Rondini, afa e insonnia e nostalgia di casa
E’ quasi mezzanotte, nella città spagnola in cui
mi trovo a vivere, e oggi abbiamo toccato quota 43 gradi. Un caldo asfissiante
piuttosto normale da queste parti (siamo alla stessa altezza di Messina o di
Palermo, o di Catania, mi pare, ora non ricordo più bene e, comunque, a pochi
kilometri dalle coste africane). E come ogni fine settimana gli abitanti della
città in cui mi trovo a vivere fuggono e abbandonano le loro case alla
solitudine e all’afa per spostarsi in blocco verso il mare e la spiaggia e un po’ di mini-vacanze
refrigeranti (molti qui hanno la doppia casa: quella “normale” di città e
quella “estiva” in riva al mare).
Oggi sono tornato anch’io dal mare, ma l’ho
fatto prima del tempo. Volevo sorprendere la città mentre dormiva all’ora della
siesta. Un deserto. Un silenzio irreale. Nemmeno i cani in giro sui
marciapiedi. Nemmeno l’ombra di un essere umano nei bar o nelle terrazze del
centro. Nemmeno i mendicanti che ti chiedono l’elemosina col sorriso (qui
perfino i barboni sembrano essere influenzati dal clima mediterraneo e solare,
un’allegria che si respira a cielo aperto).
Il palazzo in cui si trova l’appartamento in cui
vivo è vuoto. Molte finestre sono chiuse (le tapparelle abbassate come se il
proprietario fosse morto all’improvviso o avesse abbandonato di fretta e furia
il luogo del delitto). Non si sente nemmeno una mosca volare.
Mangio una macedonia fredda. Uno yogurt Danone
al cocco con i cereali (questi ultimi li aggiungo io). Un caffè decaffeinato
per riuscire a dormire (anche se so già che è tutto inutile e che dovrò
sorbirmi l’asfissia e la compagnia fastidiosa e, a tratti, ingombrante
dell’insonnia).
Ascolto Alex Britti ripescato da una vecchia cartella
del computer italiano. Ogni tanto apro il mio HP italiano ed è come aprire la cassa del tesoro: ricordi, foto,
canzoni, vecchi lavori che oggi riscriverei in tutt’altro modo e con tutt’altro
tono, racconti iniziati e mai portati a termine.
Parte “Prendere o lasciare” e mi viene in mente
– non so perché – uno dei miei angoli preferiti della Capitale, e cioè, il
Colle Oppio, a due passi dal Colosseo, di fronte al Colosseo, a due metri da
Via Merulana, anzi, tra Via Merulana e il Colosseo (Via Mecenate è la strada
più tranquilla di quella zona, e anch’essa, una delle mie favorite, sembra
regnarvi una calma apparente stranissima, trattandosi di Roma – ma chi legge
questo “diario di bordo” sa che a Via Mecenate ho dedicato già molte parole, in
passato).
E ricordo che a Colle Oppio ci ho baciato almeno
due ex. Una era spagnola anche lei (come la mia attuale compagna d’avventure).
L’altra era romana d’adozione, ma campana di origini. E forse c’è pure una
terza, ma non era una fidanzata, forse era solo una turista, una storia nata in
un pub e – chissà come e chissà perché – terminata a baciarsi sotto il cielo estivo
di Roma, seduti su una panchina del Colle Oppio.
Nostalgia d’Italia? Non direi. E allora? Perché
l’altro giorno ho fatto una lasagna? Io, un inetto in cucina, un perfetto
incapace con mestoli e pentole, che mi metto a fare il ragù (3 ore di cottura)
e compro le sfoglie della Barilla confidando nella marca? E perché il giorno
dopo ho proposto alla mia compagna d’avventure di comprare tutto l’occorrente
per fare un tiramisù? Io, un tiramisù? (dall’ultimo viaggio in Italia ho
comprato perfino l’Amaretto di Saronno – doc – da aggiungere come tocco di classe
o trucco da grande chef per inzuppare i Savoiardi – quelli non ci sono di marca
italiana, o almeno, non li ho mai trovati qui in Spagna).
Smetto di ascoltare Britti, o meglio, abbasso il
volume, e mi pare di sentire (a mezzanotte) il cinguettio tipico delle rondini.
A mezzanotte in punto. Le rondini.
A Roma era piuttosto normale sentire il verso
dei gabbiani. Ce ne sono molti che svolazzano intorno alle bandiere dell’Altare
della Patria. Si vedono anche dal Colle Oppio. Squadre di gabbiani che planano e
si riposano sopra quella che Peter Greenaway definì “la macchina da scrivere”
(e ci girò anche un film, all’interno, anche se ora non ne ricordo il titolo).
Da quant’è che non guardo un film di Peter
Greenaway? Che fine ha fatto il regista di Il
cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante e di I misteri del giardino di Compton House?
Il vivere in Spagna mi sta rendendo forse meno
cinefilo?
Smetto di ascoltare le rondini (a mezzanotte? Ma
siamo proprio sicuri? Non credo di avere le allucinazioni) e provo a coricarmi
con un buon libro a farmi compagnia. Un discreto mattoncino. Quasi 600 pagine
di scrittura fitta fitta nella versione tascabile dell’Einaudi che maneggio da
qualche giorno. E’ il romanzo con cui Walter Siti ha cominciato la sua carriera
da scrittore. Scuola di nudo, scritto
con uno stile incredibilmente plastico, mobile, lirico, musicale, sorprendente
e, a tratti, sinceramente indescrivibile. Siamo attorno agli anni 90 (il
romanzo uscì nel 1994). Walter (così si chiama l’io narrante e protagonista
assoluto e – a quanto pare – autobiografico della trama) ci narra i suoi alti e
bassi lungo la piramide medievale dell’Università italiana (Pisa, dove feci il
dottorato, qui riconoscibilissima, anche per il dialetto che il narratore mette
in bocca ai personaggi pisani), i suoi scontri con i colleghi, le lotte
intestine senza pietà per il nemico e, soprattutto, i suoi amori estremi per
una variegata tipologia di uomini (dai culturisti alle marchette, dai giovani
svampiti ai coetanei disillusi che magari hanno moglie e figli ad aspettarli a
casa, i carabinieri finto-machos che
poi se la fanno col prof. consenziente).
Leggo e smetto di ascoltare il cinguettio delle
rondini. Ora è il ventilatore a dettare il ritmo della nottata. Quando
all’improvviso m’imbatto nella tipica frase storica che la mia mano non può
proprio fare a meno di sottolineare con la matita:
“Intuisco che non potrò vivere in un mondo dove
tutto ha conseguenze” (cit., p. 218).
Che tristissima verità. Nel nostro mondo tutto
ha conseguenze. Per questo Pascal diceva che le disgrazie nascono
dall’incapacità dell’essere umano di starsene seduto, da solo, dentro la
propria stanza. O forse non era così o non lo dice Pascal. Ma che importa?
In realtà, a differenza di Walter, io credo di
trovarmi a mio agio proprio perché so che nel mondo tutto ha conseguenze. Il
bello è che non sempre si sa che tipo di conseguenze scaturiranno da che tipo
di esperienze si faranno. E io sono pronto a tutto. Io adoro ogni tipo di
esperienze. Non ho paura delle rondini a mezzanotte, io…
L’insonnia, quella sì, ha la meglio sui miei
nervi. Lei sì che mi fa paura. Ma andiamo avanti:
“Riesci ancora a distinguere tra materiale e no?
Io ho l’impressione che ormai le cose siano la proiezione pornografica di se
stesse; chi oggi volesse fare della pura poesia descrittiva, temo che
rischierebbe un processo per oltraggio al pudore” (id., p. 316).
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