miércoles, mayo 23, 2018

Philip Roth: he died



Questa notte ho sofferto d'insonnia "al contrario": mi capita spesso, di cadere come un sasso e, poi, al mattino, o meglio: all'alba, di aprire gli occhi in preda al panico, all'agitazione, all'irruenza del giorno incipiente che avanza (anche se il sole è ancora lontano e non è sorto).

In più, questa notte, l'anziana che dorme sopra di noi ha avuto degli attacchi di asma (e di tosse e di vomito) davvero spaventosi; sia io che la mia compagna d'avventure abbiamo pensato che sì, che era giunta la sua ora, che stanotte avrebbe tirato le cuoia...e invece no, alle 6 in punto continuava a lamentarsi, a gridare, a sospirare, come un'anima in pena che non sa (davvero) dove cadere morta...

E allora ho aperto il pc e ho visto le prime edizioni dei tg del mattino e sono venuto a sapere che Philip Roth è morto...

Mi si è gelato il sangue nelle vene: e mi è venuta quasi spontanea la voglia di piangere...come se Roth fosse un mio parente, o mio nonno, o mio padre...

E in parte lo è stato: se io oggi sono quello che sono, lo debbo, in parte, anche a lui e alla lettura dei suoi magnifici romanzi...

In particolare, se mi sono appassionato allo studio della letteratura e alla lettura onnivora e ondivaga, lo devo a uno dei suoi romanzi più scandalistici e famosi, ovvero, a Il lamento di Portnoy (o Portnoy's Complaint, nel titolo originale), uno dei libri più divertenti, esilaranti, comici di tutta la letteratura universale...(e provo a immaginare come dovettero reagire i lettori del 1969, in piena epoca di rivoluzione sessuale e di stravolgimenti ideologici...).

Non ho mai riso tanto, in vita mia, leggendo, prima di aver letto Il lamento di Portnoy, un libro in cui le parolacce, la descrizione del sesso, dell'angoscia di essere giovane, bianco, ebreo e americano, dei contrasti e delle lotte intime con i genitori raggiunge vette per me inimaginabili, prima di Roth...(e se mi concentro e provo a ricordare quand'è che ho riso leggendo un libro, posso citare solo altri tre casi eclatanti: il Don Quijote di Cervantes; The Life and Opinions of Sir Tristram Shandy di Sir Laurence Sterne e La paradoja del ave migratoria di Luis Goytisolo...quant'è difficile, dunque, far ridere, scrivendo letteratura di alta qualità).

E poi fu la volta de Il teatro di Sabbath (1995), un altro romanzo allucinante su un professore che ne inventa di tutti i colori pur di portarsi a letto le sue alunne più belle ed eroticamente invitanti...E poi uno dei suoi capolavori assoluti, Pastorale americana (1997) e La macchia umana (del 2000) e Everyman (2007), una prova di grandissima umanità, una sorta di testamento umano e letterario di uno scrittore che, attraverso il suo stile, ha cercato di illuminare i lati più subdoli, deboli, scivolosi dell'animo umano...uno che non avrei vergogna a porre alla stessa altezza di un Dostoevskij o di un Flaubert, di un Joyce o di un Tolstoj...

È morto, Philip Roth, e a me viene in mente (non so bene perché) una citazione dal finale di Heart of Darkness (di Joseph Conrad): "Mistah Kurtz: he dead".

Forse perché Roth - anche lui, come Conrad - ha avuto il coraggio di perlustrare (senza censure) il "cuore di tenebra" dell'uomo occidentale... Forse perché Roth - esattamente come gli altri grandi maestri che ho citato supra - ha avuto l'ardire d'indagare negli anfratti e, nel farlo, ha dimostrato anche la bravura dei grandi romanzieri, ovvero, di coloro che, nel narrare una storia, non solo sono in grado di farti sorridere, ridere e piangere, ma anche di farti pensare, riflettere, dubitare...su chi siamo veramente e su perché, a volte, ci comportiamo in un determinato (a volte, poco nobile) modo...

È morto, Philip Roth, ma per fortuna ci sono i suoi libri; c'è il suo stile; ci sono i suoi mitici personaggi farseschi e tragici e buffi (Zuckerman scatenato!). E ci sono i lettori di Roth che, ne sono certo, a partire da oggi continueranno a leggere le opere del loro idolo con ancora maggiore affetto e passione...

martes, mayo 15, 2018

E dopo Rennes...Oxford


Come se la vita fosse davvero un viaggio che non finisce mai (o sembra non avere mai fine). Sì, dopo la Francia, dopo Rennes, sarà la volta di Oxford, il mio primo, primissimo viaggio nel Regno Unito (UK, la sua sigla); il regno del MI5  e del MI6, di James Bond e del suo inventore, Ian Fleming, di Sherlock Holmes e del suo creatore, Conan Doyle, di James Joyce (anche se ne divenne subito esule - o meglio, s'impose l'auto-esilio, da bravo irlandese ribelle qual era a vent'anni) e di Oscar Wilde, di William Shakespeare (abbiamo già prenotato una stanza per passare almeno una notte a Stratford-Upon-Avon), di John Milton e di Sir Laurence Sterne, di Samuel Beckett e di Christopher Marlowe, del reverendo Jonathan Swift e di Roald Dahl, di Stanley Kubrick (anche se era americano) e di T.S. Eliot (anche se era americano). 

Il Regno Unito (o UK) ci ha regalato davvero tanto, in termini di letteratura. Inghilterra, Irlanda, Galles e Scozia e Gran Bretagna. Isole. Ma nessun'uomo è un'isola...come ci ricorda John Donne..."No man is an island entire of itself; every man is a piece of the continent, a part of the main" (così dice nella "Meditation XVII"). Ed ora che ci penso, anche Sir Thomas Browne era inglese, uno nato a Londra, un 19 d'Ottobre del 1605, e morto a Norwich, un 19 d'Ottobre del 1682, ovvero, a 77 anni, il giorno del suo (ultimo, davvero) compleanno...

Quanti inglesi importanti nella mia formazione di lettore; Shakespeare il "miglior drammaturgo" (forse di tutti i tempi e di tutte le letterature); Sir Thomas Browne il "miglior saggista" (un medico che scriveva di tutto, dalla religione alla filosofia, dalla scienza e le scoperte scientifiche del tempo all'astronomia); Joyce il "miglior romanziere" (con buona pace di Virginia Woolf, che, pure, si pentì di averlo stroncato e capì - ad una seconda lettura di Ulysses - che c'era del buono all'interno di quel libro scioccante, straniante, strambo); T.S. Eliot, probabilmente, il "miglior poeta" (come non ricordare The Waste Land? Come non ammirare i Four Quartets?)

Insomma, sebbene sia rimasto affascinato dalla letteratura francese e da Rennes e da Parigi, sebbene ami alla follia Proust e Flaubert e Hugo, sebbene riconosca la grandezza sconfinata di Dumas e l'originalità rabbiosa di Céline, nonostante l'immenso valore della poesia di Baudelaire, e la genialità di Georges Perec e l'umanità profondissima di Marguerite Duras e la profondità sconfinata della mente di Montaigne, non posso non sentirmi molto più fan della letteratura inglese che di quella di qualsiasi altra nazione (o latitudine)...fermo restando l'amore sconfinato che sento verso quella spagnola...

E sì: dopo Parigi e Rennes, a fine Giugno, si volerà verso Oxford, una città che gira attorno a una delle Università più famose e prestigiose del mondo; una città che - non so perché - mi sembra già di conoscere, anche se non vi ho mai messo un piede...

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...