sábado, diciembre 24, 2016

EGLI PASSEGGIA



Egli passeggia. Avanti e indietro, in modo costante, con precisione millimetrica, tra il bar e il negozio di ferramenta, tra il portone di casa mia e la palestra di fronte, senza stancarsi mai. Egli passeggia e osserva i passanti, le persone “normali” che vanno a fare la spesa, che vanno in palestra a cercare di dimagrire, che scappano a lavoro perché sono in netto ritardo, che corrono a gettare l'immondizia in pantofole di flanella prima che cominci il film di prima serata. Passano i giorni, i mesi, perfino le stagioni, e lui è sempre lì, che passeggia placido e apparentemente senza nessunissima fretta e senza alcun motivo che sia spiegabile dal punto di vista della ragione. Forse è già in pensione o forse si annoia (come chi, ad esempio, ha perso il lavoro e, all'improvviso, non sa più come occupare il tempo, come riempire le ore di cui si compone un'intera giornata); forse è malato e non si rende conto che continua a passeggiare nello stesso spazio (lo stesso perimetro) anche quando fa freddo o piove o tira vento (indossa quasi sempre gli stessi panni, gli stessi vestiti un po' sgualciti, d'un colore a metà tra il nero e il grigio, colori tristi, insomma). E ogni tanto il mio sguardo s'incrocia con il suo e allora mi viene il dubbio di chiedergli se sta bene, ma me ne pento immediatamente, non sono nessuno io per lui per chiedergli cosa diavolo ci fa tutto quel tempo per strada, a camminare, da sinistra a destra e viceversa, dalla palestra alla ferramenta e dalla ferramenta al portone d'ingresso di casa mia, dal portone al bar (non sembra un senza-tetto, come si dice oggi con gergo politicamente corretto, perché a dispetto dell'apparenza, ripeto, sembra uno che ha una casa in cui stare, un tetto sotto cui ripararsi).

Ne ho parlato anche con la mia compagna di sventure; quando siamo usciti, l'altra sera, per andare al cinema, per andare a vedere un film in cui Jude Law interpreta Thomas Wolf, lo scrittore, gliel'ho indicato e allora anche lei se ne è subito ricordata: “Ma io l'ho già visto quel tizio, lo vedo tutti i giorni accanto al bar e, a volte, di fronte alla palestra”.

Ci guarda, è come se rispondesse (in silenzio) alla nostra ispezione visiva; poi ci vergognamo e distogliamo entrambi lo sguardo verso l'alto o verso un punto all'orizzonte in cui non appaia la sua sagoma oscura.

Avrà sui quarant'anni o forse qualcosa di più; ha delle rughe molto vistose sulla fronte, spaziosa e con delle stempiature evidenti ai lati, anche se i ricci che occupano la nuca sono piuttosto folti e forti. S'intravede della forfora sulle spalle della giacca. Le mani sempre infilate in tasca, sia quando fa caldo che quando fa freddo. Ai piedi porta delle polacchine classiche di colore marrone. I pantaloni sono a coste ampie, anch'essi di un colore scuro (neri, marroni o grigi). Ha un po' di gobba, quando deambula si nota che guarda troppo verso terra, non è eretto, si piega sotto il peso di chissà quale dramma interiore. Non sappiamo come si chiama, né se ha una moglie o una fidanzata. Quando ci vede felici, quando s'imbatte in me e mia moglie nell'atto di baciarci o di abbracciarci con passione o con allegria, sembra lanciarci uno sguardo reprobo, sembra quasi che gli diamo fastidio, o meglio, che gli dia fastidio tanta manifestazione pubblica d'affetto, tanta smanceria...

Quando torno dal fruttivendolo, con le buste di plastica stracolme di banane e mandarini, di mele e di ananas, mi guarda con aria di sfida, come a voler sottolineare che lui, tutta quella frutta, non ce l'ha in casa perché, forse, non può permettersela.

Quando rincaso tardi con i nervi a fior di pelle, perché è stata una giornataccia, perché a lavoro ho avuto mille beghe da risolvere e che non ho risolto, quando fumo per il nervosismo, mi lancia uno sguardo come di soddisfazione, come se godesse nel leggermi nel volto lo stress di un'intera giornata passata a sgobbare.

Quando, invece, mi trova vestito da ginnasta, quando decido che è arrivata l'ora di andare a correre e indosso le scarpe da tennis e il completo sportivo, con le maniche corte e i pantaloncini estivi, mi osserva di sottecchi come a dire che lo sport non mi farà affatto bene, che non perderò quei tre chili di sovrappeso che si notano quando indosso giacca e cravatta.

Quando torno in bici, lo stesso: sembra assumere l'atteggiamento di sfida del vigile urbano che ti farà la multa perché hai parcheggiato dove è proibito farlo.

Egli passeggia e osserva e sembra avere doti da profeta, sembra immischiarsi nelle vite degli altri col suo solo atto di guardare e di camminare, instancabile, imperterrito, ignaro degli attentati suicidi che tempestano la quotidianità di mezza Europa, ignaro anche della crisi economica, ignaro dei titoli dei giornali, concentrato, apparentemente, solo su se stesso e sulla contemplazione del prossimo, dei vicini che abitano tra il negozio di ferramenta e il bar dell'angolo, tra la palestra e il portone di casa mia...

Egli passeggia, osserva e giudica con lo sguardo e non c'è proprio modo di sapere davvero a cosa pensi, cosa ne pensa di noi, che siamo sempre affannati, sempre di corsa, sempre di sfuggita, sempre sotto stress.

Egli passeggia, osserva, giudica e forse ci critica nel suo io più intimo e nascosto, o forse ci odia, o forse ci invidia, o forse, molto più semplicemente, gli siamo indifferenti, anche quando i suoi occhi non possono fare a meno di radiografare ogni nostro minimo movimento.


E' una presenza quotidiana inquietante. Ecco, è forse questa l'unica certezza che ho. Che abbiamo. 

lunes, diciembre 19, 2016

S'AVVICINA (IL NATALE)




Non l’immaginavo mica che, sul finire del 2016, a ridosso del Natale (si avvicina e la gente impazzisce dietro ai regali, file chilometriche di clienti nei negozi di vestiti, di scarpe, di sciarpe, di alimentari, di abbigliamento sportivo), mi sarei ritrovato a consultare il sito della mia banca per vedere come procedono i fondi (a bassissimo rischio, così me li ha presentati il direttore, ma vatti poi a fidare, chissà): risalgono, per fortuna, anche se di pochissimo (all’inizio ho perso circa 124 euro, ora un po’ meno, mi dice che per la prossima primavera sarò andato in parità, se non con qualche spicciolo in più di guadagno netto su non so quale diavolo di percentuale); né immaginavo che potessi finire col comprarmi un prosciutto intero (si sa, qui in Spagna, il “jamón serrano” non è un cibo qualunque, c’è dietro tutta una serie di rituali, una sfilza di secoli, un insieme impressionante di saperi e di abilità culinarie che si coagulano per darci una prelibatezza che non ha uguali al mondo). E così, mentre ascolto Luigi Boccherini (morto in Spagna e al servizio della corona spagnola finché campò – famosa la sua “La musica notturna per le strade di Madrid”), mi accorgo di com’è difficile vivere, di com’è dura affrontare le vacanze natalizie (sto già sognando di rintanarmi in casa, anzi, in camera da letto, di staccare tutto, cellulare, computer, fax, di non vedere nessuno, amico o parente che sia, solo per guardare decine, centinaia di film che ho in lista da un bel pezzo e che non ho ancora potuto vedere con la calma che meritano), di com’è antipatico dover essere per forza felici solo perché è così che vuole il calendario, lo detta la legge delle norme sociali: è Natale (s’avvicina! S’avvicina!) e siamo tutti più buoni, siamo tutti più clementi, siamo tutti più pronti ad offrire amore (ma quando mai?).

La mia compagna di avventure mi dice che sono troppo scorbutico, ultimamente, e anche troppo negativo: l’altro giorno, passeggiando in centro, capitiamo sotto tiro d’una statua di un equilibrista che cammina con un bastone in mano sul filo del rasoio; all’estremo opposto della testa dell’equilibrista pende un globo, un pallone gigante che dovrebbe rappresentare il mondo. Lo guardo e glielo dico (è più forte di me, non posso resistere): “Guarda quella scultura; immagina che ora si trovi a passare di lì un pedone e si scioglie il nodo che tiene attaccata la palla alla base dei piedi dell’equilibrista e che la palla rovini addosso al pedone e gli spacchi il cranio, immagina la massa encefalica e il sangue che schizzano sul marciapiede, gli occhi che come schegge impazzite fuoriescono dalle orbite, immaginatelo…”.

E tutto ciò nonostante il fatto che non abbia tanti problemi di cui lamentarmi, non ho troppe rogne, non ho tanti nodi da sciogliere, come è magari capitato anni addietro…

Anzi, l’editrice del mio libro mi dice che (testuali parole) “si sta vendendo bene”; e penso che sia davvero incredibile, che si tratti quasi di un miracolo, che “si venda bene” un tomo di quasi 400 pagine di critica letteraria, in un mondo come il nostro in cui – siamo sinceri – si legge sempre meno e la minoranza che incarnano i lettori “forti” non si dedica di certo a leggere opere di “critica del testo” (elucubrazioni a volte astratte e astruse che non portano da nessuna parte, discettazioni a volte scritte con stile arzigogolato solo per mascherare la propria impossibilità di capire il testo – spero non sia questo il mio caso, io almeno ci ho provato, a dire la mia sul testo, e il tutto con uno stile il più possibile “asciutto” e “chiaro” e “diretto”).

Boccherini continua a suonare (archi, violini, trombe, violoncelli, è un tripudio di suoni che mettono allegria, nonostante i passanti che sbattono l’uno contro l’altro per la furia di fare l’affare del secolo e di comprare i regali a buon prezzo); sulla scrivania Guido Paduano aspetta che lo riprenda in mano: La nascita dell’eroe, è così che s’intitola questo saggio su Achille, Odisseo ed Enea, ovvero, sull’Iliade, l’Odissea e l’Eneide, ovvero, i tre principali poemi epici della classicità greco-romana da cui nascerà gran parte della letteratura occidentale così come oggi la conosciamo… Lo incontrai solo una volta, Guido Paduano, per sbaglio, in un corridoio della Facoltà di Lingue presso l’Università di Pisa (lì insegna – o insegnava, forse è andato in pensione – Filologia Classica e Letterature Comparate), e non ricordo nemmeno più che faccia abbia. L’oblio è sempre pronto a cancellare porzioni del nostro passato; e quando uno si sforza e tenta di tornare con la memoria a quella determinata scena passata non può più farcela, il nome è rimasto saldo in mente, il volto è scomparso per sempre nella nebbia.


Felice Natale a tutti, gente! 

viernes, diciembre 09, 2016

Mia madre, di Nanni Moretti: non solo un film e basta



“Un film e basta”, così s’intitola uno degli “extra” del dvd di Mia madre, l’ultimo lavoro di Nanni Moretti, uscito nel 2015 e che io non ho potuto vedere al cinema (magari al Sacher dello stesso Moretti) perché ormai, dal 2013, vivo in pianta stabile in Spagna… (ed è la prima volta che non corro a vedere l’ultimo di Nanni, mi sento un traditore, come se avessi mancato un appuntamento importante…). E invece no, non è affatto “un film e basta”, questo qui, è anche un canto alla madre scomparsa, un piccolo saggio di auto-analisi e una breve ma intensa riflessione su chi siamo (noi tutti) di fronte alla morte, piccoli essere umani deboli e pieni di difetti e di dubbi e di illusioni (e su questo versante, è inutile aggiungerlo - chi ha visto il film lo sa - Margherita Buy svolge un ruolo fondamentale, riesce a dare davvero un volto e un corpo alla disperazione e alla rabbia, al senso d’impotenza di chi sta di fronte alla Morte e sa che non potrà fare più nulla per contrastarla o arrestarla, Margherita Buy è bravissima e Nanni Moretti le regala i primi piani più belli ed intensi del cinema italiano di questi ultimi anni).

E c’è una scena, in particolare, che mi è rimasta impressa, ed è quella in cui Margherita Buy, che qui impersona l’alter-ego di Nanni Moretti e fa la regista intellettuale di sinistra in crisi, tocca i libri che sono appartenuti a sua madre, professoressa di Latino al liceo, e si domanda (in pieno set, davanti agli operatori e a John Turturro, la star americana chiamata a recitare il ruolo del “cattivo” di turno): “Tacito, Seneca, che fine faranno? Dove andranno a finire tutti i libri di mia madre? Tutte le giornate, le ore, passate a leggere, a tradurre e a studiare?”.

La domanda ce la poniamo tutti, prima o poi. Io me la sono posta quando La Repubblica mise a disposizione dei lettori un breve video di un paio di minuti in cui si vede Umberto Eco gironzolare all’interno dell’immensa biblioteca di casa sua e uno si domanda di nuovo, insieme alla Buy: “Dove andranno a finire tutti quei saggi, quelle centinaia di romanzi, quei manoscritti antichi e medievali rarissimi e costosi, appartenuti al grande Eco? Che fine faranno?”.

E c’è un’altra scena che poi, alla fine, Nanni Moretti ha deciso di scartare e, invece, è morettiana al massimo grado ed è un vero peccato che, alla fine, l’abbia eliminata, ed è la scena in cui una donna chiede alla regista che film stia girando e Margherita Buy non vuole rispondere e s’inventa una trama, dice che si tratta di un film sentimentale, un film d’amore, addirittura, e allora Nanni Moretti ci mostra uno spezzone, un frammento di questo film “immaginario”, in cui si vede John Turturro che torna a Roma dall’America e ritrova la donna della sua vita all’interno di una libreria e i due si guardano, si riconoscono, si sorridono e poi si mettono a ballare, in modo dolce, dinoccolato, e così pure il resto dei dipendenti della libreria, tutti danzano, al ritmo di una canzone che domani andrò a cercarmi su YouTube, perché è un pezzo formidabile, romantico, nostalgico, pieno di tenerezza, che fa sorridere e fa anche un po’ piangere, Nanni Moretti al cento per cento, in questa scena alla fine tagliata, in cui tutti ballano, tutti si abbracciano, e l’amore – quello vero, ma qual è l’amore vero? – sembra prevalere su tutto, e lo spettatore viene trasportato per un minuto in una dimensione in cui la Morte non c’è più, perché ha stranamente perso la sua partita contro l’uomo e siamo tutti più sorridenti e allegri e rilassati…

Non sarà un capolavoro, non sarà di certo il suo miglior film (io non so scegliere tra Ecce Bombo e Caro Diario), ma Mia madre è certamente un gran bel film, una di quelle opere da vedere e rivedere, uno di quei pezzi d’arte in cui ci si ritrova tra le mani, le braccia e l’immaginazione di un grande narratore come è Nanni Moretti…



 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...