jueves, febrero 29, 2024

 Un incubo (letterario)

La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di mesi fa, tornassi ad entrare in contatto con uno degli scrittori spagnoli che più ammiro al mondo. LG ha 89 anni, ma mantiene intatte la lucidità e l'ironia amara (a tratti mordace) delle sue opere migliori. 

Le telefonate del venerdì pomeriggio diventano quasi un rituale, una piacevolissima routine, fino a quando non decidiamo entrambi di trascrivere in una sorta d'intervista (molto letteraria) le domande e le risposte che ci scambiamo sui romanzi più famosi e complessi di LG.

Da più di due settimane LG scompare. Non mi dice se la versione scritta dell'intervista è accettabile e merita di essere pubblicata. Né mi consiglia su quale rivista provare a pubblicarla. Mi preoccupo. A lezione faccio leggere alcuni brani dei suoi romanzi, le poesie di suo fratello, un'intervista uscita nel 2018... E lui non risponde, sembra svanito nel nulla (il cellulare tace, i venerdì pomeriggio diventano più lunghi e noiosi).

Fino a quando, l'altroieri, ho un incubo. Sogno di chiamare LG, mi armo di coraggio e faccio il suo numero perché voglio appurare se sta bene, se non gli sia successo nulla di male, se non è per caso finito all'ospedale (un malanno passeggero, un raffreddore, una caduta). Mi risponde una donna anziana che - nel sogno - immagino funga da sua badante. "Ma come?", mi chiede la signora: "Non lo sa? LG è morto!". 

Resto a bocca aperta. Inizio a piangere e non so cosa dire. Riattacco e mi sveglio immerso nel sudore freddo di chi si sente in colpa per non aver più chiamato e per non aver nemmeno tentato di ristabilire il contatto.

Alla fine, ieri, mercoledì, lo chiamo. LG mi risponde con un tono di voce un po' intristito, mi spiega che ha iniziato a soffrire per un dolore all'anca. Dorme, ma non può stare seduto troppo tempo. Deve cambiare posizione. Respiro tranquillo e gli dico che passerà, sicuro che andrà meglio, col tempo. LG mi dice che sì, che di sicuro riusciremo a vederci, magari per fare l'intervista dal vivo (o per chiacchierare senza problemi e senza limiti d'orario, soprattutto: senza cellulari nel mezzo).

Questa sera rileggo alcuni brani particolarmente lirici del suo romanzo più famoso. E penso che la vita mi ha fatto molti regali inaspettati e che questo - l'amicizia con LG - è uno dei più belli e chissà se meritati.

lunes, febrero 19, 2024

L'antica fiamma


Non sappiamo bene come, ma a volte finiamo col vivere esperienze indicibili, avventure per le quali le parole non bastano o quelle che proviamo ad utilizzare per formulare ciò che sperimentiano, ciò che sentiamo, ciò che pensiamo non bastano, sono zoppe, vanno a zig zag, sbandano, non ce la fanno proprio a cogliere l'obiettivo, non riescono a stare dietro alle ondate (alle maree) delle emozioni vissute a fior di pelle.


E allora smetto di pensare con la mente e provo solo a rievocare la passeggiata di questa mattina, tra papere nello stagno, ciclisti che girano con la bici in mezzo alle colline, gente che corre e scolaresche che si avvicinano alla riva del fiume per studiare la flora e la fauna, e quel raggio di sole che m'illumina d'immenso e le illumina il volto... Un sorriso che iptnotizza. Una risatina che fa ridere. Delle mani che si stringono alle tue in perfetta armonia. Le bocche che parlano e parlano e s'intendono a vicenda. Le labbra carnose di entrambi che suonano la stessa musica (opera italiana classica, dal Flauto magico al Don Giovanni, Mozart in sottofondo, come una ninna nanna classica piena di lampi di gioia).


Di nuovo (accidenti) la sensazione di vivere il momento, del carpe diem sincero e non quello da topos che nessuno nel XXI secolo si azzarda ad applicare alla sua stessa vita vissuta (ci vuole coraggio per sbagliare o anche solo per prendere una strada che non porta da nessuna parte).


Gli abbracci innocenti e le strette di mano. Gli sguardi che dicono e non hanno bisogno di linguaggio verbale per dirlo. Le sottili ironie. Le profonde riflessioni sulla caducità di tutte le cose (comprese le emozioni, incluse queste stesse sensazioni a fior di pelle). Gli abbracci che sbocciano spontanei nel nome dell'amicizia, della mutua (reciproca) ammirazione. Quelli che sembrano tratti da un film di Woody Allen e quegli altri che paiono citazioni da un film di Nanni Moretti. 


Di nuovo le passeggiate lungofiume. Lungouniverso. Lungoessere. Di nuovo tu, sotto falso nome, diverse spoglie, un andatura leggermente claudicante, il balbettio comico che mi provoca un'enorme ed indicibile tenerezza. Di nuovo tu. Sì. Eros dolceamaro. Riconosco i segni dell'antica fiamma...

miércoles, enero 31, 2024

 "Nubi, folgori, trasparenze; non rosso né topazio né celeste, crepuscolo instabile"


La frase è traduzione dallo spagnolo di una riga dell'incipit di un capitolo di un romanzo che s'intitola Antagonía e consta di quasi 1400 pagine. Il romanzo in questione, di Luis Goytisolo, non è mai apparso in italiano, ergo, i lettori italiani lo ignorano, non ne conoscono l'esistenza, semplicemente: non sanno che esiste.

Traduco questa frase, piena di poesia, come fosse un componimento a metà tra Leopardi e Pascoli, e ripenso a ciò che è accaduto ieri. Un congresso pieno di interventi interessantissimi sull'importanza delle biblioteche e degli archivi come "luoghi della memoria", spazi in cui si custodiscono le voci del passato (degli scrittori morti in passato).

E poi un'intervista: ad uno storico e filosofo di Mali che, dopo l'invasione di Tumbuctú da parte dell'esercito irregolare dei tuareg e degli islamisti estremisti, si è visto costretto ad abbandonare la propria casa, la propria patria, una biblioteca familiare contenente più di 10 mila manoscritti risalenti ai secoli dal XIV al XVIII e che si è autoesiliato in Spagna.

Uno ascolta Ismael e sente tutta la potenza della sua dizione, della sua retorica non costruita, ma nata dopo anni e anni di lotta impari contro la violenza dell'uomo sull'uomo e dell'attacco assurdo dell'uomo sulla cultura (o su beni culturali come quelli che si conservano all'interno degli archivi e delle biblioteche).

E poi una cena tra colleghi, tra amici, tra conoscenti, all'insegna della birra e dell'allegria, della spensieratezza, dopo tanto dolore, dopo tante emozioni, dopo tante riflessioni su chi siamo e su cosa siamo diventati...

E infine uno sguardo che ti mette a nudo, che ti sorveglia e ti scruta, che, come il crepuscolo di cui sopra, non è né rosso né topazio né tantomeno celeste, ma è folgore, è nube, è trasparenza, è tremore e terrore di cadere vittime di Eros, un'altra volta, sempre lui, sempre Eros nel mezzo del cammin di nostra vita... E quell'abbraccio all'uscita dal bar; quelle risate spontanee; quei sorrisi che non ce la fanno proprio a tacere l'ardore e la voglia di stringersi e di baciarsi senza censure, quell'irrazionale parlarsi senza dire parole...quel gioco degli sguardi, quelle folgori che accendono la passione quando uno meno se l'aspetta, quelle nubi che ci attorniano, minacciose, quelle folgori e quelle trasparenze, le anime che ballano insieme senza che noi possiamo dettare il ritmo o decidere se e dove e quando fermarci.

lunes, enero 29, 2024

 Il 24 gennaio del 2024

È il 24 gennaio del 2024. Sono trascorsi 24 giorni dall'inizio dell'anno nuovo. E il destino (o il caso) ha voluto che, nello stesso giorno, discutesse la sua tesi la mia prima dottoranda in Spagna e uno dei miei scrittori preferiti mi concedesse un'intervista telefonica alle 19:30 del tardo pomeriggio.

La tensione della mattinata va in aumento, invece di sciogliersi. La commissione che valuta la tesi fa notare le pecche, le sviste, gli errori di citazioni e quelli relativi alla bibliografia. Il relatore, in questi casi, deve incassare i colpi e assumere la responsabilità. Poi, dopo l'esposizione dei difetti, la Santa Inquisizione torna ad essere gentile perché - rituale che non capirò mai - la dottoranda deve invitare tutti a pranzo e, possibilmente, in un ristorante di lusso.

Maria mi chiede consiglio giorni prima dell'evento; le offro tre opzioni, dalla più economica e vicina all'Università alla più cara ed elegante (un ristorante in periferia, in mezzo al verde, con piscina olimpionica al centro e vasta terrazza con vista panoramica sulla città).

Alla fine, andiamo a pranzo in un ristorante intermedio, né troppo umile né sciccoso. I membri della commissione parlano e ridono e sorridono; la dottoranda non smette di ringraziarli. Io parlo di poesia cilena con un'italiana che ha studiato tra Salamanca ed Alicante. Poi, nel pomeriggio, riaccompagno la dottoranda in hotel: deve scappare a riprendersi le valigie, perché ha un bus per l'aeroporto tra mezz'ora.

Si sono fatte le 19:30. Alle 19:31 uno dei miei scrittori preferiti mi chiama. Puntualità tedesca (o svizzera), LG inizia a rispondere alle mie domande, a volte troppo lunghe, altre troppo accademiche. LG mi risponde a tono, è genitle e ironico, a tratti anche autoironico. 

"Quell'immagine che apre e chiude il romanzo - quasi 1400 pagine - dell'ufficiale in groppa ad un cavallo bianco...ha un evidente significato simbolico. Il bianco in mezzo al fragore e al fumo della guerra civile spagola. Non è un caso; rappresenta...".

LG m'interrompe: "Quell'immagine è reale. Io ho visto quell'ufficiale su un cavallo bianco nel 1938. Avevo 3 o 4 anni ed ero sfuggito al controllo dei miei per vedere cosa stesse succedendo, con tutti quei carri armati, quelle sidecar, quei soldati sparsi in ogni dove, coi fucili a tracolla. Io l'ho visto davvero quell'ufficiale e quel cavallo bianco".

24 gennaio del 2024. Non è ancora finito gennaio, il primo mese dell'anno, ed ho già vissuto due eventi memorabili: la dottoranda che consegue la lode; lo scrittore preferito che smonta la mia interpretazione simbolica di un evento accaduto davvero e sul piano della realtà. Gli scrittori servono anche a questo: a smontare ogni teoria che il critico letterario possa inventare sulle loro opere. Un ufficiale su un cavallo bianco...Il fumo, gli spari, il caos della guerra civile spagnola...Un bambino di 3 o 4 anni che scopre la Storia, senza sapere cosa ci facciano tutti quei soldati e quei fucili a pochi metri dalla porta d'ingresso di casa...

domingo, enero 21, 2024

 Cosa fare dei classici?


Un collega che conosco solo di vista e che ha fama d'intrattabile, di saccente, di superbo ha pubblicato un articolo che un amico appassionato del Quijote ha avuto la gentilezza di mandarmi via Whatsapp. Nell'articolo, il collega succitato, docente di Letteratura Spagnola, si chiedeva come mai i lettori odierni non leggono il Quijote, l'opera immortale del Manco di Lepanto, e le risposte erano tra le più ovvie: a) mancanza cronica di tempo; b) eccessiva lunghezza dell'opera (più di mille pagine, anche nelle edizioni tascabili e senza note al pie); c) eccessiva difficoltà nel leggere un testo del XVII sec. e, quindi, scritto in uno spagnolo ormai percepito come complesso e troppo distante dall'attuale; d) scarsa capacità di concentrazione del lettore odierno fin troppo abituato a leggere solo testi brevi o messaggi di poche righe (come quelli che ci si scambia sui social).

E allora mi è venuta in mente la seguente domanda: cosa fare dei classici? Come leggerli (o continuare a leggerli) nel XXI sec., il secolo dell'IA (= Intelligenza Artificiale), della rapidità, dell'iperconnessione cronica, della lettura costante ma sempre (solo, a volte) superficiale dei testi? Come insegnarli a scuola, se i ragazzi considerano "vetusto" o "preistorico" perfino un fumetto degli anni 40 come Topolino? Come insegnare l'Odissea o l'Eneide, la Divina Commedia o Shakespeare, Proust o Thomas Mann, se a molti lettori odierni mancano i riferimenti a quei miti, a quelle figure, a quei racconti primordiali, a quelle stesse opere letterarie che stanno alla base di Shakspeare o Proust o Thomas Mann?

Non ho risposte a simili domande; temo di non avere nemmeno le potenziali soluzioni al problema (se di "problema" si può parlare, perché la quantità dei "non-lettori" temo sia altissima, rispetto al passato, anche se non conosco statistiche e non so bene come si leggesse ai tempi di Dante o di Shakespeare, di Proust o di Thomas Mann). Sì so per esperienza (comprovata) che, una volta che uno si decide ad introdurre un classico al lettore attuale, ad inquadrare storicamente il contesto, a suggerire le molteplici letture che un classico consente, da quelle più "archeologiche" a quelle più "superficiali" e legate a trama e personaggi, a tematiche e spazi e tempi, ecco che il lettore attuale, lungi dallo spaventarsi, lungi dal rifiutare la lettura del testo, vi si avvicina con spirito intraprendente e voglia di scoperta. Come se, solo dopo una propedeutica contestualizzazione dei fatti, anche il lettore attuale trovasse il modo di avvicinarsi al testo del passato senza paura, senza remore, senza filtri, desideroso di andare avanti nella lettura, ansioso di vedere come va a finire.

Si tratta di un (difficilissimo) equilibrio tra ciò che si sa dell'opera e ciò che l'opera continua a dire, anche a distanza di secoli. E forse, solo allora, il lettore capirà che leggere i classici non è una perdita di tempo, né un modo strano di passare il tempo, né una stramberia da happy few, bensì un modo per conoscersi e per conoscere meglio ciò che siamo, ciò che siamo stati, ciò che non vogliamo, ciò che potremmo essere.

Lo scenario che ci offre il futuro non è dei più rosei. Ma finché ci sarà un lettore attento e disposto a prendersi cura del testo (se classico, ancora meglio), forse, ci sarà ancora speranza. Altrimenti, chissà se e come ci potremo adattare a un mondo senza classici o, addirittura, senza libri, un mondo senza cultura e senza domande, un mondo privo di spirito critico e di creatività. Apocalypse Now, certo, ma ancora no, ancora abbiamo scampo...(forse).

sábado, enero 06, 2024

 L'ultima innocenza di Emiliano Morreale





È un libro affascinante, L'ultima innocenza, di Emiliano Morreale. E lo è per diversi motivi: 1) è un libro sul cinema, ma che permette di leggere una serie di "storie alternative" alle storie del cinema "ufficiali": il narratore si presenta spesso sotto le spoglie di un indagatore, un investigatore, un detective privato che va alla ricerca del dettaglio che potrebbe spiegare il tutto, dei nomi dimenticati, delle maestranze e degli sceneggiatori caduti nell'oblio; 2) è un libro di racconti (6 per essere esatti) e il lettore può leggerli separatamente, assaggiarli uno ad uno senza fretta, anche se l'ordine in cui sono distruibiti segue una struttura che poi porta alla parola "Fine"; 3) è un libro di racconti sul cinema dimenticato (o più marginale) scritto con stile cinematografico. Ciò è evidente soprattutto nell'ultimo racconto, quello che s'intitola "La donna perduta", in cui l'io che parla passa il lockdown rinchiuso in casa (come tutti) per cercare di digerire un'abbandono amoroso e per tentare di ricostruire la vita di Dorothy Gibson, un'attrice sfortunata che si salvò dal disastro del Titanic, ma non da un destino triste che l'ha portata in contatto perfino con Indro Montanelli e lo spionaggio a metà tra i russi e gli americani sul finire della Seconda Guerra Mondiale; 4) è un libro pieno di comicità trattenuta o, a tratti, esplicita: come nel caso di "E se tu non vieni", un racconto in cui chi narra finisce a casa di uno dei maggiori esperti di cinema pornografico italiano e lì scopre dettagli che non avrebbe mai immaginato sulla settima arte (oltre che sul senso dei cinema di periferia, delle sale vietate ai minori, ormai cadute anch'esse nell'oblio).

Uno dei racconti migliori è quello che dà il titolo al libro intero: Come le foglie al vento ricostruisce i destini incrociati (o le vite parallele) di Douglas Sirk e di Veit Harlan: il primo autore di alcuni dei classici atemporali della storia del cinema mondiale; il secondo regista di uno dei film più immorali e disgustosi di sempre, Süss l'ebreo, commissionato e molto elogiato da Goebbles.

Triste e a tratti agghiacciante "Tutto sarà perdonato", in cui il lettore potrà osservare i retroscena di quel cinema indipendente che cresceva calvacando l'onda lunga del 68 parigino e seguire le sventure esistenziali di registi e attori e intellettuali naufragati sugli scogli della Storia; grottesco e quasi surrealista "La terra dei sogni", una specie de reportage sui legami tra la Mafia, il cinema e i rapporti conflittuali tra padri e figli, con i padri impegnati a mantenere alto l'onore del clan e i figli impegnati a infangare o sporcare quell'onore per la fregola di diventare artisti.

Il secondo racconto s'intitola semplicemente "W." e narra la biografia di Waszynski, un personaggio che sembra essere uscito fuori da un romanzo di Graham Greene o da F. for Fake di Orson Welles.

Se la "magnifica ossessione" per il cinema può essere sia "erotica" che "necrofila", con L'ultima innocenza Morreale ci insegna che è bene seguire le proprie ossessioni, che la scrittura può salvare, che fino a quando si resta nel ricordo o nella memoria degli altri, si è ancora in vita (anche se la vita è breve e non c'è film che possa raccontarcela per intero né potrà mai spiegarcela).


lunes, enero 01, 2024

 Parlare con i morti: su Paul Auster e il suo ultimo romanzo




Le coincidenze non esistono. O la vita è solo una sequenza finita di coincidenze. Il caso detta i nostri passi. E a volte ci sorprende in modo grato e ci strappa un sorriso. Il caso ha voluto che venerdì 29 dicembre 2023, un paio d'ore prima di ripartire per la Spagna, comprassi il giornale e l’ultimo romanzo di Paul Auster all’aeroporto di Roma Fiumicino. E sempre il caso ha voluto che iniziassi a leggere un articolo tratto da La Repubblica e intitolato: “Le parole che non ti ho detto”. A Capannoli, in provincia di Pisa, qualcuno ha creato una cabina telefonica su imitazione di quella che inaugurò nel 2010 Sasaki Itaru, un giapponese che, dopo aver perso suo cugino, ha installato un telefono pubblico in cui provare a sfogarsi e a parlare con chi se ne è andato. Dopo lo tsunami apocalittico che sconvolse il Giappone l’anno dopo, quella cabina telefonica è diventata luogo di ritrovo dei tanti sopravvissuti alla tragedia che hanno provato a dialogare con i cari defunti.

Il capitano dell’aereo diretto a Valencia ci avvisa che stiamo per staccarci da terra e che bisogna tenere le cinture allacciate. Inizio a leggere con foga le primere 30 e poi 40 pagine di Baumgartner di Paul Auster e, stranamente, anche in questo bellissimo romanzo, si parla di lutto: un professore di filosofia ha perso la moglie dopo quasi mezzo secolo di vita vissuta con passione e trasporto. Un’onda anomala ha ucciso Anna Blume, la moglie di Baumgartner che, da dieci anni a questa parte, prova a sopravvivere come meglio può a un vuoto incolmabile. A volte gli sembra di ascoltare il ticchettare ritmico della vecchia macchina da scrivere che Anna usava per le sue traduzioni dallo spagnolo, dal francese e dal portoghese. Una notte, invece, sente il ronzio di un vecchio telefono a parete, quello preferito di Anna. Baumgartner è incredulo, è notte fonda, la casa è vuota, ma si fa coraggio, solleva la cornetta e…è Anna, riconosce la sua voce, la moglie morta gli racconta che sta bene, che ormai è finita nel Grande Nulla, che l’al di là non è come molti se lo immaginano: 

“Dopo morti si entra nel Grande Nulla, uno spazio nero dove tutto è invisibile, un vuoto assoluto e silenzioso, l’oblio sconfinato. Non si entra in contatto con nessun altro defunto, nessun ambasciatore dal cielo o dagli inferi viene a spiegare cosa ci attende. Perciò lei [Anna] non ha idea di quanto durerà la sua condizione presente, ammesso che presente possa ancora essere un termine valido in un luogo simile, che non è nemmeno un luogo ma un nulla, uno spazio indefinito sottratto a un’infinità di spazi indefiniti. Non vede niente e non sente niente perché non ha più un corpo, nessuna estensione, come dicevano i filosofi antichi, ragion per cui non è mai stanca né affamata né prova dolore né piacere né niente di niente, e se la si potesse misurare nello spazio, ammesso che spazio possa ancora essere un termine valido, probabilmente non sarebbe più grande di una particella subatómica, il frammento più minuscolo, infinitesimo del mistero cosmico” (p. 47).

Oggi, 1 gennaio del 2024, quando ho finito il romanzo di Paul Auster, ancora commosso da suo finale aperto e sconcertante, ripenso a quell’articolo sulla cabina telefonica di Pisa, una cabina fatta di legno, in cima a una collina da cui si può contemplare tutto il paesaggio circostante e dove il telefono è privo di fili. Come Baumgartner, anche a me piacerebbe poter riascolare la voce di chi non c’è più, non necesariamente di chi non c’è più perché è morto, come Anna, la moglie traduttrice del professore filosofo, bensì di chi, pur essendo ancora vivo, ci ha abbandonati o vive un’altra vita, lontano da noi, e chissà se ogni tanto ha un ricordo di noi e della vita che abbiamo vissuto in loro compagnia. È il primo dell’anno e mi piacerebbe poter alzare la cornetta di quel telefono senza fili in quella cabina di legno della provincia di Pisa per poter semplicemente chiedere: “Come stai?”. E attendere la risposta di una voce che ci era amica e faceva parte della nostra quotidianità. “Ciao. E tu come stai?”.


Incredibile constatare come la realtà anticipi la finzione o come, a volte, la finzione non è altro che la trascrizione della realtà. E chissà se Paul Auster avrà mai avuto notizia di Sasaki Itaru e del suo telefono in contatto col mondo dei morti. Chissà cosa ne penserebbe di un'iniziativa "umanitaria" che lui stesso ha descritto e narrato all'interno del suo ultimo, emotivo romanzo...

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...