viernes, diciembre 29, 2023

Fine (d'anno) 2023 




E come ogni fine d'anno, è tempo di bilanci. La nebbia ha lasciato i monti e le valli del luogo da cui scrivo. Le valigie sono fatte e chiuse, pronte per l'imbarco (alle 21:15 da Roma Fiumicino). Gli ultimi due regali ricevuti da parte di una cara dottoranda mi osservano dalla scrivania da cui provo a scrivere: si tratta di una pagina strappata dell'edizione tascabile di Francisco Rico del Don Quijote di Cervantes con l'autografo del "chisciottesco" Terry Gilliam (accanto alla firma il disegno di una matita in perfetto stile Walt Disney); l'ultimo romanzo di Emiliano Morreale (che non conosco e di cui non ho mai letto nulla), L'ultima innocenza (Palermo, Sellerio, 2023).

Sono due regali che non mi aspettavo: la dottoranda è riuscita ad entrare in contatto con Terry Gilliam durante la sua partecipazione al Giffoni Film Festival, se non erro. Il libro di Morreale, invece, parla di cinema, il secondo polo attorno a cui ruota la tesi della dottoranda ("L'amicizia tra Don Chisciotte e Sancio Panza tra letteratura e cinema").

Anche solo questi regali mi spingono a pensare che sono un uomo fortunato. Se ripenso al 2023, non possono non continuare a considerarmi tale. Viaggi per studio e lavoro tra Messico, Calabria, Valladolid, e poi Trieste. Voli nazionali ed internazionali in compagnia di persone splendide. Collaborazioni con scrittori, giornalisti e registi che non avrei mai potuto immaginare, prima del salto (nel vuoto) in Spagna. E poi gli alti e bassi del cuore: la mia compagna di avventure che a volte diventano sventure che (mal) mi sopporta; due bimbe che crescono; un libro ancora (tutto) da scrivere su fotografia e romanzo (o su parole e immagini); la morte di Nuccio Ordine; la separazione di una cara amica e collega, esperta di poesia del Novecento; gli acciacchi di una nonna ultranovantenne; l'amicizia nata da poco con Luis Goytisolo; l'amicizia consolidata con Manuel; la voglia di continuare a fare il proprio dovere (e il proprio lavoro) con passione ed entusiasmo.

Sulla copertina de L'ultima innocenza c'è un fotogramma de La Magnifica Ossessione (1954) di Douglas Sirk. Si vede Rock Hudson inginocchiato mentre stringe forte a sè Jane Wyman. La testa di lui poggia sul seno di lei. Lui ha gli occhi chiusi, come fosse in preda all'estasi, lei guarda verso l'alto, gli occhi sbarrati, quasi spiritati, le labbra carnose con il rossetto rosso che accentuano la voluttà di una bocca che potrebbe baciare e essere baciata con trasporto erotico. La mano di lei affonda tra i capelli di lui. 

Lo spettatore si chiede cosa sarà successo prima e cosa potrebbe accadere dopo questa fetta temporale incapsulata in questa inquadratura che funge (qui funge effettivamente) da fotografia. Avranno già fatto l'amore o sono sul punto di farlo? Si ameranno per sempre o sono sul punto di lasciarsi? 

Vorrei chiudere questo 2023 con la visione di questo film che vidi tanti, troppi anni fa e di cui non ricordo nulla (o quasi). Vorrei poter vivere nel 2024 una scena simile a questa... La testa sul seno di una donna che guarda verso il cielo, forse spaventata o forse vittima di Eros. Chiudo gli occhi. Le stringo forte le braccia. Annuso il suo sapore. Affondo ancora di più la testa tra i seni. Lei continua ad accarezzarmi la testa. E mi spinge sempre di più verso di sè...Magnifica ossessione.

jueves, diciembre 28, 2023

Diario di Trieste

17 dicembre 2023

Dopo una notte quasi insonne trascorsa in una stanza di un albergo a 10 minuti a piedi dall'aeroporto di Valencia e la sveglia alle 4:00 del mattino per prendere il volo diretto a Roma Fiumicino delle ore 5:45, io e la mia compagna di avventure e di viaggi ci ritroviamo per la prima volta a Trieste, città che ci accoglie con una temperatura di 8 gradi e un vento notevole (ma non è la famosa bora). Il treno che ci porta in centro arriva con 10 minuti di ritardo: sono le 8:45 e penso che non mi manca Trenitalia (né l'esperienza di viaggiare in treno). Poi mi rimangio le mie parole nel vedere il paesaggio esterno dal finestrino: il Castello di Miramare è un gioiello architettonico di fine Ottocentro e primi del Novecento che luccica in mezzo alle onde del Mar Adriatico. Trieste colpisce subito lo spettatore: sembra di essere in alta montagna e, invece, siamo costantemente accompagnati dalla visione del mare, dalla brezza marina, dai moli del suo porto elegante.

Piazza Unità d'Italia è addobbata per le feste natalizie in modo impeccabile: chi si trovi a passeggiarvi alla sera avrà la sensazione di ritrovarsi in Austria o in Germania. D'altronde, la Slovenia è a pochi chilometri da qui. Ci vuole poco ad attraversare il confine e ritrovarsi in un altro paese.

Chiamiamo la padrona di casa e non ci risponde. Forse i telefonini non prendono o ancora non funzionano. Quando arriviamo in Via Cereria 18 e paghiamo il taxi, alle spalle, da dietro, spunta una signora dai capelli bianchi lunghi e lo sguardo stanco, il volto pieno di rughe, ed esclama: "Ma siete voi?". La mia compagna di avventure si gira di scatto, spaventata. "Vi ho scritto tramite Booking e non avete risposto. È un miracolo che io sia qui alle 10:00 del mattino. Dovete comunque aspettare che vadano via gli altri ospiti. Prima delle 12:00 è impossibile prendere possesso della casa". 

Ci scusiamo per il disguido o il qui pro quo. La signora si presenta: "Katerine Hans" o "Helmut" o "Heiddegger". Sembra tedesca, ma potrebbe essere anche austriaca o slovena. Se si getta uno sguardo sui cognomi dei campanelli ci si rende subito conto di come il Friuli-Venezia-Giulia sia una delle regioni più cosmopolite e multietniche d'Italia.

Le stanze sono ancora da fare; il bagno è pulito nonostante un certo disordine; le padelle sono degli anni 60; le finestre altissime e con le zanzariere incorporate; Katerine ci prega di ricordare di chiudere sempre le imposte perché se soffia la bora si rompe tutto; poi aggiunge le due bimbe che non erano incluse nella prenotazione manualmente, su un'agenda della Seconda Guerra Mondiale. Si lamenta di Booking e dell'imprevisto. Ci redarguisce perché non abbiamo comunicato l'ora di arrivo. La mia compagna si scusa e le mostra il messaggio che le aveva già inviato dall'aeroporto. Sembra che parliamo due lingue diverse. Il suo italiano dal forte accento triestino sembra provenire da un altro pianeta. Sulle scale si fa avanti un indiano dai capelli grigi foltissimi, ha un ciuffo alla Elvis Presley. Katrine ci presenta suo genero. Gli stringiamo la mano, ci sorride con molto affetto, ci augura una buona permanenza e poi sale le scale verso i piani superiori. 

Penso che questo appartamento potrebbe essere il set ideale per girare la seconda parte di Rosemary's Baby di Roman Polanski; o per commettere una strage in famiglia; o per evocare gli spiriti del passato. Poi restiamo soli e le bimbe si sfogano, giocano a carte, smontano un paio di puzzle che scovano all'interno di un armadio scalcagnato. Poi andiamo in esplorazione. 

18 dicembre 2023

L'Università di Trieste si trova in un quartiere centrale ma che sembra una succursale del porto. Navate industriali dai tetti altissimi; casermoni antiquati; bar e locali abbandonati; la sede di Lettere è modernissima e le aule dotate di schermi e proiettori e computer di ultima generazione, ma fuori l'ambiente è quello di un polo industriale caduto in disgrazia (il muschio cresce indisturbato lungo le pareti più in ombra o quelle su cui il sole non posa mai i suoi raggi). La collega argentina che ci ha invitati qui è simpatica e solare, anche se si nota che il suo sorriso nasconde amarezza e malinconia. Come tutti gli argentini degni di questo nome, sente la mancanza della patria e ha vissuto già 3 o 4 vite in diverse città del mondo. Ha una casa a Genova, ma si è trasferita a Trieste da 5 anni. Ama il suo lavoro e i suoi studenti, anche se ormai sembra stanca di stare dietro a tante tesi e tesine. Come tutti, si lamenta del clientelismo e del nepotismo tipici del mondo accademico (anche) italiano e del fatto che entro il 22 deve mandare un modulo per un progetto di ricerca internazionale che coinvolge alcune Università di Buenos Aires, una francese, una spagnola e ovviamente la sua di Trieste. Ci consiglia cosa vedere in città. Poi va via, deve andare in palestra, ha pagato il mese di dicembre ma non è ancora mai apparsa. Il fisico ne risente e perché spendere se poi non ci vai?

Mentre la mia compagna di avventure fa lezione, io resto con le bimbe in una stanza adibita ad hoc per i figli piccoli dei dipendenti dell'Università: mobilio colorato ad altezza di quattrenne, fogli bianchi e pastelli per colorare, giochi e pupazzi, mi sembra di essere all'asilo. Vado in bagno un paio di volte: un segretario o amministrativo mi sente, si alza, viene a bussarmi alla porta e mi fa: "Lei sta usando il bagno dei disabili. Quello dei maschi è due porte dopo, lungo quel corrodoio". 

Chiedo umilmente scusa e noto la tendenza innata degli italiani del Nord a rispettare le regole e a farle rispettare (tutti gli autobus che abbiamo preso sono arrivati puntualissimi alla fermata prevista). Nel pomeriggio facciamo la spesa alla COOP: mi inebrio nel comprare i prodotti tipici che non trovo così facilmente in Spagna: provolone, mozzarella di bufala, piadine, mortadella, parmiggiano reggiano, pasta, ovviamente pasta, molta pasta, anche se spesso mangeremo fuori e non nella casa degli orrori di Katrine...

Le bimbe decidono che di notte hanno paura e così io e la madre siamo condannati a dormire in due letti separati. È assurdo come i figli riescano a smorzare o a modificare o addirittura a spegnere la libido dei genitori... Non ci sono santi. Accettiamo la realtà. Si fa quel che si può. Intanto, abbiamo fissato la prossima tappa: a Duino.

19 dicembre 2023

Duino: poco più di 8 mila anime, ma quando arriviamo noi, col bus, verso le 15:00, non c'è nessuna di esse in giro. Duino è immersa nella nebbia. Fa freddo e il castello di Rilke è chiuso. Seguiamo le indicazioni del "Sentiero di Rilke". È un tratto di sentiero incantevole, in mezzo alla natura selvaggia della costa triestina, il mare appare in tutto il suo splendore quando il sole riesce a scacciare la nebbia fitta e tutto assume un sapore nuovo, come di scoperta del Nuovo Mondo... Intravedo il profilo del castello sulla destra; si scorge parte del Golfo di Trieste sulla sinistra. Camminando tra i sassi e in mezzo agli alberi, uno immagina a quanto potesse trarre ispirazione da questo paesaggio un poeta come Rainer Maria Rilke. Mi vengono in mente alcuni versi della Prima delle Elegie di Duino, versi strani di cui cerco anche la traduzione in inglese, in spagnolo, in francese, per il mero piacere di "sentire" come "suonano" (che musicalità producono) in un'altra lingua:


Strano non più desiderare i desideri.
Strano vedere sbattere sfuso nell’aria tutto
ciò che aveva un legame.

Extraño, ya no seguir deseando los deseos.
Extraño, ver todo lo que tenía sus propias relaciones,
aletear tan suelto en el espacio
Strange: not to go on wishing one’s wishes.
Strange to see all that was once in place,
floating so loosely in space.
Étrange, de ne plus avancer dans le souhait de souhaiter.
Étrange de voir ce qui était lié voleter
sans attache dans l’espace.
Seltsam, die Wünsche nicht weiterzuwünschen.
Seltsam, alles, was sich bezog, so lose im Raume flattern zu sehen.

Poi penso alla data di pubblicazione delle famose Elegie: il 1923, un anno dopo l'apparizione di The Waste Land e dell'Ulisse di Joyce. Che anni intensi dovettero essere gli anni 20 del secolo scorso! Camminiamo. Un padre e una figlia si tengono per mano tra alberi e cespugli e roccia e riflessi del sole sul Mar Adriatico. Un padre e una figlia. La propagazione della specie. Le generazioni che si tengono per mano fino a quando i vecchi non muoiono e i giovani li sostituiscono, prima di mettere al mondo altri figli e di diventare loro stessi vecchi pronti ad accettare il destino (la morte sempre in agguato, dietro l'angolo).

20 dicembre del 2023

Giornata intensa: dopo 2 ore di lezione prendiamo il bus verso la Grotta Gigante. Si tratta di una delle più grandi d'Italia, 500 scalini a scendere, 500 a salire, 100 metri di profondità, 11 gradi centigradi costanti tutto l'anno. Mi hanno sempre affascinato le grotte, le caverne, i cunicoli, i sotterranei, i passaggi segreti. A metà tra Rambo e The Goonies, m'inoltro nelle viscere della terra (e del Carso) con gli occhi spalancati di un bambino che ha paura del buio e dei pipistrelli.

La guida, un geologo che ha fatto lavori di restauro e manutenzione all'interno della grotta, ci spiega tutto con tono ameno e appassionato. Ho sempre una grande ammirazione verso chi fa il proprio lavoro con passione e dedizione. Il geologo ci mostra una strumentazione particolare che permette di monitorare i terremoti della zona e all'interno della grotta. In realtà, la Terra non smette mai di muoversi, le placche viaggiano, l'Africa spinge verso l'Italia, le Alpi spingono verso il Settentrione. Chissà cosa succederà di qui a 100 anni.

Chissà quante altre stalattiti o stalagmiti si formeranno (o si romperanno) qui dentro. Una goccia d'acqua mi colpisce in piena fronte: "Vedete quel principio di piantina? È grazie alla luce dei riflettori che consentono di avviare il processo della fotosintesi anche in assenza dei raggi del Sole. Muschio e licheni: sono i primi esempi di esseri viventi a 100 metri sotto terra".

Pranziamo in un ristorante di lusso costruito in mezzo al nulla carsico. È tutto di prima qualità: perfino le verdure sanno di verdure; le tagliatelle ai funghi porcini sono eccelse; gli spaghetti al ragù di manzo con zucca sono orgasmici; il pane (caldo) è appena uscito da un forno a legna che non scorgiamo ma da cui emana un profumo antico che inebria. Il conto è salato, come prevedibile, ma ne è valsa la pena e la padrona di casa ha giocato e scherzato con le bimbe con simpatia non affettata e sincera. L'albero di Natale ci ricorda che tra pochi giorni saremo a casa nei monti abruzzesi in cui sono nato.

Nel pomeriggio, dopo una passeggiata tra i mercatini natalizi, ci trasferiamo all'Antico Caffé San Marco, in Via Battisti, 18. Un dépliant sul "compleanno" di Italo Svevo mi ha avvisato di uno dei tanti eventi organizzati dal Comune e dalla Regione attorno al centenario de La coscienza di Zeno. Ecco un'altra opera d'arte sorta nel 1923, come le Elegie di Duino di Rilke: in realtà, è da quando siamo arrivati a Trieste che ci s'imbatte in monumenti, musei, strade che ricordano l'importanza di Svevo nella memoria storica e culturale della città. Ed insieme a lui, ovviamente, l'importanza dell'impronta di James Joyce, amico e professore di lezioni private d'inglese di Ettore Schmitz. Svevo-Joyce; Joyce-Svevo (vicino a Via Tigor c'è perfino un museo dedicato ad entrambi). Un binomio perfetto e, allora, come non obbligare tutti ad andare alla presentazione del saggio: La vita dell'altro. Svevo, Joyce: un'amicizia geniale (Milano, Bompiani, 2023) di Enrico Terrinoni?

Conobbi Terrinoni un paio di anni fa, quando Nuccio Ordine scrisse una bellissima recensione al suo Oltre abita il silenzio: tradurre la letteratura (Milano, il Saggiatore, 2021) sul Corriere della Sera. Comprai e lessi il saggio in due giorni, con foga, con impeto, con urgenza. E quando lo finii, lo comunicai a Nuccio, glielo dissi per messaggio sul cellulare: mi era sembrato davvero un ottimo studio sui misteri del tradurre e, in particolare, del tradurre opere letterarie. I capitoli dedicati a Joyce erano sorprendenti. Non sapevo che Terrinoni fosse stato tra i pochissimi a tentare anche una traduzione (parziale) dell'intraducibile Finnegans Wake.

Appena entra in libreria glielo dico, mi presento, superando la mia cronica timidezza, e gli spiego che fu grazie a Nuccio Ordine se arrivai a scoprirlo. Enrico Terrinoni mi guarda sorpreso, dal "lei" passa subito al "tu" e mi dice: "Se sei amico di Nuccio, sei amico mio". Ci abbracciamo. È incredibile vedere come Nuccio riesca a creare ponti tra le persone e tra i saperi anche ora che non c'è più. Compro il libro (o doppia biografia) su Svevo e Joyce. Ci sediamo in prima fila. E sfogliandolo, mi accorgo della dedica: "Dedicato a Nuccio Ordine". Tutto torna. Tutto si tiene. La casualità non esiste. Le coincidenze non esistono. Trattengo le lacrime e mi appresto ad ascoltare la presentazione del saggio in mezzo ad un pubblico accorso in questo caffè antico di Trieste per celebrare la strana coppia Svevo-Joyce: l'uno fumatore incallito; l'altro alcolizzato cronico; entrambi accomunati dall'avere letto per primi Freud e dal criticare la psicologia ognuno dal suo particolare punto di vista ironico e parodico. Entrambi esploratori degli abissi e dei meandri più oscuri della mente umana. Entrambi condannati a scrivere di se stessi anche quando sembrano inventare personaggi che nulla hanno a che vedere con la loro biografia. Entrambi geniali e chiamati a "smontare" la forma-romanzo così come la si era intesa fino a quegli anni...

21 dicembre 2023

Sveglia all'alba. Si va oltre confine. Andiamo a vedere la Slovenia a partire dalla sua capitale. Ljubljana ci accoglie con una nebbia fittissima e un freddo polare. Fanno 2 gradi quando optiamo col prendere la funicolare e salire verso il castello della città. Da lassù si dovrebbe vedere tutto, ma la nebbia ci obbliga ad andare a tentoni. Incredibile constatare come in assenza del codice linguistico le immagini ne fanno le veci e ci aiutano a capire cosa indicano certi cartelli. La parola "cona", ad esempio, su un cartello blu su sfondo bianco: una mamma passeggia con il figlio piccolo. Deduco che significhi proprio quello che indica la figura iconica: "zona pedonale". "Sobota" è facile: vuol dire "sabato". In un altro cartello c'è il "divieto di fumare". Mercatini natalizi anche qui. Provo a comunicare in italiano, ma nessuno mi risponde: qui tutti parlano inglese con fluidità, solo in un ristorante tipico c'è una cameriera che sembra capirmi e mi risponde nella lingua di Dante.

A me l'architettura del luogo evoca subito Varsavia. O Lublin. Le due uniche città polacche in cui sia stato per studio. Il freddo è più mite di quello polacco. Lì a novembre si toccavano i 7 gradi sotto zero. Qui ancora si riesce a tirare fuori il cellulare per scattare un po' di foto ricordo.

Mangiamo prodotti tipici: dei wrustel colorati con crauti, patate ottime, al forno o sotto forma purè; zuppe di verdura o di carne anch'esse ottime e che ci riscaldano subito e ci proteggono contro il freddo esterno.

Chiedo alla mia compagna di avventure di farmi una foto mentre fingo di andare a zonzo con un motorino Ciao. Ho una sciarpa enorme che mi tappa il viso e in testa un cappello di lana assurdo. Nel viaggio di ritorno a Trieste, dal bus, osservo stradine secondarie di case costruite nella zona più periferica dentro la cui oscurità immagino serial-killers in azione; la nebbia mi ispira trame da film dell'orrore e da romanzo gotico. È inutile: sono metereopatico. Ed è una fonte di allegria tornare a vedere la piazza della stazione di Trieste senza la nebbia. Domani torneremo a Roma, che, letta al contraria, indica Amor, l'Amore secondo la lingua di Cervantes...

Penso a Via Bora, una delle più emblematiche della città; immagino Svevo che cammina insieme a Joyce lunga Via Bora, diretti entrambi a qualche trattoria o ristorante tipico della loro Trieste. Penso a quanto cambi l'architettura di una città se le sue strade sono stravolte dal vento che soffia potente o dalla presenza del mare. Mi fermo all'altezza di Piazza Unità d'Italia per fare le ultime foto notturne prima di tornare nell'appartamento signorile e tetro di Katrine. La notte è fredda. Ma il futuro si profila sotto il segno della riunione con i propri cari. Una vita in viaggio.

domingo, diciembre 10, 2023

 La lista (dei compiti) [per casa e fuori casa]


Domani, lunedì 11 dicembre: 

1 - oltre alle lezioni "normali", una videoconferenza (o videolezione) con un gruppo di studenti dell'Università di Torino (dalle 14:00 alle 16:00) + 
2 - un'intervista con un giornalista in pensione che vorrebbe scrivere una biografia su Javier Marías (dalle 19:00 alle 20:00).

Martedì 12 dicembre:

1 - oltre alle lezioni "normali" (dalle 11:30 alle 13:30)
2 - lezioni "online" (dalle 16:30 alle 18:00) + 
3 - lezione sul Quijote presso la Biblioteca Regionale (dalle 18:30 alle 20:00).

Mercoledì 13 dicembre:

1 - oltre alle lezioni "normali" (di nuovo, dalle 11:30 alle 13:30) con intervento di una scrittrice amica molto famosa da queste parti + 
2 - premiazione delle migliori firme di un giornale con cui collaboro (di tanto in tanto) (dalle 20:30 in poi...).

Giovedì 14 dicembre:

1 - riunione importante con i dottorandi in mattinata;
2 - presentazione dell' "opera prima" di un regista amico molto famoso da queste parti presso la FILMOTECA (dalle 20:00 in poi).

Venerdì 15 dicembre:

1 - riunione importante per un progetto Erasmus;
2 - ultima lezione sul Quijote presso la Biblioteca Regionale (dalle 18:00 alle 19:30).

Sabato 16 dicembre:

1 - viaggio a Valencia, prima di ripartire per l'Italia (destinazione Trieste). 

Domenica 17 dicembre:

Trieste...

A volte penso di non farcela; a volte mi lamento del mio lavoro; altre volte penso che sono un uomo fortunato, a fare un lavoro che è, prima di tutto, passione...

miércoles, diciembre 06, 2023

 Brian De Palma, Michelangelo Antonioni, Alfred Hitchcock e il cinema come macchina che cattura l'invisibile



Probabilmente, sin dalle sue origini, il cinema è stato concepito come una macchina in grado di percepire ciò che ci sfugge (o ciò che sfugge all'occhio umano). Come si muove una locomotiva vista dall'esterno? Come si muove un corpo umano quando cammina o quando corre o salta? Chi può percepire il proprio corpo dal di fuori? Chi potrebbe mai osservare le proprie espressioni facciali dall'esterno? Solo il cinema può (o la fotografia, prima che i fratelli Lumière inventassero la settima arte; con una differenza sostanziale: l'invenzione di Daguerre fissa per sempre su un supporto tangile una "fetta di tempo"; quella dei fratelli Lumière mette in moto 24 fotografie - o fotogrammi - al secondo per trasmettere all'occhio umano la sensazione o l'illusione del movimento - e lo fa in eterno, o fino a quando ci sarà uno spettatore disposto a vedere il film in cui questi 24 fotogrammi al secondo mettono in moto l'azione e consentono anche ciò che André Bazin chiamò "la resurrezione del morto").

Ed è quindi, per certi versi, anche normale, o quasi naturale, che moltissimi film si concentrino sulla capacità innata del cinema di mostrarci "a scala ingrandita" ciò che non vediamo, di permetterci di mettere a fuoco (letteralmente) ciò che appare sbiadito, fuori quadro, sgranato o in ombra.

Pensiamo a Blow up (1964) di Michelangelo Antonioni, riscrittura libera del racconto di Julio Cortázar intitolato Las babas del diablo; o pensiamo a The Rear Window (1954) di Alfred Hitchcok, tradotto in italiano come La finestra sul cortile.

In entrambi i casi il tema fondamentale delle due trame è proprio la vista e come lo sguardo umano può svelare ciò che si cela dietro le apparenze. Al protagonista del film di Antonioni basta sviluppare in formato gigante una fotografia all'apparenza banale, applicare uno "zoom" esagerato ed osservare la scena con una lente d'ingrandimento, per scoprire che, dietro un'apparente e semplice passeggiata di due amanti si cela un delitto misterioso... 

Nel caso del protagonista del film di Hitchcock, fotografo di professione, è l'obbligo di stare a riposo con una gamba ingessata a scatenare la pulsione "scopica", il desiderio alquanto morboso di diventare spia dei suoi vicini di casa (un voyeur con la macchina fotografica al seguito, potremmo dire in modo sintetico).

Entrambi i personaggi svelano una verità "scomoda" utilizzando il mezzo visivo: l'obiettivo di una macchina fotografica che, nel primo caso, diventa uno strumento cognitivo essenziale, nel secondo addirittura un'arma (con cui difendersi dal serial-killer di turno che ha scoperto l'atto di spionaggio del fotoreporter immobilizzato sulla sedia a rotelle).

Ebbene, Brian De Palma fa qualcosa del genere in Blow up (1981), un film che sin dal titolo si presenta come omaggio a Antonioni e richiamo a Hitchcock, anche se, questa volta, ciò che la macchina cinematografica permette di svelare non è tanto l'essenza di un'immagine (cosa si nasconde dietro le immagini), quanto l'essenza di un suono (uno sparo che sembra aver causato l'incidente e la conseguente morte di un candidato alle presidenziali negli USA di quegli anni).

John Travolta interpreta Jack Terry, un tecnico del suono che di notte se ne va in giro a captare e registrare i suoni naturali da inserire nei film horror di serie B dell'amico regista. L'antenna portatile di Jack Terry prende il posto della macchina fotografica del fotografo protagonista di Blow up e del telescopio professionale del fotografo di The Rear Window. La forma fallica dei tre strumenti potrebbe essere del tutto casuale; non lo è la suspense che hanno in comune le scene clou di questi tre film, tutti incentrati nella capacità del personaggio di scavare a fondo oltre le immagini e i suoni che provengono dalla realtà esterna. 

E se Blow out cattura e convince anche oggi è proprio perché riesce a trasformare lo spettatore in un detective privato o in un agente segreto che deve farsi strada in mezzo a una realtà illusoria e piena di immagini e suoni manipolati, di fantasmi, di ombre oscure e minacciose.

Brian De Palma rende omaggio sia ad Antonioni che a Hitchcock e, al contempo, ci ricorda con il suo film che il cinema è proprio questo: una macchina in grado di vedere al di là della soglia realistica e biologica dell'occhio umano (o, in questo caso, dell'udito umano). Una macchina che, più che creare sogni o realtà alternative, è in grado di mostrarci gli incubi o le realtà inquietanti che attraversiamo a volte senza accorgercene. Perché, come sosteneva Sant'Agostino, noi vediamo sempre e solo per speculum et in aenigmate.

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...