FAUST di Friederich Murnau, un
capolavoro della storia del cinema che anticipa altri capolavori della storia
del cinema
L’altra sera io e la mia
compagna di avventure non avevano molto da fare, dopo aver fatto l’amore sul
divano (una cosa assurda, ma molto bella, quando non è programmata a tavolino e
non te l’aspetti perché sembra che non è l’ora, non è il posto, non è il
momento e il luogo giusto - quanto può essere salvifica la rottura della
routine quotidiana? Quanti gesti, piccoli, apparentemente banali, possono
salvarci la vita e aiutarci a rompere la monotonia? Ma l’amore – e il sesso –
si sa, non è mai banale), e così, di punto in bianco, bel belli, ci siamo messi
a guardare il Faust (1926) di Murnau, il
geniale regista di Nosferatu, forse
tra le prime versioni cinematografiche del mitico personaggio vampiresco, e de Il gabinetto del Dottor Caligari, forse
tra i più impressionanti esempi del cosiddetto cinema espressionista tedesco.
E sono bastate le prime
inquadrature del film per capire che ci trovavamo dinanzi a un vero capolavoro,
uno di quei film che sai che tornerai a vedere una seconda o terza volta perché
le immagini che il regista ti offre sprigionano tale e tanta forza, tale e
tanta carica, tale e tanto fascino che non potrai non tornare indietro sui tuoi
passi per ri-contemplare lo spettacolo (e magari, dopo, avrai anche la
curiosità di leggerti la versione letteraria originale di Goethe).
In un Medioevo
indefinito, Faust cerca la ricetta magica che possa aiutarlo a salvare vite
umane in un momento in cui la peste sta mietendo vittime e portando la
popolazione alla follia. Faust è il filosofo e lo scienziato che, in nome della
verità, sarebbe disposto a tutto, anche a vendere la sua anima al diavolo. E
così accade: mentre brucia tutti i suoi preziosi libri in un falò domestico,
ecco che le pagine di un trattato stregonesco gli offrono uno spunto; dovrà
recarsi a un bivio del paese e declamare le parole di una formula apparentemente
infallibile. In realtà, sin dal prologo (strepitoso, maestoso, genialoide), noi
spettatori sappiamo già che Faust è soltanto il “bersaglio” o, ancor meglio, il
“campo di battaglia” in cui si sfideranno l’Arcangelo Gabriele e Satana; i due
– rappresentanti del Bene e del Male – si sfidano a duello in una scommessa
all’ultimo sangue: il primo scommette che Faust, in quanto essere umano,
riuscirà a non farsi convincere dal Demonio perché prova amore, il secondo
scommette esattamente il contrario perché il Male ha sempre la meglio sul Bene
e l’amore non può nulla contro l’egoismo e i piaceri terreni. E insomma, alla
fine, Satana si presenta al cospetto del nostro povero
scienziato-folle-filosofo sotto le spoglie di Mefisto, un vecchio brutto e
cisposo che lo convince a firmare (con il sangue) un contratto della durata
d’un giorno (ma sarà solo un sotterfugio; a Mefisto interessa solo “comprare”
l’anima di Faust per rivenderlo al suo Signore, il Demonio in persona; quel
contratto sa già che diventerà a tempo indeterminato).
Il nostro povero eroe non
crede ai suoi occhi quando, declamando le parole giuste, riesce a riportare in
vita malati ormai morti o sulla via della morte. Il punto è che se prova ad
avvicinarsi alla croce (simbolo di Cristo) è costretto a ritrarsi; il popolo lo
crede un indemoniato e gli volta le spalle, anzi, provano ad ucciderlo a
pietrate. Faust si rifugia in casa e qui cede ancor di più alle lusinghe di
Mefisto, che gli offrirà giovinezza, bellezza e conoscenza, se lui opterà per passare
dalla parte del Demonio.
Ecco, a questo punto
assistiamo a una scena che ha dell’incredibile: la visione (dall’alto) della
Terra in volo, con Faust che viaggia accanto a Mefisto. Ora, a parte
l’incredibile audacia e l’incredibile resa cinematografica di questa scena, è
qui che uno (un po’ cinefilo) si rende conto del fatto che Faust è un
capolavoro che anticipa opere che, a loro volta, diverranno tali: quegli strani
uccelli che volano allineati nel cielo infinito del pianeta terrestre ricordano
straordinariamente e da vicino gli elicotteri dell’esercito americano che,
sulle note della famosa “Cavalcata delle Walkirie” di Wagner attaccano i
vietcong in Apocalypse Now di Francis
Ford Coppola. E uno (un po’ su di giri) si domanda: guardò questo film il
regista italo-americano? Pensò a questi uccelli mezzo rettili e mezzo aerei per
girare la sua scena più spettacolare?
In un altro punto del
film, Faust riesce a far invaghire di sé una tenera fanciulla; peccato che poi
lui la abbandoni a se stessa. La ragazza rimane incinta e partorisce, ma Faust
è distratto da Mefisto e non sa né vede niente. La ragazza porta in grembo il
bambino, lo avvolge tra le sue vesti, ma nessuno è disposto a farla entrare in
casa sua: fuori fa freddo, anzi, si gela, e comincia anche a nevicare. E’ una
delle scene più drammatiche di tutto il film. Noi spettatori patiamo lo stesso
freddo che sente in quel momento questa nuova Maria Vergine che non sa a che
santo votarsi. La neve si accumula velocemente sul suo corpo e sugli stracci in
cui lei cerca di tenere al caldo il neonato. Poi non ce la fa più, si arrende:
resta accasciata per terra, con il figlioletto in braccio, congelata, col viso
immobile, la neve che le copre i capelli e la faccia. Lo spettatore cinefilo
non potrà non ricordare a questo punto il finale di Shining di Stanley Kubrick, quando Danny riesce a battere suo padre
grazie all’astuzia, all’interno del labirinto in cui è andato a rifugiarsi su
consiglio della madre, mezza uccisa dal folle Jack Torrance. Danny – come Teseo
nel momento in cui ha ucciso il Minotauro e riesce a tornare all’aperto grazie
al filo d’Arianna – torna letteralmente indietro sui suoi passi e riesce a far
prendere le proprie tracce; Jack Torrance / Nicholson si perde e la neve non
perdona, in una delle ultime inquadrature lo vediamo col ghigno congelato sul
viso, morto ghiacciato proprio come sta per morire la ragazza sedotta e
abbandonata da Faust.
E ora che ci penso: anche
prima mi torna in mente Kubrick, nella scena già citata del viaggio dall’alto
sulla Terra; Murnau gira una sorta di unico piano sequenza intervallato, però,
da inquadrature di dettagli di porzioni del nostro pianeta: si vedono boschi,
picchi di montagne, laghi in lontananza, mescolati a folle velocità. Ecco, io
accanto a questa inquadratura ci vedo il viaggio “verso l’Infinito ed oltre” di
David Bowman nel finale di 2001: A Space
Odissey, quando l’astronauta, dopo aver vinto la sua battaglia personale
contro HAL9000, si ritrova sperduto nello spazio e finisce dentro a una specie
di buco nero che non è altro che la porta d’ingresso verso un mondo “altro” in
cui non esistono più il sopra e il sotto, in cui tutto è diventato
tridimensionale e noi spettatori vediamo con lui un mix incredibile di
paesaggi, colori e forme geometriche varie (si dice che per girare questa scena
Kubrick abbia sperimentato l’LSD, per avere allucinazioni visive più “realiste”
per il suo film).
Forse è solo una mia
impressione; forse le mie sono soltanto letture “viziate”; sta di fatto che
Faust di Murnau sembra davvero anticipare di cinquant’anni alcuni dei capolavori
che faranno la storia del cinema come Apocalypse
Now, o 2001: Odissea nello spazio
o Shining…