miércoles, marzo 18, 2015

Riscoprire Don Quijote



In questi giorni in Spagna si discute molto del presunto ritrovamento dei resti mortali di Miguel de Cervantes, l’autore dell’immortale Don Quijote, un’opera che molti (critici, studiosi e scrittori) considerano come “il primo romanzo moderno” in assoluto (si può discuterne: di sicuro è un’opera originalissima che ha aperto varchi insospettabili, cfr. il Tristram Shandy di Sir Laurence Sterne...ed altri...).

E non deve esser casuale il fatto che proprio ora, che siamo nel 2015, archeologi, letterati e storici si siano uniti in questa missione: stabilire se le ossa ritrovate dentro una cripta della chiesa delle Trinitarie nel quartiere Huertas di Madrid corrispondano proprio a quelle del famosissimo “Monco di Lepanto”... Dico: non deve esser casuale perché il 2015 coincide con il quarto centenario della pubblicazione della Seconda Parte del romanzo, apparsa nel 1615, anche grazie (o in seguito) al plagio compiuto nel 1614 da tale misterioso Avellaneda (uno scrittore che ha colto la palla al balzo e ha voluto sfruttare l’enorme successo della Prima Parte del Chisciotte per pubblicare una Seconda Parte apocrifa: sì, anche nel XVII sec. c’erano scrittori privi di scrupoli o che cercavano solo il guadagno economico e il successo rapido da best-seller  usa e getta).

Facile prevedere, dunque, che, di qui alla fine dell’anno, Università e Accademie, scuole, teatri, cinema, televisioni e centri studi di ogni ordine e grado si butteranno a capofitto nell’esaltazione e nell’adulazione della figura di questo scrittore.

Eppure, ogni volta che sento parlare di Cervantes in un telegiornale, mi viene una sorta di senso di compatimento o di compassione verso questo povero cristo, uno che – quando era in vita – dovette lottare non poco per essere riconosciuto come scrittore di qualità dai suoi colleghi (alcuni divenuti negli anni suoi acerrimi nemici, primo fra tutti il famoso ed elogiatissimo “Monstruo de la naturaleza” Lope de Vega).
Cervantes ne vide di cotte e di crude: fu uno che combattè per la corona spagnola contro i turchi perdendo l’uso del braccio sinistro; uno che patì il carcere ad Algeri quando venne fatto prigioniero dai pirati arabi; uno che chiese il permesso di andarsene nel Nuovo Mondo per cercar fortuna e denaro e che fu costretto a restare al soldo del Governo nell’ingrato compito di “esattore d’imposte”... Uno che girò la Spagna in lungo e in largo e potè entrare così in contatto con ogni sorta di lestofanti...

E mi sembra un po’ artificioso o poco pietoso tutto questo affanno degli spagnoli di questo inizio del XXI secolo per cercare di rinvenire o di riportare alla luce ad ogni costo i resti mortali di chi immortale lo è diventato grazie alle sue opere letterarie, ilChisciotte in primis, ovviamente.

Cosa ci si guadagna a stabilire una volta per tutte che sì, che quelle sono davvero le ossa appartenute quattrocento anni fa all’autore del Chisciotte?

Molti dicono che si tratterà di un’attrazione turistica (con il riscontro economico che ciò implica). Altri (i politici) che si tratta di un’operazione dovuta e che rende giustizia alla memoria di un grande e illustre personaggio della Patria. Pochissimi sostengono che aiuterà le nuove generazioni a riscoprire questo “classico” (poco o per nulla letto dai ragazzi o dagli studenti di oggigiorno).

Io temo proprio questo: che quelle ossa, esposte in pubblico, non aiuteranno l’autore né permetteranno di scoprire o riscoprire questo classico. Le ossa non spingeranno i lettori potenziali a godere del Chisciotte. Molti continueranno a ignorarlo, magari dopo essersi fatti un selfie sulla cripta o sulla tomba, sulla lapide o sul sacrario dove verrano esposte le ossa di Cervantes.

E così, proprio in questi giorni, mi è venuta la gran voglia di risfogliare il suo più grande capolavoro; ecco la descrizione in cui m’imbatto:

"Tres días y tres noches estuvo don Quijote con Roque, y si estuviera trescientos años, no le faltara que mirar y admirar en el modo de su vida: aquí amanecían, acullá comían, unas veces huían, sin saber de quién, y otras esperaban, sin saber a quién; dormían de pie, interrumpiendo el sueño, mudándose de un lugar a otro"

Traduco liberamente:

“Per tre giorni e tre notti Don Chisciotte rimase con Roque e se ci fosse rimasto trecento anni non ne avrebbe avuto abbastanza nel guardare e nell’ammirare il suo stile di vita: lì si svegliavano all’alba, di là mangiavano, a volte scappavano, senza sapere da chi, e altre aspettavano, senza sapere chi; dormivano all’inpiedi, interrompendo il sonno e spostandosi continuamente da un luogo all’altro”.

Siamo nel cap. 61 della Seconda Parte. Don Chisciotte si è imbattuto in Roque Guinart, un personaggio storico, diventato famoso per i furti e per l’atteggiamento da “gentiluomo” nella Catalogna della sua epoca. Don Chisciotte lo apprezza, anche se sa che è un fuorilegge ricercato dalla giustizia.

Ciò che colpisce di più di questa descrizione non è solo il fatto che qui un personaggio di finzione (Don Chisciotte, appunto) agisce e si muove insieme a una persona realmente vissuta (una figura storica e passata agli onori della cronaca del tempo), con tutte le implicazioni ontologiche che un’operazione del genere comporta (continuano a saltare quei confini già saltati nella Prima Parte del romanzo tra “realtà” e “finzione” o tra “razionalità” e “immaginazione”); no, non è solo questo, non si tratta solo di questa sfumature altamente originale e modernissima per la letteratura del XVII secolo; ciò che colpisce è il modo in cui Cervantes riesce a trasmetterci appunto sia l’ammirazione che il suo personaggio sente e prova verso Roque Guinart (il bandito onorevole) sia l’angoscia che vive lo stesso Roque Guinart essendo costretto a vivere come un ricercato per cui: non c’è luogo in cui possa riposarsi in pace; non c’è citta in cui possa camminare a viso aperto; non c’è riposo che non venga interrotto da una qualche fuga repentina in vista di un qualche pericolo (immaginario o reale) avvistato all’orizzonte.

“A volte scappavano, senza sapere da chi; a volte aspettavano, senza sapere chi”.

Si può essere più precisi, più evocativi, più efficaci di così, all’interno di un’opera di tipo narrativo, per trasmettere al lettore l’ansia e l’angoscia di chi vive da ladro e da fuggiasco?

Quant'è moderno qui Cervantes? Come riesce a penetrare nella psicologia dell'errante? Di colui che scappa dalla giustizia o da nemici immaginari o reali soltanto nella sua follia? Con quanta facilità ci riesce?

Ecco: basta un brano simile per capire che Cervantes è stato modernissimo nello scrivere il suo capolavoro. E basta una sola pagina per capire che Don Quijote è lettura amena, che apre mille rivoli all’interpretazione e che emoziona il lettore attento anche oggi, che siamo nel 2015.

miércoles, marzo 11, 2015


ITALIA S.p.A.


Erano mesi che non aprivo La Repubblica o Il Corriere della sera nella loro versione online e ora che l’ho fatto mi vengono in mente queste cose:
a) l’Italia è un paese piccolo; voglio dire: anche se siamo 60 milioni (gli spagnoli sono quasi 47 milioni), la superficie di cui disponiamo è piuttosto limitata rispetto ad altri paesi: è per questo che, se calcoliamo la densità, otteniamo l’incredibile risultato di 201 abitanti circa per kilometro quadrato (gli spagnoli – che godono di una superficie molto più ampia – sono circa 92 abitanti per km quadrato). E questa percezione della piccolezza fisica del territorio della mia nazione mi fa impressione; sia perché non ci avevo mai pensato, sia perché, se ci rapportiamo a paesi davvero grandi come gli USA o la Russia o la Cina siamo davvero “piccoli”, quasi dei “nani” (e sorprende vedere in che modo brillante l’Italia e gli italiani si sopportano a vicenda, da secoli e secoli, ormai);
b) l’Italia è uno spettacolo, nel senso televisivo del termine. Meglio ancora: l’Italia è quel paese in cui si volge in spettacolo tutto, anche la politica, anzi, tutto a partire proprio dalla politica. Il capo del Governo è – come tutti sanno – un ex-concorrente della Ruota della fortuna, programma che il fu Mike Bongiorno trasformò in un “cult”;  Ilona Staller, in arte Cicciolina, è un’ex-onorevole che viene dal porno e che gode della pensione di chi ha messo piede in Parlamento anche solo per pochi mesi; a Canale 5 danno L’isola dei famosi (prima era appannaggio di Rai 2) e tra i naufraghi uno di quelli più simpatici e che più dà da parlare di sé è Rocco Siffredi (che, nei mitici anni 80, fu amico e collega della succitata Cicciolina); spostiamoci per un attimo su Il fatto quotidiano  e scopriamo che lì intervistano un’altra attrice porno collega di entrambi i succitati, ossia, Milly D’Abbraccio (anche lei “stella” – o forse “stellina” – hard, però degli anni 90), che ci spiega perché le famose 50 sfumature di grigio è un brutto film e perché il sadomaso va preso sul serio e con le molle (e, soprattutto, costa caro, lei se ne intende, sia come imprenditrice che come cultrice della materia); spostiamoci allora ancora una volta, al volo, su Il Corriere della sera e vediamo che qui il giornalista Pierluigi Battista fa una tiratina d’orecchio a Roberto Saviano perché ha elogiato e invitato Elena Ferrante (scrittrice famosa anche perché caparbiamente decisa a restare nell’anonimato) a partecipare al prossimo “Premio Strega” per poter così rompere almeno un po’ le regole del gioco (si sa che vincono sempre e solo gli autori pubblicati dagli editori forti). Eppure lui la voterà. E allora perché tanta polemica, si domanda uno che vede queste bizze da fuori, dall’estero, perché sottolineare che il gesto di Saviano ha un che di falso ribelle? N.B.: sia Saviano che Battista scrivono e partecipano del mondo dello spettacolo: il primo per aver ideato anni fa una bellissima trasmissione codiretta con Fabio Fazio; il secondo perché partecipa e continua a partecipare come ospite in vari talk-show televisivi di cui ora non ricordo più nemmeno i nomi... Insomma: anche chi si dedica (per passione o per professione) alla scrittura è legato allo show, all’apparizione televisiva... (e per questo Elena Ferrante stona e sciocca: perché lei vuole davvero restarsene a giusta distanza dallo show-business).
c) E parlando di spettacolo come non citare allora Berlusconi, Imprenditore che si è fatto (da solo) e che è stato al comando di una nazione per vent’anni? Pare che lo abbiano assolto dai delitti collegati alla sua frequentazione di Ruby... Pare... Insomma, per farla breve, in Italia “politica” è “spettacolo” (e stendiamo un velo pietoso sui “modi” che ha Renzi di presentarsi e di presentare agli italiani i risultati o gli obiettivi ancora non raggiunti della sua azione politica...).
d) E lo spettacolo tocca anche altre sfere: pensiamo alla religione. Questa è una cosa su cui mi ha fatto riflettere molto la mia compagna d’avventure. Non c’è edizione del TG1, in Italia, che non dica qualcosa sul Papa, che non ci informi su cosa sta facendo o farà a breve il Santo Padre... Cosa inammissibile in una nazione pur’essa cattolica (o a prevalenza cattolica) come la Spagna. Dal Corriere risalto su Repubblica e si legge a chiare lettere: “Papa il 2 Aprile a Rebibbia laverà i piedi ai detenuti per il rito del giovedì santo”... E uno (che non è ateo ma che comunque non si considera nemmeno poi così tanto cattolico né fervente né osservante) si domanda: “Perché questa notizia? A chi importa? Perché dobbiamo venire a sapere che il 2 Aprile il Papa laverà i piedi ai detenuti di Rebibbia?”. Ma la notizia prosegue: “L’anno scorso aveva scelto il carcere minorile”... Ditemi voi se questo non è “spettacolarizzare” anche un gesto o un rito o un rituale per molti santo e sacro come questo...
e)  L’Italia è uno spettacolo, nel senso di “oggetto o insieme di oggetti” belli da vedere. Pensiamo alla quantità immensa e immane d’arte che c’è sparsa per l’Italia, da Nord a Sud, isole comprese, disponibile per la vista e la contemplazione dello spettatore interessato a titolo completamente gratuito (i Musei, quelli ovviamente no, per quelli mi pare anche giusto che bisogna pagare, ma i monumenti principali, moltissime chiese e infinità di scorci paesaggistici che tolgono il fiato sono comunque disponibili in enorme quantità). Ebbene, non per fare il moralista, ma tutti sappiamo bene pure che fine sta facendo questo “spettacolo libero e gratis a cielo aperto”. Pompei crolla a pezzi peggio di quando ci fu l’eruzione del Vesuvio; il Colosseo perde pezzi pure lui; alla Reggia di Caserta alcuni furbetti di turno sottraggono l’acqua che serve a mantere verdi i prati immensi della reggia stessa per innaffiarsi il giardino di casa... Su questo argomento ha scritto vari saggi interessanti e agili e necessari per i tempi che corrono nel nostro paese il mitico Salvatore Settis (cfr. Italia S.p.A.. L’assalto del patrimonio culturale, del 2007 e il recente Se Venezia muore, del 2014)... E mi viene in mente che se faccio il confronto tra Roma e Madrid in quanto ad arte e valorizzazione della stessa Madrid batte Roma 1 a 0: basti considerare la pulizia che si cerca di mantenere per le strade, soprattutto del centro; e basti considerare che il Museo del Prado (comparabile, per estensione e importanza ai nostri Uffizi di Firenze e al Louvre di Parigi) prevede la Domenica a ingresso libero per consentire perfino a chi non vuole spendere un euro per l’arte di poter godere dell’arte stessa, a gratis, come sono gratis i Fori Romani o Piazza di Spagna o Piazza Venezia se li osservo e li godo dall’esterno (poi se uno vuole farsi una passeggiatina dentro i Fori o dentro il Colosseo, ecco, lì posso pure capirlo, può starci che si debba sborsare qualcosa, non si calpestano millenni di storia impunemente e senza pagare obolo).
f) In Italia regna sovrano il caos e la diatriba: e siamo sempre pronti a lamentarci di tutto e di tutti. E questa deve essere una costante atemporale e che sorvola le periodizzazioni della Storia... Titolo: “Cancellieri (la nostra ex-Ministra di Giustizia) critica Panariello: ‘A San Remo è stato patetico’”; critiche interne al partito: “Tosi: ‘Lega, Salvini dittatore’”;  e così di seguito... E di nuovo tutto volto a spettacolarizzare l’insulso scontro (che, ripeto, visto da qui appare ancora più insulso, ancora più grottesco... e me ne viente in mente un altro: il povero Carlo Verdone criticato dalla vedova di Monicelli che si è impegnata affinché questo premio simbolico non finisca nelle mani di un “comico” che non rappresenta il vero spirito del cinema di Monicelli...).
g)  E insomma: meglio se la smetto e smetto di leggere (anche solo di sfuggita e superficialmente) le notizie di attualità legate all’Italia, il mio paese, pieno zeppo di difetti, così “piccolo” visto dall’estero e, pure, così bello, nonostante i mille danni che combinano quelli che lo governano, nonostante la Mafia, nonostante i raggiri, nonostante questo continuo fenomeno di “spettacolarizzazione” del nulla (o dell’insulso o del banale, che a volte coincidono).

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...