sábado, diciembre 22, 2012

E' Natale e siamo tutti più buoni... (io non direi)




E così, senza quasi accorgercene, non solo il mondo non è finito, come invece prevedeva la famosa profezia dei Maya, ma tutti insieme siamo arrivati alle soglie di un altro Natale, e lo si sa, ormai, è una sorta di ritornello, a Natale siamo tutti più buoni.

Se c'è però una cosa che mi urta i nervi è proprio il buonismo e l'ipocrita atmosfera da "volemose bene" legati a questa festività. Io personalmente mi dissocio e ne approfitto sempre per peccare il più possibile, per trattare male i familiari, per andare, un minimo, in controtendenza (forse ha ragione quella cara amica - e collega - che sostiene che io sia "anarchico dentro").

E così, anche quest'anno, in questi ultimi giorni dell'anno, approfitterò delle meritate vacanze natalizie per isolarmi dal mondo esterno, prendere a parolacce tutti i consenguinei che si azzarderanno ad invitarmi a giocare a carte o a tombola a casa loro, per peccare di lussuria nei modi più strambi e arzigogolati possibili, per spegnere la tv ogni volta che vi farà la sua apparizione Benedetto XVI e per riguardarmi i migliori film horror, gore, splatter e porno della stagione (Annette Schwartz, oh, Annette Schwartz, che mattacchiona che è questa attrice-regista tedesca che ne sa davvero una più del diavolo; vorrei scrivere un racconto su Annette, ma come si fa? Bisognerebbe avere la stessa fervida immaginazione di James Joyce quando inviava le sue lettere "erotiche" a sua moglie, povera Nora Barnacle, cosa ha dovuto sopportare in vita, quella porella...).

E non me ne frega niente dei regali. Non ne farò né mi farà piacere riceverli. Tanto, a che servono? Solo a occupare spazio (a meno che uno non si fa furbo e li ricicla al volo).

Gli unici parenti che andrò a visitare saranno i miei nonni; sono perfetti se uno vuole suicidarsi o pensare al peggio, hanno il dono di trasmetterti l'ansia, la paura e l'angoscia esistenziale, sono dei maestri in quanto a pessimismo cosmico ("non c'è nemmeno una notizia buona da darti, caro mio", questo fu il prologo del discorso di mio nonno il Natale scorso - e mia nonna, giusto per rincarare la dose: "Io quando mangio penso sempre a voi, voi ce la fate a mangiare? Ci arrivate a fine mese con quel poco che guadagnate? Ah, che sacrifici! Ah!").

E poi spegnerò la luce e resterò a lume di candele fino a notte fonda a leggermi i diari di John Cheever (Una specie di solitudine - Milano, Feltrinelli, 2012 - contiene pagine memorabili, notevoli, sorprendenti, davvero liriche su chi siamo, su Roma, su come ci percepiscono gli americani, sul matrimonio, sui rapporti sentimentali in generale, sui figli, sull'amore, sulla follia, sull'alcolismo, sulla bellezza) e a domandarmi anch'io, con lui, se la solitudine non sia, in fondo, l'unica condizione che ci permette di ascoltarci, e di capire chi siamo, e di trarne le dovute conclusioni: nasciamo soli, moriamo soli.

E' Natale, sì, e siamo tutti più buoni... certo, come no...

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