viernes, enero 13, 2017

FAUST di Friederich Murnau, un capolavoro della storia del cinema che anticipa altri capolavori della storia del cinema


L’altra sera io e la mia compagna di avventure non avevano molto da fare, dopo aver fatto l’amore sul divano (una cosa assurda, ma molto bella, quando non è programmata a tavolino e non te l’aspetti perché sembra che non è l’ora, non è il posto, non è il momento e il luogo giusto - quanto può essere salvifica la rottura della routine quotidiana? Quanti gesti, piccoli, apparentemente banali, possono salvarci la vita e aiutarci a rompere la monotonia? Ma l’amore – e il sesso – si sa, non è mai banale), e così, di punto in bianco, bel belli, ci siamo messi a guardare il Faust (1926) di Murnau, il geniale regista di Nosferatu, forse tra le prime versioni cinematografiche del mitico personaggio vampiresco, e de Il gabinetto del Dottor Caligari, forse tra i più impressionanti esempi del cosiddetto cinema espressionista tedesco.

E sono bastate le prime inquadrature del film per capire che ci trovavamo dinanzi a un vero capolavoro, uno di quei film che sai che tornerai a vedere una seconda o terza volta perché le immagini che il regista ti offre sprigionano tale e tanta forza, tale e tanta carica, tale e tanto fascino che non potrai non tornare indietro sui tuoi passi per ri-contemplare lo spettacolo (e magari, dopo, avrai anche la curiosità di leggerti la versione letteraria originale di Goethe).


In un Medioevo indefinito, Faust cerca la ricetta magica che possa aiutarlo a salvare vite umane in un momento in cui la peste sta mietendo vittime e portando la popolazione alla follia. Faust è il filosofo e lo scienziato che, in nome della verità, sarebbe disposto a tutto, anche a vendere la sua anima al diavolo. E così accade: mentre brucia tutti i suoi preziosi libri in un falò domestico, ecco che le pagine di un trattato stregonesco gli offrono uno spunto; dovrà recarsi a un bivio del paese e declamare le parole di una formula apparentemente infallibile. In realtà, sin dal prologo (strepitoso, maestoso, genialoide), noi spettatori sappiamo già che Faust è soltanto il “bersaglio” o, ancor meglio, il “campo di battaglia” in cui si sfideranno l’Arcangelo Gabriele e Satana; i due – rappresentanti del Bene e del Male – si sfidano a duello in una scommessa all’ultimo sangue: il primo scommette che Faust, in quanto essere umano, riuscirà a non farsi convincere dal Demonio perché prova amore, il secondo scommette esattamente il contrario perché il Male ha sempre la meglio sul Bene e l’amore non può nulla contro l’egoismo e i piaceri terreni. E insomma, alla fine, Satana si presenta al cospetto del nostro povero scienziato-folle-filosofo sotto le spoglie di Mefisto, un vecchio brutto e cisposo che lo convince a firmare (con il sangue) un contratto della durata d’un giorno (ma sarà solo un sotterfugio; a Mefisto interessa solo “comprare” l’anima di Faust per rivenderlo al suo Signore, il Demonio in persona; quel contratto sa già che diventerà a tempo indeterminato).


Il nostro povero eroe non crede ai suoi occhi quando, declamando le parole giuste, riesce a riportare in vita malati ormai morti o sulla via della morte. Il punto è che se prova ad avvicinarsi alla croce (simbolo di Cristo) è costretto a ritrarsi; il popolo lo crede un indemoniato e gli volta le spalle, anzi, provano ad ucciderlo a pietrate. Faust si rifugia in casa e qui cede ancor di più alle lusinghe di Mefisto, che gli offrirà giovinezza, bellezza e conoscenza, se lui opterà per passare dalla parte del Demonio.

Ecco, a questo punto assistiamo a una scena che ha dell’incredibile: la visione (dall’alto) della Terra in volo, con Faust che viaggia accanto a Mefisto. Ora, a parte l’incredibile audacia e l’incredibile resa cinematografica di questa scena, è qui che uno (un po’ cinefilo) si rende conto del fatto che Faust è un capolavoro che anticipa opere che, a loro volta, diverranno tali: quegli strani uccelli che volano allineati nel cielo infinito del pianeta terrestre ricordano straordinariamente e da vicino gli elicotteri dell’esercito americano che, sulle note della famosa “Cavalcata delle Walkirie” di Wagner attaccano i vietcong in Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. E uno (un po’ su di giri) si domanda: guardò questo film il regista italo-americano? Pensò a questi uccelli mezzo rettili e mezzo aerei per girare la sua scena più spettacolare?



In un altro punto del film, Faust riesce a far invaghire di sé una tenera fanciulla; peccato che poi lui la abbandoni a se stessa. La ragazza rimane incinta e partorisce, ma Faust è distratto da Mefisto e non sa né vede niente. La ragazza porta in grembo il bambino, lo avvolge tra le sue vesti, ma nessuno è disposto a farla entrare in casa sua: fuori fa freddo, anzi, si gela, e comincia anche a nevicare. E’ una delle scene più drammatiche di tutto il film. Noi spettatori patiamo lo stesso freddo che sente in quel momento questa nuova Maria Vergine che non sa a che santo votarsi. La neve si accumula velocemente sul suo corpo e sugli stracci in cui lei cerca di tenere al caldo il neonato. Poi non ce la fa più, si arrende: resta accasciata per terra, con il figlioletto in braccio, congelata, col viso immobile, la neve che le copre i capelli e la faccia. Lo spettatore cinefilo non potrà non ricordare a questo punto il finale di Shining di Stanley Kubrick, quando Danny riesce a battere suo padre grazie all’astuzia, all’interno del labirinto in cui è andato a rifugiarsi su consiglio della madre, mezza uccisa dal folle Jack Torrance. Danny – come Teseo nel momento in cui ha ucciso il Minotauro e riesce a tornare all’aperto grazie al filo d’Arianna – torna letteralmente indietro sui suoi passi e riesce a far prendere le proprie tracce; Jack Torrance / Nicholson si perde e la neve non perdona, in una delle ultime inquadrature lo vediamo col ghigno congelato sul viso, morto ghiacciato proprio come sta per morire la ragazza sedotta e abbandonata da Faust.


E ora che ci penso: anche prima mi torna in mente Kubrick, nella scena già citata del viaggio dall’alto sulla Terra; Murnau gira una sorta di unico piano sequenza intervallato, però, da inquadrature di dettagli di porzioni del nostro pianeta: si vedono boschi, picchi di montagne, laghi in lontananza, mescolati a folle velocità. Ecco, io accanto a questa inquadratura ci vedo il viaggio “verso l’Infinito ed oltre” di David Bowman nel finale di 2001: A Space Odissey, quando l’astronauta, dopo aver vinto la sua battaglia personale contro HAL9000, si ritrova sperduto nello spazio e finisce dentro a una specie di buco nero che non è altro che la porta d’ingresso verso un mondo “altro” in cui non esistono più il sopra e il sotto, in cui tutto è diventato tridimensionale e noi spettatori vediamo con lui un mix incredibile di paesaggi, colori e forme geometriche varie (si dice che per girare questa scena Kubrick abbia sperimentato l’LSD, per avere allucinazioni visive più “realiste” per il suo film).



Forse è solo una mia impressione; forse le mie sono soltanto letture “viziate”; sta di fatto che Faust di Murnau sembra davvero anticipare di cinquant’anni alcuni dei capolavori che faranno la storia del cinema come Apocalypse Now, o 2001: Odissea nello spazio o Shining

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