Tutto è bene (o male) quel che finisce bene (o male),
ovvero: delle letture in sospeso
E così, alla fine, il
Caso (o il Destino o il Fato) ha voluto che il mio libro veda la luce; me lo
immagino già il mio critico più spietato, il nemico acerrimo che disse di no (a
suo tempo) alla pubblicazione del mio parto perché (a sua detta) “non
colloquiavo – o dialogavo – abbastanza con la critica più specializzata
sull’argomento”. E va bene, ormai ci ho fatto il callo e so che verrò
attaccato; spero solo che gli attacchi siano ben argomentati; e, perché
negarlo?, spero anche che ci sia qualcuno che apprezzi lo sforzo, che dica che
il libro gli è piaciuto, che non tutto è stato vano (dunque, stringiamo le
dita, e iniziamo a fare la conta alla rovescia – fra 20 giorni, ergo: a metà
Maggio, o giù di lì: quelli della casa editrice mi chiedono un riassunto, una
breve nota bio-bibliografica e perfino una foto recente; i dubbi mi assalgono: che
cazzo di foto posso mandare loro per la quarta di copertina? C’è davvero
bisogno di metterci la faccia? A qualcuno interessa che faccia ho? Sulla quarta
di copertina? O non sarà per caso che ho capito male? Non si staranno riferendo
forse al “risvolto di copertina” che – come tutti sanno – è cosa ben diversa
dalla “quarta di copertina”? Non è molto più importante ciò che appare
all’interno del testo, le parole che vi ho messo, piuttosto che l’aspetto fisico
che ho? Del bel viso che mi porto appresso? Bah!).
Tutto è bene quel che
finisce bene; ma potremmo anche ribaltare la questione e scambiare il lessema “bene”
con la parola “male” e non cambierebbe poi molto; mi ripeto (chiedendo scusa a
quelle 3 o 4 lettrici che ancora mi sopportano): “siamo tutti frutti del Caso –
o del Destino o del Fato – e il fatto che un libro appaia e venga messo in
vendita o il fatto che, al contrario, finisca nel secchio della spazzatura e
sparisca per sempre dalla faccia della Terra non ha importanza alcuna, perché
succede tutti i giorni, come il susseguirsi delle nascite e delle morti sulla
già citata, povera Terra nostra”…
E, guarda un po’, questo
fine Aprile sono pure riuscito a portare a termine le 2 o 3 recensioni di cui
parlai tempo fa su questo stesso “diario di bordo”… Una faticaccia immane:
soprattutto quando il libro che devi recensire è scritto in inglese (da un belga
trapiantato negli USA) e tratta un tema ostico (in un linguaggio tecnico ancora
più ostico). Dunque, posso considerarmi pienamente soddisfatto del lavoro ben
svolto, ora posso tornare a leggere (ciò che mi piace o mi appassiona) senza
troppo stress e senza il fiato (di qualcuno) sul collo…
Che libri leggere ora
che sono più libero? (lavoro quotidiano permettendo e a parte?). Sulla mia
scrivania giace da tempo The Time Machine
and Other Stories di H. G. Wells. Non ho mai letto nulla di questo
scrittore di fantascienza: è un classico e, proprio per questo motivo, so che
non mi deluderà (poi, il fatto che sia affascinato dalla tematica del “tempo” e
dei “viaggi spazio-temporali” non può che accrescere la mia voglia di
“scoprirlo” – mi torna subito in mente The
Fly di David Cronenberg e la fatidica, surreale macchina del teletrasporto
e la bruttissima fine che fa Jess Goldblum rinchiudendosi in quell’accrocco insieme
ad una mosca).
E poi c’è Cervantes (non
poteva mancare il Manco di Lepanto sulla mia scrivania; solo 5 giorni fa ero ad Alcalá de Henares per
festeggiare i 400 anni della sua morte – anniversario importante, che Miguel ha
condiviso con William, quell’altro grande classico immortale, il Bardo
d’Inghilterra): la copertina de Los
trabajos de Persiles y Sigismunda mi fa l’occhiolino da giorni, ormai; un
paesaggio invernale di prati e boschi verdi viene percorso in diagonale da un
fiume bianco su cui naviga placida una barca a tre vele (spiegate col vento in
poppa) verso chissà quale costa. Si tratta del libro postumo del geniale autore
del Quijote, pubblicato nel 1617,
esattamente un anno dopo la scomparsa dello stesso. A quanto pare, Miguel de
Cervantes Saavedra aveva riposto tutte le sue speranze di diventare uno
scrittore “serio” ed “importante” proprio nel Persiles e, invece, il Destino (o il Caso o il Fato) ha voluto che
questa fosse (e rimanesse) la sua opera più misconosciuta, quella meno letta di
tutte e, forse, anche quella meno capita dal lettore contemporaneo (da quelle
poche cose che so, qui Cervantes reinventa il modello della novela bizantina per adattarlo alla sua
contemporaneità; il dubbio sorge spontaneo: dopo che hai inventato il genere
del “romanzo moderno” – da cui poi prenderanno spunto tutti gli altri
romanzieri europei e non fino ai giorni nostri – diventa alquanto strambo o
anacronistico tornare al modello del “romanzo bizantino”, non ti pare? Ma
staremo a vedere, voglio proprio vedere come se la cava il geniale inventore di
Don Chisciotte con questo Persiles e
il suo schema – o struttura a incastro – di tipo “bizantino”).
E poi ci sarebbe Gypsy, ovvero, le memorie di Gypsy Rose
Lee (1914-1970), ovvero, di quella che viene presentata (nel risvolto di
copertina dell’ed. Adelphi) come “la più celebre spogliarellista e ballerina di
varietà dell’America degli anni Trenta”. Comprai questo libro su consiglio di
Roberto Calasso, se non ricordo male e la memoria non m’inganna. Ne parlava con
un certo accoramento (nonché accaloramento) in un’intervista in cui il famoso
editore italiano faceva un po’ il punto della situazione dei molti anni di vita
della sua creatura e, appunto, si fermava a riflettere su quelli che, secondo
lui, erano stati i “colpacci” dell’Adelphi, tra cui appariva, appunto, anche
lei, Gypsy Rose Lee, con il suo libro di memorie (pubblicato per la prima volta
in America nel 1957 e apparso in Italia ben 40 anni dopo, nel 1997);
m’incuriosisce la picaresca e mi attraggono gli anni 30; e visto che ci siamo,
se è per questo, mi attraggono anche certe spogliarelliste vintage, come, per citare un’altra icona classica, Betty Page.
Ora, vediamo se la succitata Gypsy è dotata anche di uno stile che cattura, se
ci sa fare con la narrazione del sé, se gioca coi ricordi e se riesce, insomma,
a tenere incollato a sé il lettore (certo, molto dipenderà anche dal traduttore
dall’inglese, e per quelle 2 o 3 paginette che ho letto debbo dire che tremo un
po’, ci sono frasi che sembrano tradotte male e altre che, nel giro della frase
italiana, semplicemente suonano assurde).
Giugno e Luglio li
passerò a correggere (esami, tesi e tesine) e a presenziare discussioni (di
tesi e tesine) in aule con l’aria condizionata a palla per cercare di contrastare
i 48 gradi centigradi che si raggiungono come nulla in questa città africana
all’altezza di Messina (o di Palermo).
Per il resto, non ci
possiamo proprio lamentare. La vita va avanti; i libri da leggere sono ancora
tanti (troppi); la vista è affaticata; ma la voglia è sempre alta. Buona
lettura a tutti…