Milano
(a fine Novembre)
“Le stesse cose ritornano, ma non sono mai esattamente le
stesse”: così si chiudeva un post di qualche anno fa, quando frequentavo il Sud
del mondo (e d’Italia) e pernottavo tra Salerno e Avellino e godevo dei
panorami mozzafiato che si possono contemplare dalle colline più alte di
Giffoni (sì, lo stesso paese del “Giffoni Film Festival”, Campania profonda,
profondo Sud).
La citazione (auto-citazione, sarebbe meglio dire) mi torna
immediatamente alla memoria pensando al mio recente viaggio a Milano: per colpa
(o grazie a) un congresso internazionale ho potuto riabbracciare e rivedere le
stesse persone che mi hanno aiutato ad essere ciò che oggi sono, gli stessi
professori che – negli anni 90 e nei primi anni 2000 – mi hanno trasmesso la
passione per lo studio e la ricerca, le stesse colleghe con le quali ho patito
gli “alti” e i “bassi”, le sventure molteplici, insomma, del periodo (fatidico,
duro, spietato, ma anche allegrissimo) del Dottorato (quando alcuni fine
settimana decidevo di staccare il cellulare, di non controllare le email, di
rinchiudermi in camera e di dire “addio” temporaneamente alla mia fidanzata per
tuffarmi nella scrittura accademica del tomo di 300 e passa pagine che poi
sarebbe diventata la mia tesi dottorale).
Fa un certo effetto rivederli a distanza di (almeno) 2
anni: c’è la prof. che è improvvisamente imbiancata (effetto dovuto alla
dismissione dell’abitudine di tingersi i capelli di nero); c’è il prof. che si
è lasciato crescere una barba bianca a metà strada tra Padre Pio e Babbo
Natale; c’è la collega che prova a nascondere le rughe dietro uno spesso strato
di cipria (o di ombretto o di come diavolo si chiamerà quell’intruglio che
molte donne adottano per mascherare i difetti della pelle: mascara? Bah! In
materia sono del tutto incompetente).
Insomma, l’effetto è molto simile a quello che constata
Marcel nell’ultimo volume della sua Recherche,
in una delle ultime scene apocalittiche o più strettamente malinconiche di
tutta l’opera, quando, in una delle ennesime riunioni mondane, si imbatte in
vecchie conoscenze e amiche d’un tempo, ormai diventate donne mature o
pensionate in una fase di tracollo fisico inarrestabile… E quando poi mi fermo
a contemplare da vicino certi volti acciaccati dall’azione del tempo non posso
fare a meno di pensare che se loro sono così per me, se loro appaiono così
malridotti ai miei occhi, allora anch’io devo apparire così per loro, anch’io
devo sembrare loro molto invecchiato…anche se sono passati soltanto (si fa per
dire) 2 anni…
Ed entrando in un bagno al secondo piano, guardandomi allo
specchio, penso che è proprio così: sono aumentate le rughe attorno agli occhi
e ne sono spuntate un paio sottili sulla fronte; ho le occhiaie scure quasi
tutti i giorni (continuo a dormire troppo poco, per le ore di lavoro cui
sottopongo il mio povero corpo); ho molti meno capelli di una volta, anzi,
ormai le stempiature si stanno allargando a macchia d’olio alla conquista di
uno spazio che, 2 anni prima, non era mai stato attaccato dalla calvizie; il
naso mi sembra ingrossato; la pelle del collo mi sembra più afflosciata; la
pancetta è una realtà che non posso ormai più nascondere né a me stesso né alla
bilancia né alla mia cara compagna di avventure; ogni tanto mi tremano le dita
della mano destra, un tremolio strano, assurdo, per me inspiegabile, che mi fa
pensare al peggio…
Ma siamo a Milano, a un congresso internazionale, siamo qui
per dotte disquisizioni, ma anche per rammentare i bei tempi passati e per
parlare dei nostri spledidi (e sensatissimi) progetti futuri; ovvia, non ci si
può abbandonare alla depressione proprio in questi 4 giorni che dura il
congresso, dobbiamo ridere e sorridere, nei limiti del possibile.
E allora si va a cena tutti insieme in una sorta di navata
industriale riabilitata a ristorante e sita nei pressi di Segrate o di Sesto
San Giovanni (Segrate, Linate, Lombrate, Orio al Serio, Brescia, Bergamo, Milano
2, Maranello, sono tutti termini che indicano luoghi che io credevo nemmeno
esistessero, perché per me erano solo nomi che sentivo pronunciare da Mike
Bongiorno in televisione, e invece, caspita, esistono davvero, sono reali e mi
fa impressione leggere i cartelli che ne annunciano la presenza); ci si siede
coi colleghi favoriti; si ride e si scherza, qualcheduno comincia a raccontare
barzellette sconcie (gli ordinari e gli associati adorano questo tipo di
barzellette), qualchedun’altro, invece, anche per l’effetto del vino, comincia
ad ammiccare verso la scollatura generosa del vestito di qualche altra collega
più giovane, magari una ricercatrice confermata da poco, e altri ancora
afferrano il microfono di uno scenario pseudo-teatrale predisposto in un angolo
dell’enorme navata e comincia a cantare “O sole mio”, canzone che stona
decisamente con il contesto in cui ci troviamo, perché, si sa, a Milano il sole
è un fenomeno piuttosto raro, la nebbia ci circonda dalle 7 del mattino (che è
quando ci si alza) fino alle 17 del pomeriggio (che è quando a Milano il sole
tramonta, almeno ora, che siamo a fine Novembre, dopo, chissà, sparirà ancor
prima).
Milano è enorme, come Roma, ma è decisamente meno ospitale
di Roma; non ci sono panchine per sedersi o rilassarsi, o almeno, io non ne ho
viste (sì, ci sono almeno due grossi parchi in città, due polmoni verdi in cui
è possibile fare sport o farsi anche una pennichella, ma da Sesto San Giovanni
alla Stazione Centrale non ho trovati molti angoli adatti al relax); la gente è
molto più cupa e stressata e meno sorridente che nella capitale; rispuntano i
soliti pregiudizi e un docente sul punto di andare in pensione fa la solita
battuta: “La Borsa a Roma non potrebbe mai fuzionare, è per questo che
l’abbiamo qui da noi”. E comincia con la solita solfa: Roma ladrona, nessuno
paga le tasse, tutti evadono il fisco. Gli racconto di mio fratello che è
avvocato e ha uno studio vicino a Piazza Cavour e del fatto che, a quanto
dicono le statistiche, gli evasori fiscali del Nord si equivalgono quasi a
quelli del Sud e del Centro. Ci guardiamo in cagnesco; non credo che voti Lega
ma già mi sta sulle palle e io a lui, l’antipatia è reciproca e si tasta
nell’aria. Una mia amica, ricercatrice confermata di Vercelli, cambia
argomento. Iniziamo a criticare questa mania di addobbare le città con le
decorazioni natalizie quando manca ancora un mese al Natale. Progetto per
l’indomani una spedizione alla Coop. Anch’io sono contrario agli addobbi
natalizi anticipati. Ma quando varco la soglia del supermercato mi rendo conto
di quanto mi manchi l’Italia (questo paese assurdo pieno di bellezza e pieno di
difetti ancestrali che sembrano incurabili e quasi inevitabili): sniffo il
Caffè Lavazza; soppeso le mozzarelle di bufala campane doc; tocco tutti i
triangoli di Parmigiano Reggiano che mi è possibile toccare senza dare
nell’occhio; guardo estasiato le cataste di pandori e panettoni, assaporando in
anticipo il piacere che proverò a tornare dai miei per la Vigilia…
Si invecchia, ma certi vizi non ci abbandonano mai; fanno
parte di noi; sono parte del nostro bagaglio e del nostro DNA.
Ci riabbracciamo con la promessa di rivederci al prossimo
congresso internazionale; questa volta Sud, per favore, sussurra un’amica
bionda originaria di Cassino; e un’altra le fa eco: Napoli! Oppure la Sicilia!
Io voto Palermo o Catania…
Ci diamo la mano; ci diciamo d’accordo; ci allontaniamo, chi in direzione di
Orio al Serio, chi di Milano Linate, chi della Stazione Centrale. Ognuno torna
ai suoi posti di combattimento. Io torno in Spagna, con la sensazione di aver
lasciato qualcosa di prezioso nella capitale del Nord e con la voglia di
tornare a sentire il dialetto abruzzese del paesino in cui sono nato, con la
voglia di tonare ad assaporare l’aria di casa…