jueves, enero 30, 2020

Destini incrociati


Fine Gennaio (dopo gli schiamazzi e i bagordi, dopo le mangiate esagerate e i regali delle feste natalizie, si torna al lavoro - e alla lettura per piacere, di notte, e per lavoro, di giorno)... 

Da Madrid una cara amica dai tempi del liceo mi chiede perché non le mando qualche nuovo racconto erotico; dice che adora i miei racconti erotici; dice che la eccitano...(e le rispondo sul Whatsapp: "Nessuno mi ha mai fatto un complimento così grande per qualcosa scritto da me. Sono lusingato").

Poi un'amica italiana che viveva a Madrid e che ora si è trasferita in Germania mi rivela che è incinta e che, se tutto va bene, partorirà a fine Giugno (io sono tra i primi a sapere la notizia sulla Terra).

Poche ore dopo un'altra amica, questa volta francese, ma che vive in Spagna da più di 20 anni, mi confessa, tra le lacrime, che domani abortirà. Alla sua età e con una crisi matrimoniale alle spalle e due figli che crescono e che tra poco andranno alle elementari, non se la sente proprio di affrontare un'altra gravidanza e di mettere al mondo un altro essere umano...

Penso che, nello stesso istante in cui lei mi sta svelando questo segreto così intimo, ci saranno almeno altre decine, centinaia, forse migliaia di donne che, a costo di restare incinte, stanno sborsando fior fiori di euro per l'inseminazione artificiale (o la fecondazione asssitita o l'affidamento di un bambino africano o russo o indiano tramite adozione).

La vita è fatta di destini incrociati: ognuno di noi incrocia il proprio con quello degli altri ed è assurdo e anche leggermente tragicomico constatare quanti scherzi fa il destino ai destini di noi tutti... C'è chi paga per dimagrire e si ammazza di sport in palestra e chi paga per ingrassare; ci sono donne che odiano i bambini e restano incinte al primo tentativo e altre che li adorano e non possono averne; ci sono donne come la mia amica francese che, pur adorando i bambini (e i propri figli), ha scelto di non avere il terzo. 

E poi mi chiama un vecchio amico e collega di Roma: mi chiede se sono disposto a valutare il libro di un suo amico e collega, un saggio sulla ricezione di alcuni novellieri italiani nella Spagna del Cinque e del Seicento... Gli rispondo che ci devo pensare, che sinceramente non sono molto ferrato sull'argomento e che ci sono esperti ben più bravi e preparati di me su quest'ambito di ricerca...

Pochi minuti dopo, un'altra amica e collega, questa volta di Firenze, mi scrive perché vorrebbe coinvolgermi in un suo progetto su letteratura e antropologia (lei è antropologa), ma non me la sento e le dico subito di no (ciononostante, ricevo per email il progetto in un pdf redatto in inglese e lo richiudo subito, ultimamente faccio fatica a leggere in inglese).

Uno da Roma; l'altra da Firenze; l'uno e l'altro non si conoscono e non sospettano (né possono neppure immaginare) di avermi fatto proposte di lavoro simili; nessuno dei due sa che ho deciso di tenermi a distanza da entrambe le proposte (sono troppo stanco, ultimamente, e dormo poco, e mi riesce difficile anche finire i miei di progetti, figuriamoci quelli degli altri).

I destini incrociati continuano ad intrecciarsi sempre di più. E allora decido di fermarmi; di fumarmi una sigaretta e di tornare a bomba, ovvero, di riprendere quel racconto erotico che iniziai subito dopo la nascita della prole e che, ahimè, abbandonai prima di riuscire a immaginare un'eventuale sviluppo decisivo per la trama.

Se vuoi scrivere, devi saper mantenere alta l'attenzione del lettore. Altrimenti, hai perso in partenza. Ecco, cara T. che mi chiami da Madrid: ho deciso che ti devo un racconto erotico e che, prima o poi, te lo manderò, completo, con tanto di conclusione.

martes, enero 07, 2020

In qualche luogo, dal passato

La mattina tersa e fredda del 6 di Gennaio 2020; sì, è questa la data che il caso (o il destino) ha scelto affinché rivedessi e riabbracciassi (dopo più di 20 anni) il mio Prof. d'Inglese, colui che mi ha trasmesso la passione per la letteratura e che, in parte, ha contribuito a che diventassi ciò che sono oggi, un altro Prof. con la passione per la letteratura e i libri e il cinema e la cultura, in generale...

Mi accoglie seduto in poltrona, con un cappellino di lana in testa, lo sguardo vispo, malgrado la malattia e la cura per la malattia, quella chemioterapia che gli ha fatto sparire i pochi capelli che aveva; la moglie mi fa accomodare sulla poltrona di fronte, entra la luce dal giardino di casa, si sentono gli uccellini malgrado il freddo polare di questi giorni (di notte si scende sotto zero; le macchine sono ricoperte di brina e si fa fatica a mettere in moto e partire).

"Come stai, Prof.!".
"E come vuoi che stia", mi risponde, con un sorriso amaro sulle labbra secche: "guarda qua come sono ridotto, faccio fatica anche a camminare".

Ci abbracciamo come se non ci vedessimo dall'altroieri. È ancora un uomo robusto, ha ancora una presa decisa, glielo dico subito: "Sono felice di rivederti, perché se oggi sono diventato un docente universitario lo devo anche a te, a quando mi passavi i romanzi di Joyce e di Conrad sottobanco".

Piange. Si emoziona. Mi emoziona. La moglie ci redarguisce: "Vedete di smetterla, voi due, altrimenti piango pure io".

Sorridiamo tutti e tre. Si avvicina il figlio minore, che non vedevo da una vita, proprio come suo padre. Mi ringrazia di essere venuto, ma sono io che ringrazio lui.

"Allora, che fai in Spagna? Come ti trovi?".

Sono passati più di 20 anni e come si fa a riassumere le puntate precedenti? Non so da dove cominciare. Inizio dalla fine, dalla fortuna che ho avuto a trovare la donna della mia vita, la mia compagna d'avventure, in un congresso presso l'Università di Salamanca, ormai 7 anni fa...E gli parlo della prole e di com'è strano essere padre e vivere con la stessa donna che ora non è più solo moglie, ma anche madre. La moglie del Prof. annuisce, poi mi chiede se voglio un caffè. E accetto.

Poi risaliamo indietro nel tempo: come se fosse una specie di flash-back accelerato; la laurea alla "Sapienza"; il dottorato a Pisa; i viaggi in lungo e in largo per l'Italia; la stanchezza di arrivare sempre secondo ai concorsi pubblici per ricercatore; la nuova vita spagnola; la felicità di poter vivere di quello che ci appassiona. La passione che è nata nel 1994-95, quando lui mi passava Arancia meccanica di Stanley Kubrick di nascosto.

"Ma parliamo di te. Come stai? Cosa leggi? Leggi ancora molto?".
"Non molto, ma provo a stare al passo coi tempi; leggere mi aiuta a concentrarmi. Ho ancora una buona memoria. Leggo spesso Ulisse. Tu te lo ricordi la tua reazione quando vi feci leggere il monologo finale di Molly Bloom?".

Le oscenità di Molly. Le parolacce. Lo sproloquio di una donna che non ha freni inibitori. L'abilità di James Joyce nel fingersi "donna" e nel calarsi nei meandri della mente femminile. Per scoprire che, quando si tratta di narrare e di narrarsi, uomini e donne siamo uguali, ricorriamo agli stessi trucchi, alle stesse tecniche narrative, anche agli stessi sotterfugi...

"E alcune tue compagne di classe si rifiutarono di leggerlo e solo dopo io capii perché: si vergognavano, si vedevano rispecchiate nei pensieri ambigui di Molly".

Yes I said yes I will Yes.

Così finisce Ulysses di Joyce. Un canto alla vita, dopo tanta morte e angoscia e gironzolare senza meta.

"E gli italiani li leggi?", chiedo ancora.
"Non molto", mi risponde e torna a tossire, per poi aggiungere:
"Conrad, lui sì, lo rileggo spesso. Le famose "saving illusions"; le illusioni che salvano".
"La scena in cui Marlow torna dalla fidanzata di Kurtz...".
"E le dice che è morto con il suo nome in bocca, ma non era vero...The horror...The horror...".
"E la versione di Coppola in Apocalypse Now; fu quello l'aggancio per la tesina agli esami di maturità".
"E certo, e come, credi che non me lo ricordo? Io le cose importanti me le ricordo. Ho ancora buona memoria".

Arriva il caffè. E continuiamo a parlare della Spagna, dell'Italia, della crisi economica, della situazione politica dei due paesi, della comparazione tra i due stili di vita, dove si vive meglio, dove si vive peggio, e la moglie torna in cucina, ci lascia da soli. Il Prof. continua a tossire. E io mi domando come sia possibile che le conversazioni che mantenemmo tanti e tanti anni fa siano ancora qui con noi, in questa sala, nel 2020, in un nuovo anno appena inaugurato, un anno dal numero simbolico doppio, talmente avveniristico che fa impressione scriverlo, 2020...come è possibile che io stia seduto su questa poltrona a parlare del 1994 e del 95 e del 96 e del mio esame di maturità quando è trascorso così tanto tempo, così tante storie vissute lontano da lui, così tante donne amate e poi perse e tradite, così tanti treni e aerei e bus presi al volo e così tanti chilometri percorsi coi mezzi o a piedi o in bici prima di arrivare qui, in questo salone accogliente, pieno di libri, di appunti sparsi, di sedie e quadri antichi, di tappeti consumati dal tempo, di penne stilografiche oggi un po' vintage, di giornali scaduti, come è possibile...

Poi si accende una sigaretta, non prima di avermi chiesto se mi dà fastidio. Gli dico di no, anzi, sarei tentato di chiedergliene una, per fargli compagnia. Ma non fumo da 3 mesi e non mi sembra il caso di scroccargliene una proprio oggi.

Le ore scorrono via veloci. Al canto degli uccelli si unisce ora il ronzio di una lavatrice. Gli do il mio regalo per la Befana: due libri che tradussi nel 2011. Opere di autori spagnoli vissuti nel XVII secolo e che nessuno legge più (nemmeno gli stessi spagnoli). Gli dico che oggi gli studenti non leggono e che il livello si è abbassato. Mi chiede come sia possibile. E cosa fanno se non leggono. Non so cosa rispondergli. Poi arriva la moglie e mi fa intuire che posso anche andare, che forse mi aspettano a pranzo, che lei ha fatto il sugo buono e che oggi mangeranno le fettuccine. M'invitano per un prossimo pranzo insieme. Li ringrazio. Abbraccio il Prof. con affetto. Intuisco una lacrima sul ciglio. Mi trattengo e resisto: non piango. Mi fa cenno di andare, che si è fatto tardi. I miei staranno in pensiero. Mia moglie sentirà la mia mancanza. Esco e solo quando sono in macchina avverto l'impellente bisogno di scoppiare a piangere. Ma sono bravo e mi trattengo ancora una volta, perché è pericoloso guidare con le lacrime agli occhi. E mi domando di nuovo da dov'è che verranno quei ricordi così nitidi, quelle parole e quei discorsi che entrambi ricordiamo fin nei minimi dettagli; in quale luogo oscuro si nascondono i ricordi. Come fa il passato a tornare in vita nel presente con tanta precisione. Come è possibile, Prof.?

So che lui non saprebbe rispondermi. Perché il fatto che siamo mortali e che viviamo nel tempo (e del tempo) è un mistero per tutti. Lo abbraccio di nuovo col pensiero e quando arrivo a casa mia madre ha già apparecchiato la tavola. È la Befana del 2020. E io ho rivisto un pezzo di colui che fui e di colui che mi trasmise la sua passione per i libri, per la letteratura, per il cinema.

viernes, enero 03, 2020


La bambina con la palla


Dunque, è cosa nota a tutti: la cinefilia ci spinge a vedere cose che altri non vedono; è una sorta di malattia visiva o di malformazione ossessiva che colpisce chi, quando guarda un film, non può non notare certi dettagli, non può non soprendersi per il taglio di certe inquadrature, non può non applaudire la bravura del regista di turno nei piani-sequenza o nell’uso creativo della fotografia; è una mania che spinge a rapportare il film che si sta guardando al resto dei film che si sono visti nel corso della propia esistenza…

E così, l’altra notte, colto da insonnia e mentre ero intento a colmare una grave lacuna e guardavo per la prima volta Operazione paura (1966) del geniale Mario Bava, ecco che m’imbatto nelle prime apparizioni di Melissa, una bambina di 7 anni, morta in circostanze misteriose, e che appare ai protagonisti del film (un medico e una giovane fanciulla originaria del paesino dimenticato da Dio in cui il medico è stato chiamato dalle autorità per fare lumi sugli strani suicidi di alcuni compaesani) e che, ogni volta che appare, si diverte a far rotolare una piccola palla bianca (vera e propria metonimia dell’infanzia perduta – o corrotta o violata – dipende dal punto di vista di chi s’ingegna ad attribuire un significato simbolico alla palla stessa).



Ecco, è facile fare il paragone, anzi, diciamo pure che il paragone viene quasi spontaneo: anche Federico Fellini, nel 1968, due anni dopo il film di Bava, dunque, utilizzò (mise in scena) una bambina simile con una palla simile, nella sua versione di un famoso racconto horror di Egdar Allan Poe (intitolato Never bet your head to the Devil) nel mediometraggio Toby Dammit, apparso nel film ad episodi Tre passi nel delirio…(prima di Fellini, Louis Malle e Roger Vadim, coi loro rispettivi esperimenti e perlustrazioni nell’ambito del genere horror).

In realtà, se uno guarda bene, si accorge del fatto che le scene della palla del film di Fellini si configurano quasi come un omaggio a Mario Bava e alla sua grandissima capacità di spaventare lo spettatore… Ma potrebbe anche trattarsi di plagio (e non c’entra nulla il fatto che le due bambine abbiano la stessa capigliatura e siano entrambe bionde e indossino quasi la stesse veste - sottana o grembiule da bimba, appunto).



Ma torniamo a Fellini: se uno si ferma a riflettere un po’, si renderà conto del fatto che Ringu è un film giapponese (diretto da Hideo Nakata nel 1998) che, pur eliminando la palla, sembra ispirarsi proprio alla bambina dai tratti fisici inquietanti “copiata” da parte di Fellini da Operazione paura di Bava. Certo che la somiglianza potrebbe essere del tutto casuale; ma quell’effetto distorto e perturbarte creato dalla chioma di capelli lisci che ostruiscono il viso della bambina, impedendo allo spettatore di vederla in modo chiaro e senza veli, non potrebbe ricordare proprio Toby Dammit? (entrambe le bambine indossano la stessa veste bianca).



La mente inizia a creare collegamenti strani: “Después” s’intitola il racconto che chiude Nunca llegarás a nada, una raccolta di nouvelle dello scrittore spagnolo Juan Benet (di cui scrissi anche qui tempo fa). Ebbene, come si conclude questo racconto, dal titolo ambiguo (“Dopo”, in italiano)? Con l’apparizione fantasmagorica di una palla di un qualche bambino che galleggia sull’acqua che sta per inondare una strana casa abitata da strani vecchi che passano tutto il tempo a bere e a contemplare un’orologio che non funziona…Un altro bambino, presente nel momento in cui l’acqua inizia ad invadere il pavimento, si getta in mezzo alle pozzanghere per accalappiare proprio questa palla che sembra venire dal mondo dei morti…C’è anche una mano che – non si sa bene come né perché – fuoriesce dall’acqua e fa scampanellare un campanello di una porta di un giardino di non si sa più bene quale casa…

Juan Benet scrisse il racconto nel 1956 (o 1958 o giù di lì). In teoria, se ci atteniamo alla lista degli artisti citati, lui dovrebbe essere il primo; poi c’è Mario Bava; poi c’è Federico Fellini; infine c’è Hideo Nakata.

Come spiegare tante coincidenze? Cosa rappresenta davvero per noi una palla bianca che rotola sul pavimento (o che vi rimbalza, producendo il noto suono) e che sembra rotolare (o rimbalzare) a prescindere dal bambino (o dalla bambina) che dovrebbe metterla in moto?



Freud di sicuro qualcosa avrebbe da dirci in merito…Io non lo so. Io so solo che la cinefilia è una brutta bestia, a volte…e che Mario Bava è meglio vederlo di giorno, perché di notte, fa davvero paura.



Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...