martes, mayo 28, 2019

La luce in fondo al tunnel



E così, arrivano all'improvviso quei momenti in cui tutto sembra risolversi, in cui problemi che ti sembravano macigni o scogli insormontabili diventano sciocchezzuole di cui sbarazzarsi in una scrollata di spalle, in cui ciò che sembrava impossibile, diventa non solo fattibile, ma quasi reale...

Se prima nessuno ti rispondeva, ora hai a disposizione due case editrici che potrebbero essere interessate al tuo progetto di traduzione (non importa che la scadenza cada nel 2020 o nel 2021: tu ci credi e speri di vivere almeno fino a quella data).

Se prima ti sentivi incapace di tornare a scrivere un racconto, ora non sono l'hai scritto (in seconda persona del singolare, come questa riflessione volante), ma l'hai anche fatto leggere ad una lettrice esperta e lei t'invoglia a scrivere di più, le è piaciuto, si vede, si nota dallo sguardo che ha fatto quando, stamattina, ti ha confessato: "L'ho letto! Ma è meraviglioso! Stupendo!".

Se prima ti sembrava impensabile organizzare le cartacce per fare una domanda a livello nazionale sul territorio italiano, ora hai capito come funziona il sistema e il meccanismo del programma informatico messo a disposizione dal Ministero e ci provi quasi gusto a caricare i files in pdf negli appositi spazi...condanna di Sisifo, ma sì, accidenti, si può fare...

Se prima ti veniva l'ansia a pensare al convegno da te organizzato all'interno della tua Università, ora che è finito, ora che i colleghi ti hanno fatto i complimenti per come è venuto, ora che perfino gli studenti ti manifestano il loro vivo interesse, ecco, ora capisci che nonostante il sudore e lo stress spesi per organizzare il tutto ne è davvero valsa la pena...

Se prima ti sembrava assurdo far parte di una giuria chiamata a scegliere il libro dell'anno della Regione del Sud del Sud della Spagna in cui pernotti, ora sai che le vie della letteratura sono infinite e che se uno coltiva la sua passione di lettore inquieto e irrequieto, ecco, se uno è davvero appassionato di ciò che fa, allora forse anche gli altri se ne accorgono e provano a metterti alla prova, ti fanno partecipare, si fidano del tuo gusto e della tua professionalità e tu speri, sinceramente, di non deluderli (e incroci le dita, sperando che arrivino libri degni d'interesse e di alta qualità letteraria)...

E che la morte ci sorprenda al lavoro, come diceva Picasso (o forse era Luis Buñuel)...

lunes, mayo 06, 2019

Roberto Calasso legge Sir Thomas Browne: o del senso della vertigine


Chi conosce Sir Thomas Browne sa già che leggendo le sue opere s'imbatterà in questioni di una certa trascendenza e, se ci riflettiamo un po' sopra, non è nemmeno poi tanto strano che ciò accada: Browne (nato il 19 Ottobre nel 1605 a Norwich e morto lo stesso giorno, ma del 1682, ovvero, 77 anni dopo, nello stesso luogo) era, innanzitutto un medico, e poi, subito dopo, un teologo e un erudito. Insomma, si trattava di un uomo d'un certo grado di cultura che, davanti a un cadavere, non solo si preoccupava di scoprire le cause ultime del decesso, ma si domandava anche dove potesse finire l'anima del deceduto, se all'Inferno, o al Paradiso, o al Purgatorio...dunque, uno che ci ricamava parecchio sopra, su certe questioni, anche perché - amante dei libri (rari e antichi) e di letteratura - era dotato d'uno stile proprio davvero geniale e particolare e perfino riconoscibile, quando uno vi entra in contatto e vi stabilisce una certa confidenza (basti leggere Religio Medici o Urn Burial, che è un po' il suo capolavoro, e un lettore attento si rende conto del tipico giro della frase "alla Browne").

Ora, leggere un saggio di un altro tipo esperto di mitologia, archeologia, sociologia, storia delle religioni e letteratura  comparata come Roberto Calasso (colui che - possiamo dirlo -  inventò l'Adelphi in Italia negli anni 70, dando vita ad uno dei cataloghi letterari più eleganti ed interessanti di tutto il Mondo) non può non riservare delle belle sorprese, per svariati motivi.

Il primo è, di nuovo, quello relativo allo stile: chi ha letto (e goduto della lettura di) Le nozze di Cadmo e Armonia (1988) sa già come scrive Calasso, di quale eleganza espositiva è dotato, di quanta erudizione si nutre, ma senza mai strafare, senza mai atteggiarsi a "colto" che ne sa più di te, sempre accompagnando il lettore con attegiamento davvero umile.

Il secondo è legato, invece, al contenuto del libro: fa davvero impressione scoprire che questo testo è la tesi di laurea di Calasso, discussa nel 1965 presso l'Università "La Sapienza" di Roma, quando Mario Praz fu suo relatore e, si suppone, maestro spirituale nel corso di una ricerca tutta a metà tra letteratura inglese, filosofia antica e, come dicevo supra, storia delle religioni. 

Il terzo motivo è legato alla data di discussione della tesi, il già ricordato anno del 1965. Ebbene, basta una rapida ricerca su Wikipedia per scoprire che nel 1965 Roberto Calasso aveva appena 24 anni! E allora l'ammirazione che uno sente verso uno scrittore e studioso ed erudito che scrive già così a soli 24 anni non può che aumentare fino all'Empireo...

Il quarto motivo deriva, invece, dalla struttura stesso del libro: ogni capitolo è un avvicinamento sempre più deciso verso il mistero dei geroglifici, così come li hanno "inventati" ed "utilizzati" gli antichi egizi. Fermo restando che il mistero resta tale, è incredibile constatare come e quanti autori canonici, oltre a Sir Thomas Browne, si siano interessati ai geroglifici come primordiale (o primitiva) forma di comunicazione tra gli esseri umani: da Ficino a John Donne, da Pico della Mirandola a Coleridge (grande ammiratore e fervido lettore di Browne), da Sant'Agostino fino a Paul Valèry, sembra che non ci sia scrittore di razza o poeta o intelletuale che non si sia fatto prendere dal fascino indelebile ed imperscrutabile dei geroglifici.

E Calasso, sorpassando, in parte, la rigidità tipica del genere "tesi di laurea", riesce nel miracolo di avvincerci, di trascinarci, di ipnotizzarci nelle mille pieghe (nei "Millepiani", mi verrebbe da dire, alla Gilles Deleuze e alla Félix Guattari) dei geroglifici e delle opere principali del grandissimo Sir Thomas Browne...

Succede, ad esempio, nella parte finale, quando Calasso chiosa il famosissimo e citatissimo capitolo V di Urn Burial (talmente famoso e talmente citato che Jorge Luis Borges, in combutta con l'amico Adolfo Bioy Casares, pensò bene di aggiungervi dei frammenti apocrifi, scritti secondo il perfetto stile Browne):

"Così arriviamo a parole famose e stupende: 'Quale canzone cantassero le Sirene, o quale nome abbia assunto Achille quando si nascose fra le donne, sono domande astruse che pur si prestano a congetture... Ma chi fossero i proprietari di quelle ossa, o quali corpi avessero costituito quelle ceneri, neanche gli annalisti potrebbero dirlo'. Tombe, urne, ceneri, tutto viene disperso; tutto torna all'anonimità; la memoria dei fatti è affidata al caso" (id., p. 167).

E noi, poveri lettori mortali, non potremo più evitare di porci quelle domande astruse: quale canzone cantassero le Sirene, quale nome abbia assunto Achille quando si nascose fra le donne...

La letteratura (per Calasso, ma anche per Browne) è anche questo: la possibilità di porsi delle domande cui è impossibile trovare una risposta. O anche: un insieme di geroglifici di cui abbiamo perso il codice.

jueves, mayo 02, 2019

Stazione Termini (o dell'impossibilità di raggiungerla)


Come ho già scritto in questo "diario di bordo" virtuale svariate volte, ho sempre vissuto accanto a luoghi di transito o, al contrario, spazi dove i morti dormono il sonno eterno; ovvero, ho sempre abitato a pochi metri da stazioni di autobus o treni, perfino di aeroporti (con tutto il rumore o l'inquinamento acustico che ciò comporta), o accanto ai cimiteri delle varie città in cui (fino ad oggi) s'è (più o meno) svolta la mia vita (Roma, Pisa, Firenze, Salerno, Madrid, e l'attuale città del Sud del Sud della Spagna da cui sto scrivendo).

Stanotte è toccato a Roma il compito di (ri)convertirsi nello scenario del mio incubo quotidiano (ma quanti incubi faccio - e ricordo - ultimamente? Troppi!): mi trovavo in una strada desolata della periferia più periferica della capitale e non riuscivo letteralmente a ritrovare la strada del ritorno a casa, ovvero, la direzione giusta per tornare alla Stazione Termini che, effettivamente, per me, quando abitavo a Roma, era davvero il sinonimo del "ritorno a casa" (vivevo a 12 minuti esatti di camminata a piedi dalla famosa stazione ferroviaria e a 15 minuti esatti dal Colosseo una volta attraversata Via Merulana e imboccata quella che - a tutt'oggi - è per me una delle strade più belle della capitale, ovvero, Via Mecenate, a pochissimi passi dal Colle Oppio, un altro dei miei luoghi del cuore - lì ci (ri)lessi per intero Cent'anni di solitudine di Gabriel García Márquez ed altri capolavori...).

Mi avvicinavo alle fermate degli autobus, ma non passava mai nessuno; fermavo qualche passante e questi mi evitava come se avessi la peste; poi appare una mia collega, molto giovane e molto carina, la tipica spagnola con i capelli ricci e folti e gli occhi scuri e le labbra carnose e la voce possente e mi abbraccia, come se fosse mossa da tenera compassione per me: "Marta, tu sai come faccio a tornare a Termini? Da che parte è?". E Marta mi risponde: "Il cammino è tortuoso e labirintico"; o "Troppo labirintico per te"; o "C'è un labirinto tortuoso prima di arrivarci, stai attento".

Poi vedo una macchina del car-sharing, una di quelle elettriche che qualche romano usa davvero per muoversi in città senza dover spendere troppo di benzina e parcheggi. Mi avvicino, ma appare subito un uomo (senza volto) che mi avvisa: "È passata la mezzanotte, non si può più noleggiare".

E allora appare un'altra collega, anch'ella spagnola, ma bionda e dai capelli lisci, molto giovane e molto bella, anche se di una bellezza più nordica, rispetto a Marta, e lei pure mi abbraccia e mi chiede che cosa diavolo ci faccio in giro per quel quartiere sporco e brutto di Roma a quell'ora tarda della notte. Non so cosa le rispondo. Forse non apro nemmeno bocca. La prendo per le mani e la invito a distenderci tutti e due a terra, sull'asfalto. Senza parlare, iniziamo a contemplare entrambi il cielo stellato. Poi le carezzo la pancia e poi le sbottono i jeans e continuo a perlustrarne il corpo, la pella liscia, i peli del pube, l'umidità della vulva. Mi sento felice, anche se dura poco, perché poi mi ritrovo di nuovo accanto alla fermata dei bus fantasma. Leggo vari numeri, ma non ne memorizzo nemmeno uno. Poi un'autista tipico romano mi dice in dialetto che "hai voglia a te pe tornà giù a Termini!". Come chi esclamasse: " Campa cavallo!". E allora la disperazione, l'angoscia, la frustrazione s'impossessano di nuovo della mia mente e del mio corpo; cani randagi a zonzo per le strade notturne; vialoni pieni di alberi mezzo abbattuti; luna piena e stelle in cielo, come nel set di alcune scene notturne di Profondo Rosso di Dario Argento; provo a camminare, ma tanto lo so che sto girando in torno, che mi sarà impossibile ritrovare la strada per tornare (a piedi) a Termini...

Mi sveglio immerso nel sudore diaccio degli incubi che ci fanno sospirare. In parte felice per aver toccato la mia bella collega (anche se solo su di un piano fittizio, onirico) e in parte angosciato, tristissimo, per non aver saputo portare a termine un'azione che, quand'ero romano anch'io, riuscivo a fare anche due o tre volte al giorno.

Che significa tutto ciò? Perché uno sogna di non riuscire a camminare verso un luogo che gli è ultra-familiare? E che c'entra l'intermezzo erotico con la seconda collega e quello enigmatico con la prima?

Una settimana fa mi trovavo in Italia e Roma l'ho soltanto sfiorata, perché una volta atterrati a Fiumicino, io e la mia compagna di avventure abbiamo subito preso un bus per andare a vedere i miei nel paesino arroccato sui monti abruzzesi di cui dò nota nel mio profilo di queste pagine, senza, appunto, passare dal centro della capitale. Mio fratello vorrebbe comprare un appartamento in zona Centocelle, niente a che vedere con l'Esquilino dove abitavamo quand'eravamo entrambi studenti universitari.
Mia sorella mi ha fatto vedere alcune puntate di Suburra, la famosa serie sui rapporti tra la Mafia, Roma e Ostia.
Ma che c'entra Termini? Che c'entrano le due colleghe? Perché tanta frustrazione nel non riuscire ad andare alla Stazione Termini?

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...