nasce come braccio armato della Massoneria”, risponde un altro.
L’anfitrione si altera: “Comunque, c’ha proprio rovinato, e Renzi nasce come costola da Berlusconi”.
“Ma perché, voi credete che sia mai andato a fare i servizi sociali nell’ospizio dei vecchietti?”
“Vecchietti? Dei suoi coetanei, volevi dire!”.
“Esatto, dei suoi coetanei... voi ci credete davvero che abbia mai fatto anche solo un giorno di servizi sociali?”.
“Se per “servizi sociali” intendi: prendersi il caffè e fare due battute di spirito con gli ospiti dell’ospizio, sì”.
“Ospizio! Ma si dice “casa di riposo”, no?”, sottolinea un’altra.

E insomma, ci attorcigliamo con doppio salto mortale attorno al problema “Berlusconi” e non se ne esce vivi... L’Italia è una grande nazione, peccato per gli italiani, o meglio, per quegli italiani che c’hanno la mentalità mafiosa e berlusconiana... L’Italia, l’arte italiana, siamo i primi al mondo per quanto riguarda il patrimonio artistico e culturale! E quanti sono i romani che non sono mai stati dentro i Musei Vaticani? Ah! La Grande Bellezza! Secondo me solo un napoletano come Sorrentino poteva fare un ritratto così positivo della capitale del Regno? Ma secondo voi non ha copiato da “La dolce vita”? Non credete che Fellini sia inimitabile? Ah! La Grande Bellezza! Il cinema italiano! Dove sono andati a finire i Vittorio De Sica, i Rossellini, i Pasolini d’un tempo? Dai, suvvia, non possiamo piangerci addosso o piangere sul latte versato, i tempi sono cambiati... Oggi c’è Laura Pausini ed Eros Ramazzotti (fanno più soldi in Spagna e in America Latina che in Italia, vi rendete conto?). Comunque a me manca Paolo Fox, le previsioni di Paolo Fox! Nooo!!! Ma davvero? Ma come fai a crederci? Tu di che segno sei? Vergine! Ascendente? Pesci! Un segno di terra con ascendente un segno d’acqua... ti piace spassartela! E piano piano, finalmente, smettiamo di parlare di Berlusconi e di Renzi e ci concentriamo sulle risate, sui sorrisi e sui dolci... Evviva il ciambellone, con le schegge di cioccolata!

martes, noviembre 17, 2015


RECENSIONI

Chi mi conosce nel piano della “realtà” (Nabokov la scriveva sempre tra virgolette, questa parola, e come dargli torto) e non solo e soltanto su quello della “virtualità” (o del “cyber-spazio” di questo “diario di bordo”), sa bene che mi risulta difficile, a volte impossibile, dire di “no” agli amici... Sono – come suolsi dire – “molto amico dei miei amici” e, quindi, se uno di loro mi scrive e mi chiede il suo parere su un suo libro appena uscito e mi lascia intuire che gli piacerebbe che io scrivessi per lui una recensione al suo testo fresco di stampa, ecco, se uno di loro fa così, io non riesco a dire di no, tendo sempre ad accettare, dimenticandomi del fatto che, nella vita di tutti i giorni, il lavoro che faccio mi obbliga a leggerne altri 100 di libri che non sono stati scritti dai miei amici, altri 1000, di testi a volte non così ameni o divertenti come quelli che mi piacerebbe leggere.

E così, all’improvviso, e senza quasi rendermene bene conto, mi ritrovo con la scrivania dello studiolo invasa da libri da recensire, tomi che (in alcuni casi) sfiorano le 500 pagine, e mi tremano i polsi all’idea di dover poi consegnare la recensione entro (mettiamo) il 15 di Gennaio, o il 20 di Febbraio, o il 30 di Marzo.

Il primo è un saggio di critica letteraria sul concetto di flâneurie e la narrativa di un autore spagnolo molto quotato (forse un po’ sopravvalutato). Il libro mi arriva dalla “University of Liverpool”, da parte di una collega e amica che lavora per una rivista scientifica tra le più importanti del mio ambito di ricerca. L’autore, inglese, analizza le opere di quest’autore (che non voglio citare, per non dargli ulteriore pubblicità) a partire dal concetto succitato: a quanto ricordo, la figura del flâneur (del “passeggiatore solitario”, per così dire) nasce con la poesia di Baudelaire, ovvero, quando la città in quanto “cosmo” entra di prepotenza nell’immaginario collettivo e il poeta diventa vagabondo che canta le stranezze, le bellezze, le bruttezze, le sconcezze dell’urbe moderna e modernizzata... Dal risvolto di copertina, si capisce che l’autore fa riferimento anche ad altri modelli e cita E. A. Poe (non lo sospettavo) e Walter Benjamin (lui sì, sapevo che prima di morire aveva in mente di scrivere un tomo su Parigi, capitale europea, un testo dove il vagabondare diventa sinonimo di rimemorare il passato – personale e storico, ovvero, intimo e collettivo – dell’autore e di una nazione). E citando Benjamin, il pensiero corre alle sue letture della Recherche proustiana e a quell’altro flâneur dell’anima umana che fu Marcel Proust... Insomma, si prospetta come una lettura interessante, vedremo se l’autore oggetto di studio sarà all’altezza dei modelli citati (ora che ci penso: pure Fernando Pessoa è catalogabile come flâneur, anche se, a quanto ricordo, non si mosse mai da Lisboa, o solo rare volte, era un sedentario, ma con l’immaginazione volava alto, altro che...).

Il secondo tomo è davvero un volume gigante, sul “fantastico” all’interno del “fumetto”. Gli autori (sono due) ripercorrono la storia del genere a partire da questo elemento e mi viene subito un dubbio: cos’è “fantastico”? Cosa dobbiamo o possiamo intendere con questo termine? Comunque, basta sfogliare il libro per rendersi (fortunatamente) conto che è pieno d’immagini; anzi, a guardare bene, la parte scritta è nettamente inferiore a quella iconografica. E quindi mi domando: cosa scriverò nella recensione se sembra che ci sia poco da recensire? Dovrò parlare delle fonti iconiche? Certo è che scoprirò fumetti mai visti prima. Il panorama è davvero ampio (dagli USA anni 20 alla Francia anni 80, passando per la Spagna anni 40 e l’Italia anni 70 – Guido Crepax, Hugo Pratt, Leone Frollo, quanti geni ha dato l’Italia al genere “fumetto”!).

Il terzo libro è un’altro saggio, sul teatro di Juan Benet, uno degli scrittori più strani, affascinanti, ostici, complessi, geniali che la letteratura spagnola abbia mai creato negli ultimi 50 anni... Ingegnere di professione, come il nostro benemerito Carlo Emilio Gadda, Benet si è dedicato alla letteratura solo come passatempo, come hobby, come forma d’ozio. Risultato? Ha dato alle stampe uno dei romanzi più enigmatici che siano mai stati pubblicati in Spagna negli anni 70 (Volverás a Región, del 1969); una serie di saggi di altissimo livello e capaci di catturare l’attenzione anche del lettore più svagato o distratto su questioni “facili facili” come il Tempo, la Morte, l’Amore, il Tradimento, l’Origine delle Lingue, l’Origine dell’Uomo, Dio, l’Apocalisse, et coetera... et coetera...; una serie di racconti, favole e, appunto, opere teatrali inclassificabili.
So già che la lettura di questo saggio mi terrà inchiodato alla sedia (o al sofà) per un fine settimana intero. La mia compagna di sventure è avvisata. Non disturbare. Lettura in corso. Lettore in azione.

Il quarto e ultimo libro di cui dovrei dare un’opinione scritta poi convertibile in recensione è... No, di questo meglio che non parlo. Non ora. Non qui. Di certo è che non mi annoierò. Non è un saggio, ma un romanzo. E siccome chi lo scrive è davvero una persona amica, non voglio parlarne a sproposito per scaramanzia (e mettiamo poi che non mi piace? Che Dio ce ne scampi e liberi! È difficilissimo scrivere una recensione di un romanzo di un’amica che poi scopriamo non essere all’altezza: che fai? Fingi? T’inventi una recensione positiva anche se poi riconosci che il libro non vale molto? Come si fa? Come ci si comporta quando si vuole essere onesti intellettualmente e, allo stesso tempo, non si vuole ferire la sensibilità di una persona che conosciamo, che ammiriamo umanamente, e che letterariamente può fallire? Chi sono io per giudicare gli altri? Quest’ultima domanda me la faccio ogniqualvolta mi si chiede di scrivere una recensione; non credo che il mio parere sia più valido o azzeccato o scientificamente sicuro di quello di un altro; e poi, di nuovo: ma chi sono io per giudicare lo sforzo di un altro?).

E insomma: quattro recensioni su quattro testi diversi da fare entro massimo quattro mesi (Marzo 2016  la dead-line).


Speriamo bene...

martes, noviembre 10, 2015

INCUBI RICORRENTI (RINCORRENDOMI)




Dunque si diceva degli incubi (oggi, 9 Novembre del 2015, mi sembra proprio il giorno giusto per parlarne, oggi che metto il punto finale al “libro”, una roba da 350 pp. che fa venire il sonno sin dall’introduzione, un mattone indigesto che chissà quante copie venderà, se mai ne venderà più delle 2 o 3 che io posso immaginare, un tomo che andrà ad occupare spazio nelle biblioteche nazionali della Spagna e, chissà, fors’anche in qualche biblioteca italiana, pubblica o privata, un lavoraccio che mi ha tenuto impegnato e mi ha fatto sudare per circa 6 mesi, un lavorone che sono certo mi terrà attaccato allo schermo del pc per altri 5 mesi, prima di arrivare al “visto si stampi” e alla fantomatica “versione definitiva” – ma è mai esistita, esiste, esisterà mai una versione che possa definirsi davvero tale? Quando è il momento giusto per dire: sì, questa è la “definitiva”, questa è quella in cui non ci sono più refusi? E’ mai pensabile stampare un libro senza refusi?)…

E insomma, dicevamo, gli incubi… Ci sono incubi ricorrenti che mi tormentano la notte e mi fanno sudare freddo; sono sogni strani, che si ripetono, e il fatto stesso che “tornino” me li rendi ancor più odiosi e strambi e fastidiosi.

In uno di questi, mi trovo a Roma, sono vicino alla Stazione Termini, diciamo pure, tra la Stazione Termini e Piazza della Repubblica. Sono in compagnia di N. (non ho il coraggio di scrivere il suo nome per intero), una mia ex-alunna, diciamo pure, una delle ex-alunne più belle e pazze e affascinanti che abbia mai avuto in tanti anni di “onorata” carriera.
“Ma cosa ci fai a Roma?”, le chiedo, sorpreso dalla sua presenza (veste da sposa).
“Ma non te lo ricordi che ieri sei venuto a prendermi e mi hai dato una mano con la valigia? Te l’ho detto: scendo da Udine e vado a Salerno”, mi risponde piccata, spostandosi il velo con un soffio e un buffetto della mano (un gesto rapidissimo che nel sogno si svolge praticamente al ralenty).
Poi cominciamo a camminare. N. ha fame e dice che ha voglia di McDonald (è strano come nei sogni utilizziamo le marche del mondo reale) e io allora le propongo di andare a Via Nazionale perché lì ce n’è uno che è sempre aperto, 24h (ma nella realtà so che non è così; nel sogno, mi convinco che sia così).
E continuiamo a camminare, ma Via Nazionale è un deserto, non c’è un cane in giro, io mi spavento perché c’è troppo silenzio. Si fa notte subito, senza preavviso.
“Andiamo a fare un giro nei musei?”, mi chiede N., propone, come fosse la Notte Bianca.
Faccio di sì con la testa. E all’improvviso ci troviamo a correre e a percorrere le sale del Museo del Prado, prima, degli Uffizi, poi. Non capisco più se il monumento su cui mi appoggio per ripigliare fiato sia il Nettuno gigante che occupa un lato di Piazza della Signoria o se si tratti del Saturno dell’omonimo quadro di Goya (“Saturno che divora i suoi figli”, un quadro impressionante, pieno di sangue e di buio). Non capisco, in realtà, se siamo già a Salerno o siamo ancora a Udine (e ora mi ricordo di doverle chiedere cosa ci fa mai a Roma se prima mi ha detto chiaramente che scendeva da Udine per andare a Salerno; che senso ha, cosa cazzo c’entra Roma, con Udine e Salerno, qual è il nesso, se un nesso c’è, da chi dorme N. se io non la ospito in casa).
“Accidenti, ci seguono”, mi fa N., obbligandomi a riprendere la corsa. Mi volto indietro e mi accorgo che siamo circondanti e che veniamo inseguiti da un’orda assurda di paparazzi con le macchine fotografiche vecchio stampo. I flash ci accecano. N. corre, ma rompe il velo del vestito. Comincia a piovere. Scoppia a ridere perché vede nel mio volto il ritratto della paura.
“Ma cosa vogliono da noi?”, le chiedo. E N. ride a crepapelle. Mi sbatte contro la cancellata di un’ambasciata (non ricordo più di quale paese, in realtà, a volte cambia, a volte si tratta di una saracinesca, di un bidone della spazzatura, di un’auto parcheggiata) e comincia a spogliarmi. Le strade si riempiono di traffico, ma io ed N., ignari dei passanti, ci mettiamo a fare sesso selvaggio sul marciapiede. Inizia a piovere. Fa sempre più buio e inizio ad avvertire una sgradevole sensazione di bagnato, di umido, di freddo e bagnato insieme. N. gode, grida sottovoce, io le stringo le mani al collo, grida forte, poi si accascia per terra.
“Sono ancora là”, mi fa, dopo essersi rialzata (si rassetta il vestito da sposa, ora tutto macchiato e sporco di fango). Le orde di paparazzi impazziti.
“Ma cosa abbiamo fatto di male? Perché ci inseguono? Che vogliono da noi?”, le chiedo. E N. ricomincia, prima sorride, poi ride. Mi ritrovo un obiettivo di una macchina fotografica in mano. Mi volto e vedo che i paparazzi, in realtà, sono degli zombie, dei ritornanti, dei morti viventi, in perfetto stile The Walking Dead, e io ho sempre più paura, tremo, scappo, corro, riattraversando le sale di un museo enorme, un museo che non esiste, ma che è dato dal mix delle sale sovrapposte del Louvre, degli Uffizi, del Prado, dei Musei Vaticani, della Galleria Borghese…
Finché perdo di vista N. e non so più da che parte scappare…
Fine… Mi sveglio… Sudato… freddo… come fossi Dylan Dog alla fine di uno dei tanti incubi delle sue avventure disegnate. Accanto a me non c’è N., ma da un momento all’altro mi aspetto di ritrovarmi con l’obiettivo di una macchina fotografica in mano. E invece niente. Cosa mai vorrà significare questo incubo ricorrente? Perché N.? Perché anche adesso non riesco a scrivere il suo nome per esteso? Perché mi vergogno? Perché N. è vestita da sposa? E perché facciamo l’amore in mezzo alla strada e alla sporcizia, di notte, al buio e al freddo, come due bestie? E chi sono, o meglio, cosa diavolo rappresentano (per me) quei paparazzi impazziti? E soprattutto: perché questo è – da un mese a questa parte – uno dei miei incubi peggiori e ricorrenti? Perché tanta “ricorrenza”?

Vado a letto, immaginando la faccia dell’editore quando aprirà il mio file Word: 350 pp., che potrebbero diventare tranquillamente 400 (o anche 450) in base ai criteri redazionali della casa editrice stessa… Un tomo, un mattone, un librone che ancora non mi sembra di essermi tolto dalle spalle, un peso immane che mi opprime come N. vestita da sposa o come le orde dei paparazzi che mi inseguono e che mi accecano coi loro maledetti flash.

Freud, io t’invoco. Illuminami (anche se non d’immenso), ma, per favore, illuminami…

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...