jueves, junio 28, 2018

DIARIO DI OXFORD



20/6/2018

La vita è proprio un caos (di ricordi, di speranze, d'illusioni, di coincidenze strane... e di paure).

Sono a Oxford (9 Iffley Road, a circa 1 km dal centro e dai vari colleges di una delle Università più prestigiose e famose del Mondo) e io, invece di ripassare un po' l'intervento di domani mattina, mi preoccupo di L.G.G., lo scrittore di cui parlerò davanti alla solita giostra di professori arroganti, di giovani dottorandi superbi, di neodottorandi e neodottori pronti a correggere ogni mia minima virgola mal posta. 

L.G.G. ha quasi 87 anni e una nostra comune amica, di Venezia, mi ha scritto informandomi delle sue condizioni di salute: qualche settimana fa l'ha intravisto a Madrid, nei pressi del Museo del Prado, e non sembrava che se la passasse granché bene, le era parso alquanto malaticcio e un po' claudicante. L.G.G. Sì, proprio lui. Mi domando che senso abbia che ne rivendichi il valore letterario, la bellezza ipnotizzatrice del suo stile, la serietà e la grande portata morale della propria proposta narrativa in un ambiente accademico come è quello di Oxford...

L.G.G. non lo legge nessuno, o quasi, neppure in Spagna, figuriamoci qui...

La mia compagna d'avventure è di là che dorme e soffre d'un leggero attacco d'ansia (prima di entrare in casa è saltato l'allarme e subito dopo ci siamo imbattuti in un topo che gironzolava allegramente nel minuscolo giardino dell'appartamento, in mezzo a due grossi sacchi neri della spazzatura - ma quando passono a rititarla a Oxford? A che ora iniziano a lavorare qui i netturbini?) e io, come al solito, non ho sonno e allora leggo Il trattato sulla pittura del geniale e, purtroppo, spesso dimenticato Leon Battista Alberti, in una copia anastatica del 1913, con una prefazione (e la curatela) di Giovanni Papini (ma il trattato - come sanno bene gli storici dell'arte - risale niente di meno che al 1435, quando Cristoforo Colombo ancora non aveva scoperto il Nuovo Mondo e Erwin Panovsky doveva ancora scrivere La prospettiva come 'forma simbolica' - che è del 1927) in compagnia d'un bicchiere di vino Cune, un Rioja rosso tipicamente spagnolo (e dal sapore forte e intenso che può ricordare molto il nostro Montepulciano d'Abruzzo o il nostro Chianti). 

E ripenso all'ironia della sorte: Alberti (un italiano) letto accanto a un bicchiere di Cune (spagnolo) all'interno di un appartamento a piano terra (per non dire sotterraneo - cfr. topo di cui supra) della città di Oxford (che più britannica non si può).

Un mix di culture e di lingue, di sapori e di profumi, il simbolo perfetto della società liquida e multiculturale di oggi, un oggi fatto anche d'immagini strazianti (quelle dei bambini che Trump considera figli d'illegali che vanno respinti dai confini della sua amata America "great again" e quelle degli immigrati africani giunti al porto di Valencia sull'Acquarius...quando impareremo dagli errori del passato? Chi ha disegnato i confini delle acque del Mediterraneo? Cosa sarebbe successo se ai tempi di Omero qualcuno avesse fissato i paletti per dimostrare dove comincia un territorio "proprietà" di uno Stato o Regno e dove comincia l'altro?) e io, intanto, ripenso al problema di salute di L.G.G., uno dei miei scrittori favoriti, un anziano di 87 anni che, probabilmente, si prepara a morire, a lasciare questa Terra nel migliore e più dignitoso dei modi (uno che legge Marco Aurelio e trova ispirazione anche nelle Storie o negli Annali di Tacito) e mi ridomando che senso ha tutto questo, noi qui ad Oxford a parlare di Letteratura e di Arte, dei problemi dell'identità e dei rapporti sempre ambigui tra realtà e finzione e loro di là, negli USA o in Spagna, lungo tutte le coste africane e del Mediterraneo, in cerca di salvezza, gente che urla e che si dispera, gente che muore annegata, a che cosa serve l'Arte o la Letteratura quando nel Mondo di là, nel Mondo "reale" succedono cose così orribili...

E allora mi torna in mente Primo Levi e quel brano indimenticabile di Se questo è un uomo, quando l'autore si sforza di ricordare a memoria e correttamente tutti i versi del Canto XXVI dell'Inferno dantesco affinché il messaggio arrivi dritto e chiaro al suo interlocutore, un ragazzo che è sul punto di finire nelle camere a gas proprio come lui e Primo Levi ci prova a ripetere esattamente quei versi cruciali della Commedia di Dante: "Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza", ecco, è proprio così e speriamo che sia ancora così...

21/6/2018

Stamattina siamo andati al congresso alle 9:00 in punto. Ho fatto l'intervento dopo pranzo (qui si pranza attorno alle 12:oo, si cena attorno alle 18:00, massacrante davvero per chi viene dall'Italia, ancor peggio se si viene dalla Spagna...).

Tra il pubblico qualcuno ha sbadigliato, una mi ha guardato storto e un altro mi ha fatto la seguente domanda: "Dunque lo scrittore da lei studiato obbliga il lettore a compiere un notevole sforzo interpretativo, giusto?".

Usciamo dalla Facoltà per prendere un po' d'aria e c'infiliamo all'interno della Blackwell, in Broad Street, una delle librerie più grandi, belle e lussuose di tutta Oxford. 

Acquistiamo lei The Waves, uno dei romanzi più sperimentali di Virginia Woolf, io The Major Works di S. T. Coleridge, "including Biographia Literaria", che è il testo che più m'interessa leggere tra tutti quelli inclusi in questa bella edizione della (ovviamente) Oxford University Press.

Più tardi entriamo all'Ashmolean Museum, uno dei musei più grandi e belli che io abbia mai visitato (lo si può paragonare tranquillamente ai nostri Uffizi o al Prado di Madrid). L'ingresso è gratuito, o meglio, chi vuole può fare un'offerta di 5 pounds e infilare il denaro in una specie di salvadanaio trasparente.

È un metodo giusto ed equo e di gran successo: siamo tutti spinti a lasciare i 5 pounds con piacere, davanti a tanta bellezza, raccolta in un numero infinito di stanze, su 4 piani di opere d'arte che vanno dall'antico Egitto all'arte contemporanea.

Scopriamo che sulla terrazza del museo c'è un bellissimo risto-bar. Ci fermiamo a prendere un caffè seduti su una sdraio; in realtà, sono diverse sdraio messe in circolo su un rettangolo di prato all'inglese da dove si può prendere il sole (che, stranamente, ci assiste sin dal giorno del nostro arrivo) e da dove si può godere una delle viste più impressionanti del centro della città.

Sono a Oxford, contemplo il volto della mia compagna di avventure, sorseggio questo caffè, scrivo questo diario di bordo e ancora non ci credo... La grande bellezza vive anche in questo luogo magico, medievale e accademico che sembra vivere al di fuori del tempo...

2
2/6/2018


"The sun had long since in the lap
Of Thetis taken out his nap,
And like a lobster boyl'd, the morn
From black to red began to turn”
S. T. Coleridge, 'Table Talk' (23 June 1834)

Non so bene perché, ma questi versi, che trascrivo da una specie di diario di Coleridge, mi colpiscono e mi fanno venire in mente il passaggio lento e graduale della luce quando il sole lascia spazio alla luna: qui le giornate durano tantissimo, non tramonta mai prima delle 21:30 o anche delle 22:00. 
Inghilterra; Oxford; Coleridge; poesia e letteratura si respirano nell'aria.


lunes, junio 18, 2018

Mircea Cărtărescu: scrittore folle



Primo scrittore rumeno che leggo in vita mia, Mircea Cărtărescu è un folle che scrive come pochi in questo Pianeta; a metà tra un romanzo di Antonio Moresco e un film di David Lynch, Travesti è solo un esempio delle pazzie che sa fare con le parole e con l’immaginazione questo mostro (poeta, ancor prima che romanziere)…

Inizio a leggere il romanzo (che parte in seconda persona singolare) e mi accorgo subito della levatura stilistica ed etica di questo autore (a mo’ d’esempio, copio e incollo la p. 13):

“Ero assai più solo di quanto non lo sia ora, che sono molto solo. La mia professione, all’epoca, era la solitudine. La esercitavo per le vie gialle e polverose di Bucarest, nei vecchi quartieri, a me sconosciuti fino a quel momento. Passeggiavo tutto il giorno, recitando versi a voce alta, suscitando l’orrore dei passanti con miei occhi allucinati, con il mio volto pallido e asimmetrico, con le labbra screpolate e morsicate sotto un accenno di baffi. Cercavo case molto vecchie, gialle, con decorazioni stupide e solenni, o edifici bizzarri, sottili come una lama di rasoio, che proiettavano la loro ombra, quella di uno gnomone, su piazzette solitarie. Talvolta entravo in questi edifici misteriosi, percorrevo gli atri che sapevano di vecchio e di disinfettante, salivo le scale a spirale particolarmente strette, con piccoli pianerottoli qua e là dove, nella luce dorata di una finestra rotonda, si accartocciavano le foglie polverose di qualche ficus o di un oleandro dimenticato da tutti e quasi disseccato, salivo più su, fino alla mansarda, e bussavo a una qualche porta verde, che pareva essersi riempita nell’attesa di ragnatele. Inventavo qualcosa e scendevo giù, sbucavo di nuovo alla luce del sole omogenea e pacifica, percorrevo ancora strade striate da binari di tram, m’infognavo in zone sconosciute della città. Edifici rosa, edifici scarlatti, con balconi sostenuti da atlanti e gorgoni dalle tette di gesso ingiallite per l’umidità, statue coperte di verderame a cui nessuno presta più attenzione –io le abbracciavo nella mia solitudine, ne accarezzavo la guancia escoriata, le aiutavo a rinascere a una realtà più profonda, in un’aura metafisica e radiosa”.

Ci sembra di essere proprio lì con lui, in questo brano, in compagnia del poeta-scrittore (di colui che dice “io” e che sembra coincidere pienamente con l’autore in carne ed ossa) che passeggia in mezzo a quelle case semi-distrutte e orride di Bucarest; un anti-eroe contemporaneo che non trova nulla di meglio da fare che bearsi del suo stato di solitario perenne e che, con atteggiamento quasi masochista, gode della vista di questi orrori architettonici. Eppure, tutto ciò che vede, tutto ciò che i suoi occhi carezzano, o che le sue mani toccano, diventa “poesia”: l’autore possiede un senso del ritmo incredibile e una capacità di “creare” immagini che sembrano – appunto – caratteristiche più tipiche di un poeta che di un romanziere…

È un autore strambo e strano, questo Mircea Cărtărescu, perché nel suo viaggio surreale, nella sua personale discesa agli Inferi, sa rappresentare visualmente i conflitti del protagonista, un ragazzo che (negli anni 90) in gita scolastica viene approcciato da un amico che si traveste e che si fa chiamare Lulù (e chi è Victor, quel destinatario esplicito che chiama in causa sin dalla prima pagina? Il suo “io” da adolescente? L’adolescenza è sempre “ermafrodita”? È possibile tornare a vivere il proprio passato? Queste sono solo alcune delle questioni che solleva la trama di Travesti). 

A tratti Borges e a tratti Proust, l’autore va disegnando un paesaggio morale, politico e ideologico all’interno del quale al lettore è assegnato il (duro e arduo) compito di “co-autore”: la lettura è un processo d’interpretazione costante e, a volte anche estenuante, nel caso di Mircea Cărtărescu, ma quando si arriva alla pagina finale, quando si giunge in porto, dopo tante tempeste e maremoti, dopo tante visioni stralunate e da incubo, si sente, si avverte, si capisce, che ne è valsa davvero la pena…(oltre ai due autori citati, ricorda molto anche Kafka, come se si trattasse di un Kafka che allungasse all'infinito le trame dei suoi racconti brevi...).

E dopo Travesti, sono certo che m’immergerò nelle altre sue due imprese folli: Abbacinante (romanzo-universo scritto in 3 parti tra il 1996 e il 2007 – e che già solo dalla struttura mi ricorda quell’enorme follia di Antonio Moresco che va sotto il nome di L’increato) e Solenoid (del 2015), già tradotto in spagnolo e in attesa di traduzione in italiano…

E parlando di traduzione: complimenti, intanto, a Bruno Mazzoni, perché trasportare nella nostra lingua uno scrittore del genere deve essere davvero una grande sfida (e, in tal caso, la sfida è vinta perché il traduttore riesce a darci l’idea della fluidità e della complessità, delle mille sfaccettature e musicalità della scrittura dell’autore).

Ne riparleremo certamente su questi schermi…

viernes, junio 15, 2018

Prima del viaggio in Inghilterra


Mandi il racconto alla "diretta interessata", ovvero, a colei che ti ha ispirato il personaggio femminile protagonista del tuo ultimo racconto lungo (dopo quello breve e "horror" che ha fatto venire gli incubi a un tuo collega fisico quantistico - o quantico) e ti soprendi, accipicchia, ti fa effetto ricevere un suo messaggio vocale pieno di tenerezza e di gratitudine (parola ormai in disuso e quasi sconosciuta ai più, in questo primo ventennio del XXI sec.). Ti sorprendi e quasi arrossisci, quando ti dice (a distanza di molti chilometri) che sei stato davvero bravo, che la suspense non decade mai (nell'arco delle 25 pagine che dura il racconto) e che il ritratto è così fedele che ti confessa che lei non potrà mai farlo leggere a nessuno della sua cerchia, si riconosce subito che dietro quel nome fittizio c'è lei, con tutti i suoi difetti e i suoi tics e le sue manie e i suoi tipici modi di dire...

Poi arrossisci pure quando Ana, una delle socie che più frequenta il tuo "club di lettura", ti dice che vuol farsi una foto con te: Ana, una donna tutta d'un pezzo, 78 anni e non sentirli; pittrice, scrittrice, poeta, amante della montagna, ex-escursionista e lettrice vorace (ti chiede il favore di proporre la lettura di un romanzo storico, la prossima volta, al prossimo appuntamento: lei li adora i romanzi ambientati nel passato e ben documentati dal punto di vista storico).

E poi ti sorprendi quando un amico, poeta pubblicato (nel senso che è davvero riuscito a pubblicare le sue opere, con case editrici importanti, almeno qui in Spagna), ti confessa che ha smesso di pubblicare i suoi pensieri nel suo blog, "se non scrivi tutti i giorni li perdi", dice, riferendosi evidentemente ai lettori, e tu ci pensi e ci rifletti e concludi che non è vero o, almeno, che a te non interessa affatto "perdere" lettori se non aggiorni costantemente il tuo blog, che lì scrivi per perdere tempo e per diverimento, o per mettere nero su bianco le tue paturnie, una forma di sfogo, un modo per risparmiare i soldi dello psicologo (o dello psichiatra, dipende).

E infine ti butti nella lettura di Nessuna passione spenta (1996), del grandissimo George Steiner, uno dei tuoi critici letterari favoriti, uno la cui scrittura ti affascina, proprio come il primo capitolo del libro, dedicato all'analisi dettagliata dell'immagine che funge da copertina del lirbo, quel "Le philosophe lisant" di Chardin (del 1734) che ti cattura subito e ti spinge subito a immaginare come doveva essere silenziosa quella stanza in cui, appunto, si vede "il filosofo che legge"...con quello strano cappello con la punta che svetta all'insù e quella specie di pelliccia sulle spalle e quel tomo rilegato che parla di chissà cosa...

Sì, sono queste le cose che pensi, immagini, vivi e ricordi prima di preparare la valigia per il tuo primo (primissimo) viaggio in Inghilterra (prima Londra, poi Oxford, infine un salto a Stratford-Upon-Avon)...


miércoles, junio 06, 2018

Tornare a scrivere (finzioni)



E così, dopo anni, sono tornato a scrivere "finzioni", racconti di fiction, novelle brevi in cui si mescolano costantemente i dati della realtà e quelli (a volte davvero bizzarri) dell'immaginazione...

Era davvero da tantissimo tempo che non sentivo questa voglia di buttare giù "sceneggiature" per racconti potenziali che, poi, diventano "reali", pezzi stampati, pagine dove è tutto predisposto nero su bianco, a partire dal programma Word (mai nome fu più azzeccato per un programma informatico di scrittura).

E il bello è che questo bisogno (questo desiderio impellente) di scrivere mi è venuto proprio in questi giorni folli di scrittura "accademica" e pensosa, di riflessioni sulla "meta-letteratura" (a partire da uno scrittore vivo molto complicato e affascinante) da esporre ad Oxford, tra poco più d'una settimana (si parte il 19, si riatterra in suolo ispanico il 24, dopo una toccata e fuga a Stratford-Upon-Avon, la città natale del Bardo...).

E il bello è che uno di questi tre racconti che ho scritto in questi giorni in preda alla febbre creativa (per darle un nome, anche se indeciso e poco preciso) l'ho fatto leggere a un amico, un fisico quantico (o quantistico?), uno che mi ha confessato che vorrebbe scrivere un trattatello per refutare (nientedimenoche) Carlo Rovelli, quello che ha avuto tanto successo sia per Sette brevi lezioni di fisica sia per L'ordine del tempo (entrambi usciti per Adelphi, il primo nel 2014, l'altro nel 2017; il primo non l'ho letto; il secondo, invece, sì e mi ha letteralmente aperto la mente).

E insomma, questo mio amico fisico esperto di fisica quantistica (ha da poco pubblicato un saggio sulla "Meta-matematica", ovvero, sulla logica della matematica) mi ha confermato che il racconto fa davvero paura, anzi, mi ha mandato un messaggio per dirmi che se avrà gli incubi mi fischieranno le orecchie (sarà lui che mi manda le sue maledizioni).

E uno pensa a quant'è facile che, al posto di questo racconto del terrore (nato da una storia vera, o meglio, da fatti realmente accaduti), avrebbe potuto esserci il nulla (o nulla); a quant'è gratuita la scrittura creativa, nel senso che chi vi si dedica, chi la coltiva, lo fa, in generale, gratuitamente, in cambio di nulla, in cambio solo, forse, di un minimo d'attenzione (che qualcuno ti legga, che qualcun'altro ti confessi che si è divertito - o ha avuto una fifa tremenda - nel leggerti) o poco più...

La gratuità dell'arte: che c'è perché a qualcuno è venuto in mente di creare, di aggiungere un testo, parole o immagini, a ciò che già c'è (quante parole e quante immagini ci sono già, nella realtà che ci circonda!). Eppure...eppure...uno sente il bisogno, all'improvviso, di prendere tutte queste parole e tutte queste immagini per modificarle, per zittirle, o meglio, per obbligarle a dire cose che non hanno mai detto prima o, meglio ancora, per spingerle a stare dentro una nuova configurazione di senso (e di significati), all'interno di un racconto che narri la vita, così com'è o così come appare a colui che si prende la briga di smettere di scrivere per fare un'intervento accademico (ad Oxford, ad esempio) e decide, invece, di rovinarsi la vista per scrivere di mostri e fantasmi, di spettri e di zombi, così, per il puro gusto di farlo, per la gioia di "dare vita" a qualcosa che prima non c'era e ora c'è e chi la legge, questa cosa, pensa: "Caspita, è davvero ben scritto! Accidenti, fa davvero paura! Se stanotte non riuscirò a dormire, sappi che ti maledirò, e se ti fischieranno le orecchie, sappi che saranno le mie maledizioni!"...

P.S.: solo oggi ci faccio caso; fateci caso, il numero della collezione adelphiana in cui appare Sette brevi lezioni di fisica è 666, che, com'è noto, coincide con il numero del Demonio; 7, invece, appare nel titolo stesso del saggio (un numero biblico per eccellenza); che Rovelli si sia messo d'accordo con Adelphi per dare vita a chissà quale strana cabala? (Ovviamente, scherziamo: e sappiamo che Rovelli è una persona dotata di ironia e, soprattutto, di autoironia, il che non guasta mai, diciamocela tutta, sia che nella vita si faccia l'idraulico sia che si faccia il fisico quantico - o quantistico).

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...