martes, junio 23, 2020

CESENA-RIMINI


L’altro giorno mi è successa una cosa davvero strana e tenera ed emozionante. Una cosa che non mi aspettavo. Del tutto fuori luogo rispetto sia al momento sia allo spazio fisico in cui mi trovavo.

L’altro giorno, a mezzogiorno in punto, un amico italiano che vive in Spagna da più anni di me si è sposato con sua moglie, una spagnola, la tipica spagnola dalla pelle scura, gli occhi verdi bellissimi e luminosi, le curve al posto giusto e invitanti, il sorriso sempre molto accattivante sul volto… E mentre eravamo lì mezzo imbarazzati, perché nessuno sapeva bene se stringere la mano e abbracciare lo sposo e abbracciare o baciare la sposa (mentre partivano varie gomitate tra gli altri parenti e gli amici più stretti), ecco che mi ritrovo nel bar accanto al Municipio in cui si è svolto il rito civile e finisco proprio a pochi metri dallo sposo. E così, tra una birra e l’altra, gli chiedo quanto dista Cesena (la sua città natale) da Rimini (dove io e gli amici d’infanzia eravamo soliti andare in vacanza con il treno regionale che ci impiegava mezza giornata per attraversare mezza Italia). Una domanda assurda, sciocca, semplicissima, se vista con freddezza e dall’esterno. Ed ecco che lo sposo si emoziona: “Non è tanto distante, anzi, una trentina di chilometri, anche se…è una strada brutta, piena di curve…ho perso tre amici su quella strada…”. E da sotto gli occhiali da sole vedo che gli spuntano due lacrime, mi chiede scusa, si è davvero emozionato a ricordare gli amici morti sulla strada e allora, accidenti, provo a cambiare argomento, provo a stemperare la tensione: “Non ci pensare, dai, oggi bisogna festeggiare, oggi è il giorno del tuo matrimonio, dobbiamo ridere e non piangere” (parole vane, anche un po’ ipocrite, ma a volte ci vuole, l'ipocrisia a volte ci salva).

Lui si asciuga il volto con un fazzoletto. La sposa ci vede, fa una faccia stranita, si starà chiedendo perché suo marito stia piangendo, proprio ora, proprio oggi, proprio accanto a me, che sono un suo connazionale. E allora si avvicina, lo abbraccia  e lo bacia, davanti a me, che sorrido loro, evviva gli sposi, lei è convinta, è assolutamente certa che lo sposo piangeva dall’emozione per lei, per averla portata all’altare (anche se si sono uniti davanti al Sindaco e tramite il rito civile) e poi scoppia a ridere e ci propone di farci uno spritz, sì, proprio così, uno spritz in Spagna. Lo sposo mi dice di aspettarlo lì, entra nel bar e ne esce poco dopo con una bottiglia di Aperol. Beviamo, in nome dell’Italia e dei suoi sapori, dei suoi aperitivi tipici, e dei tempi in cui ci vivevamo entrambi…

Non dirò mai alla sposa il perché di quelle lacrime, ovviamente. E spero che lo sposo dimenticherà presto la mia piccola gaffe innocente. La distanza che separa Cesana da Rimini. I giochi sulla spiaggia. Il sole e il mare dell’estate.


martes, junio 16, 2020


Recensioni spontanee




Questa mattina una mia cara collega e amica romana mi scrive per avvisarmi che è stata appena pubblicata una mia recensione su Il colibrì di Sandro Veronesi su una rivista letteraria a tiratura nazionale e di origini partenopee. Vado a controllare ed in effetti eccola lì, la recensione, stampata in modo impeccabile (nella versione online della rivista; poi mi manderanno anche quella cartacea), con tre foto pertinenti: due dell’autore (entrambe in bianco e nero) e una del libro recensito (a colori, con quel giallo che sembra quasi fluorescente).

E allora mi sono chiesto cosa succederebbe se Sandro Veronesi un giorno, per caso, la leggesse; cosa ne penserebbe, visto che, pur essendo un suo fan, non è che mi sia sprecato in elogi o salamelecchi (salamelecchi? Diosanto, da quanti secoli non usavo un simile termine? Credo, comunque, che qui sia azzeccato).

E allora, non contento, ho scritto al suo editore, a La Nave di Teseo, e ho spiegato ai responsabili della stessa che mi sarebbe piaciuto far pervenire la recensione all’autore, dato che, tra l’altro, manca davvero poco per la consegna del prossimo Premio Strega e io ne sarei felice, ovvero, sarei davvero contento che a vincerlo fosse lui, Sandro Veronesi.

L’ho fatto non solo e non tanto perché davvero mi farebbe piacere che uno come Sandro Veronesi leggesse quanto ho avuto da (ri)dire del suo libro, ma anche e soprattutto per fare un piccolo esperimento: vedere se si conferma la leggenderia lentezza o mutezza degli editori nel (non) rispondere al povero malcapitato che si azzarda a porsi in contatto con loro…come se gli editori fossero dei Re inespugnabili ed intoccabili...

Ne parlai anni fa, proprio in questo "diario di bordo", se non ricordo male; tutti gli editori (e non solo quelli italiani) hanno una certa non celata tendenza a non prendere in considerazione nessuno che si provi a scrivere loro (e non mi riferisco ovviamente solo agli scrittori in erba o potenziali che, poverini, mandano i loro “parti” in attesa di riscontro e, magari, di pubblicazione – cosa difficilissima, chiedete ad Antonio Moresco, e leggete le sue bellissime e struggenti ed incredibili Lettere a nessuno, apparse per Bollati Boringhieri nel 1997 e poi ripubblicate e ampliate da Einaudi nel 2008 - per farvene un'idea).

E comunque: ormai il dado è tratto. Ormai il danno è fatto. Ormai ciò che ho (è) scritto è scritto e non si può più tornare indietro. E se poi quella recensione non dovesse leggerla nessuno, pazienza, non me ne farò un cruccio (cruccio?). E se poi davvero Sandro Veronesi dovesse vincere il prossimo Premio Strega, io ne sarò sinceramente contento. E felice per lui. Perché se lo merita. E perché credo che, tra i finalisti, sia quello che ha scritto il romanzo più interessante. E poi staremo a vedere se anche La Nave di Teseo si rivelerà una roccaforte inavvicinabile o se, al contrario, saranno più educati degli altri.

martes, junio 09, 2020

Letture a spizzichi (e bocconi)


In questi giorni di letture a spizzichi e bocconi (ormai è da mesi, forse proprio dall’inizio della pandemia, che non ho più modo di poter leggere in modo continuo e disteso, senza interruzioni e senza strilli di fondo), mi è arrivata un’email che mi ha risollevato un po’ la morale. Mi scrivono dagli USA (in questi giorni incendiati dalle sacrosante proteste e manifestazioni anti-razziste e in ricordo di George Floyd, il ragazzo nero ammazzato per soffocamento da un poliziotto americano bianco che gli ha tenuto sul collo il ginocchio per otto lunghi minuti e senza pietà) chiedendomi se me la sento di valutare un saggio che sarebbero pronti a pubblicare nella loro collana dedicata alla lingua e alla letteratura spagnola. Chi mi scrive è l’assistente dell’editore e ha un nome strano, Clovis, una donna, deduco. M’invia in allegato le prime 15 pagine del saggio in questione e le rispondo dicendo di sì, che questo libro promette, che mi sembra un’ottimo libro, dall’impianto serio e gli spunti interpretativi sul soggetto oggetto dell’analisi piuttosto originali. Nell’email Clovis mi anticipa anche che, se dovessi accettare l’incarico, mi verranno retribuiti 250 dollari da spendere in libri della loro casa editrice (non solo quelli che fanno parte della collana dedicata all’area ispanistica).

Ecco: ricevere un messaggio del genere in un periodo come questo (Clovis mi chiede anche come sto, augurandosi tutto il meglio per me e per i miei affetti più vicini), venire contattato da un’importante casa editrice americana per valutare e giudicare i contenuti di un saggio che parla di letteratura (e di teoria della letteratura), non può non fare bene all’animo. Uno non può non sperare che ci sia ancora una luce, in fondo al proverbiale e famoso tunnel. Uno non può non pensare che, toccato il fondo, dovremo per forza di cose risalire, lunga la scala dell’evoluzione culturale e sociale. Insomma, che certi ingranaggi e meccanismi ancora funzionino, nonostante i morti per coronavirus, e gli omicidi a sfondo razzista, e quelli a sfondo sessista, e quelli di matrice terrorista, e le guerre, e le razzie, e le ingiustizie più impensabili che tutti (più o meno) possiamo immaginare nel corso della nostra vita quotidiana (più o meno) al riparo dal dolore più cocente e distruttivo, ecco, che tutto ciò ancora accada, mi fa pensare che davvero non siamo giunti all’Apocalisse, che ancora non siamo sulla via dell’estinzione. Perché fino a quando l’uomo sentirà il bisogno di nutrirsi di libri, di cultura, di letteratura, di bellezza, insomma, ecco, fino a quando l’uomo avvertirà questo bisogno non commerciabile né pubblicizzabile come tutti gli altri oggetti che ci circondano, allora ci sarà ancora speranza su questo pianeta. E chissà che qualcuno non s’imbatta nel saggio su un autore spagnolo che io avrò valutato e giudicato in questi giorni di caos, incertezze e finto ritorno alla normalità (o alla “nuova normalità”, come dicono taluni con ipocrisia).


lunes, junio 08, 2020

Edoardo Albinati



In questi giorni di letture a pezzi, fatte nei pochi momenti di ozio e tranquillità, invece di leggermi tutti gli altri titoli dell'edizione di quest'anno del "Premio Strega", ho iniziato a leggere il tomo La scuola cattolica di Edoardo Albinati (con cui vinse proprio lo "Strega", nell'edizione del 2016) e non c'è modo di staccarmi dalla voce che l'autore è riuscito a inventare in questo romanzo.

Io Albinati non lo conosco; o meglio, l'ho sentito dal vivo solo una volta, in un incontro organizzato alla "Sapienza", quand'ero studente, o forse (perché non lo ricordo in modo netto e chiaro), in una conferenza organizzata in qualche Biblioteca pubblica, tra le molte di cui dispone Roma, fortunatamente.

Eppure, ecco, leggendolo, mi sembra di sentire la sua voce, proprio il timbro, il tono, l'accento, come se invece che leggerlo, lo stessi ascoltando mentre parla. E questa cosa non è dovuta solo ed esclusivamente al fatto che l'autore adotta una lingua che ha molto a che vedere con il "parlato", ovvero, con la "lingua orale", ma anche e soprattutto perché è stato in grado (e ci riescono in pochi) a plasmare tutto se stesso nella scrittura, per cui, alla fine, certi tic, certi modi di dire, certi vezzi, certi giri di parole e della frase, insomma, ti diventano familiari e ti viene da pensare che, ecco, solo Albinati può permettersi il lusso di scrivere certe cose ("Giriamo insieme questa pagina, dunque", mi sembra di ricordare che scriva alla fine di un capitolo; manco fosse Proust, e però sembra Proust, un Proust ironico e più metaletterario, ma Proust, in fondo in fondo, ovvero, un autore che - attraverso la maschera del narratore - si conquista, vincendo a man bassa, la fiducia del lettore, per cui a partire da un certo momento in poi l'autore - tramite questa maschera - può decidere d'intraprendere qualsiasi svincolo o sentiero narrativo e uno è disposto a seguirlo ovunuqe, anche in capo al mondo...).

Forse accadde proprio alla Biblioteca di San Lorenzo; forse alla "Basaglia", a Primavalle (ci facevo lezione da supplente, per un certo periodo della mia vita da precario); forse alla Feltrinelli di Largo Argentina, insomma, non ricordo il luogo concreto, ma sì ricordo che Albinati ci parlò della sua esperienza di insegnante d'Italiano nel carcere di Rebibbia. E mi colpì molto la sua umiltà (indossava una maglia bianca e un paio di jeans, con le scarpe da tennis - o forse erano le polacchine - e una giacca leggera perché era primavera, se non estate piena). Sì, mi sorprese che uno scrittore potesse parlare in quel modo dimesso, quasi sottovoce, con estrema chiarezza, ma anche con grande umiltà, del suo ruolo di insegnante e scrittore insieme, delle sue esperienze a contatto con i carcerati, con gente dalle vite spezzate o irrimediabilmente compromesse, dei suoi ricordi di ragazzo del Quartiere Trieste, una delle zone "bene" di Roma, che torna, prepotentemente, quasi come un altro personaggio protagonista, proprio nelle pagine di questo romanzo-monstre, un tomo di quasi 1300 pagine, un libro lunghissimo ed enorme, quasi osceno nella sua mastodonticità (si dice? Sto scordando pure l'italiano). 

E quindi, dicevo, ecco che mi ritrovo a leggere (a pizzichi e smozzichi, ma con grande passione e trasporto) La scuola italiana, un romanzo che, a partire da un fatto di cronaca (nera) realmente accaduto, parla di tutto: dell'amore, del sesso, del tradimento, della famiglia, della memoria, della politica, della violenza, della paura, della borghesia, dell'oblio, della moda, dei rapporti uomo e donna, dell'eterna guerra tra i sessi, della religione e di Dio, del peccato e dell'assenza del senso del peccato, della possibilità della scrittura di aiutarci a capire, anche se nessuno conosce se stesso, è questo che dice il narratore, a un certo punto, contraddicendo il famoso detto socratico.

E allora bravo, Edoardo Albinati, per averlo scritto, questo "mostro". E grazie per aiutarci a capire, anche se siamo coscenti che non capiremo mai niente del tutto e per sempre.


Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...