miércoles, diciembre 06, 2023

 Brian De Palma, Michelangelo Antonioni, Alfred Hitchcock e il cinema come macchina che cattura l'invisibile



Probabilmente, sin dalle sue origini, il cinema è stato concepito come una macchina in grado di percepire ciò che ci sfugge (o ciò che sfugge all'occhio umano). Come si muove una locomotiva vista dall'esterno? Come si muove un corpo umano quando cammina o quando corre o salta? Chi può percepire il proprio corpo dal di fuori? Chi potrebbe mai osservare le proprie espressioni facciali dall'esterno? Solo il cinema può (o la fotografia, prima che i fratelli Lumière inventassero la settima arte; con una differenza sostanziale: l'invenzione di Daguerre fissa per sempre su un supporto tangile una "fetta di tempo"; quella dei fratelli Lumière mette in moto 24 fotografie - o fotogrammi - al secondo per trasmettere all'occhio umano la sensazione o l'illusione del movimento - e lo fa in eterno, o fino a quando ci sarà uno spettatore disposto a vedere il film in cui questi 24 fotogrammi al secondo mettono in moto l'azione e consentono anche ciò che André Bazin chiamò "la resurrezione del morto").

Ed è quindi, per certi versi, anche normale, o quasi naturale, che moltissimi film si concentrino sulla capacità innata del cinema di mostrarci "a scala ingrandita" ciò che non vediamo, di permetterci di mettere a fuoco (letteralmente) ciò che appare sbiadito, fuori quadro, sgranato o in ombra.

Pensiamo a Blow up (1964) di Michelangelo Antonioni, riscrittura libera del racconto di Julio Cortázar intitolato Las babas del diablo; o pensiamo a The Rear Window (1954) di Alfred Hitchcok, tradotto in italiano come La finestra sul cortile.

In entrambi i casi il tema fondamentale delle due trame è proprio la vista e come lo sguardo umano può svelare ciò che si cela dietro le apparenze. Al protagonista del film di Antonioni basta sviluppare in formato gigante una fotografia all'apparenza banale, applicare uno "zoom" esagerato ed osservare la scena con una lente d'ingrandimento, per scoprire che, dietro un'apparente e semplice passeggiata di due amanti si cela un delitto misterioso... 

Nel caso del protagonista del film di Hitchcock, fotografo di professione, è l'obbligo di stare a riposo con una gamba ingessata a scatenare la pulsione "scopica", il desiderio alquanto morboso di diventare spia dei suoi vicini di casa (un voyeur con la macchina fotografica al seguito, potremmo dire in modo sintetico).

Entrambi i personaggi svelano una verità "scomoda" utilizzando il mezzo visivo: l'obiettivo di una macchina fotografica che, nel primo caso, diventa uno strumento cognitivo essenziale, nel secondo addirittura un'arma (con cui difendersi dal serial-killer di turno che ha scoperto l'atto di spionaggio del fotoreporter immobilizzato sulla sedia a rotelle).

Ebbene, Brian De Palma fa qualcosa del genere in Blow up (1981), un film che sin dal titolo si presenta come omaggio a Antonioni e richiamo a Hitchcock, anche se, questa volta, ciò che la macchina cinematografica permette di svelare non è tanto l'essenza di un'immagine (cosa si nasconde dietro le immagini), quanto l'essenza di un suono (uno sparo che sembra aver causato l'incidente e la conseguente morte di un candidato alle presidenziali negli USA di quegli anni).

John Travolta interpreta Jack Terry, un tecnico del suono che di notte se ne va in giro a captare e registrare i suoni naturali da inserire nei film horror di serie B dell'amico regista. L'antenna portatile di Jack Terry prende il posto della macchina fotografica del fotografo protagonista di Blow up e del telescopio professionale del fotografo di The Rear Window. La forma fallica dei tre strumenti potrebbe essere del tutto casuale; non lo è la suspense che hanno in comune le scene clou di questi tre film, tutti incentrati nella capacità del personaggio di scavare a fondo oltre le immagini e i suoni che provengono dalla realtà esterna. 

E se Blow out cattura e convince anche oggi è proprio perché riesce a trasformare lo spettatore in un detective privato o in un agente segreto che deve farsi strada in mezzo a una realtà illusoria e piena di immagini e suoni manipolati, di fantasmi, di ombre oscure e minacciose.

Brian De Palma rende omaggio sia ad Antonioni che a Hitchcock e, al contempo, ci ricorda con il suo film che il cinema è proprio questo: una macchina in grado di vedere al di là della soglia realistica e biologica dell'occhio umano (o, in questo caso, dell'udito umano). Una macchina che, più che creare sogni o realtà alternative, è in grado di mostrarci gli incubi o le realtà inquietanti che attraversiamo a volte senza accorgercene. Perché, come sosteneva Sant'Agostino, noi vediamo sempre e solo per speculum et in aenigmate.

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