Grazie, Liszt
Di nuovo la maledetta insonnia. Sono le 2 e gli occhi
stanchi contemplano il paesaggio esterno: 3 lampioni illuminano con luce al
neon il selciato, ricoperto di foglie secche, foglie morte, foglie gialle. È il
10 di Dicembre, è normale, anzi, qui fa più caldo che a Madrid (o che a Roma).
Per non pensare al tempo che non vuole passare, mi metto a
leggere un romanzo atroce, uno di quei libri che già so che non potrò smettere
di leggere fino alla fine, Resistere non
serve a niente, di Walter Siti (solo a lettura finita scoprirò che si tratta
del “Premio Strega” del 2013). È un romanzo che parla di un giovane di borgata
che, inseguendo la sua passione per la matematica e i calcoli, arriva a
diventare un grande esperto di finanza mondiale, uno squalo sullo stile del
Leonardo Di Caprio del bellissimo The
Wolf of Wall Street di Martin Scorsese (che curioso! Anche questo film è
uscito nel 2013).
“Non si scrive quello che si vuole, si scrive quello che si
può”, afferma il narratore in prima persona in uno dei primi capitoli del
romanzo. E come dargli torto. Mi faccio un cappuccino col caffè decaffeinato,
con l’idea di poter trovare la pace interiore. Ripenso a ciò che sono stato nel
1997 (fidanzato con una spagnola arrivata a Roma per l’Erasmus); nel 2004
(dottorando all’Università di Pisa fidanzato con una fiorentina doc); nel 2012
(ricercatore a tempo in zona Campania, senza fidanzata e, perciò, una mina
vagante, sempre pronto ad accogliere nel mio letto qualche giovane compagna che
avesse voglia di sperimentare l’innominabile); nel 2014 (professore in un’Università
spagnola, sposato, amante incallito e imperterrito della mia compagna d’avventure,
com’è possibile che abbia sempre più voglia di fare sesso con lei? Cos’è che ci
lega così tanto? Perché la libido non decresce, ma, anzi, sembra accrescersi
sempre di più?).
Scatta l’effetto nostalgia: m’imbatto in vecchie foto (ma la
cartella che le contiene s’intitola “Foto recenti”? Quanto è relativo l’aggettivo
se lo applichiamo alle foto che scattiamo nel corso di un’intera esistenza?
Quanto?), ci resto di sasso, soprattutto dinanzi a quelle scattate nel
mini-appartamento di Pisa, vivevo in una stanza di 10 metri quadri ricolma fino
all’inverosimile di libri, libri ovunque, per terra, sugli scaffali di una libreria
di terza mano sul bordo del collasso, sotto il letto, sopra la scrivania che si
piega sotto l’effetto del peso della cultura, libri letti e sottolineati ed
evidenziati all’inverosimile, commentati a penna, a matita, non c’è pagina che
abbia lasciato immune dalla mia foga critica o ammirativa, quanti elogi scritti
al lato delle frasi che mi sembravano più belle e riuscite e compatte…
All’epoca (stiamo parlando esattamente del febbraio del
2003) avevo l’immagine di Marcello Mastroianni come sfondo del desktop del mio “Acer”:
il Marcello che fuma e che veste di nero elegante in 8 ½ di Fellini; mi sono sempre identificato in questo personaggio
un po’ solitario (anche se è perennemente circordanto da colleghi e amici) e un
po’ dongiavanni (chi non sogna di diventare il Re di un harem pieno di belle
donne pronte a soddisfare ogni nostro più turpe desiderio? Chi non sogna di giocare
al dottore e all’infermiera con una belleza mediterranea e tutte curve come la
Sandra Milo di quel film?).
Nella foto s’intravede un’abat-jour di plastica rossa;
sicuramente comprata da un cinese (all’epoca si tendeva al risparmio, la borsa
ammontava a circa 800 euro al mese, se non erro, e dovevo pagarci l’affitto e
mangiarci e – quando e ove possibile – acquistarci i libri, tutti quei libri
che affogavano il mio spazio vitale, ma io ne godevo, non sono mai riuscito a
vivere senza essere circondato letteralmente dai libri).
E poi delle fotocopie, di sicuro erano articoli relativi all’argomento
della mia tesi di dottorato, quanti anni sono trascorsi da allora, quanti! Quasi
15, accidenti! Una vita fa…
Ascolto Franz Liszt, un pezzo famosissimo, La Campanella, una festa per l’udito, le
dita che stuzzicano il piano con un brio, una gioia, una carica emotiva che fa
venire voglia di sorridere al nulla.
Ciò che più colpisce di questa foto – ciò che Roland Barthes
definirebbe il “punctum” della foto – è che manca il soggetto principale, il proprietario
di tutti quei libri e delle fotocopie e del computer, manco io, perché nella
foto c’è solo il fantasma del mio “io” di un tempo, un “io” totalmente diverso
dall’ “io” che scrive ora, di notte, in una casa enorme del centro di una città
del Levante spagnolo (il Sud del Sud della Spagna e del Mondo), un “io” che non
riuscendo a dormire (a chiuedere letteralmente un occhio) si lascia accecare
dalla contemplazione estasiata di una quantità enorme di foto del passato, anche
se la cartella che le contiene si intitola “Foto recenti”, e uno si rende conto
di quanto strambo, relativo, assurdo sia l’uso di quell’aggettivo…
Buonanotte, Franz Liszt. E grazie per la musica.