Congressi
(organizzarli)
Dunque, per la prima volta in vita
mia, decido di proporre un congresso, una giornata intensa con 7 interventi da
parte di esperti di Storia, Sociologia, Scienze delle Comunicazioni, Lettere, Lingue (inglese e francese) e Filosofia.
Mai proposto nulla e mai
organizzato nulla di simile prima; per fortuna che in questa avventura mi
accompagna Sonia, che è una segretaria perfetta: tutte le beghe burocratiche
che ci rallentano il lavoro (e sono tante e sono varie e sono pure molto variegate
– alcune fastidiose), lei le risolve in un batter d’occhi, spianandomi la
strada verso il traguardo finale.
E così, per la prima volta in vita
mia, mi trovo costretto a scegliere uno slogan, un’immagine per i dépliant
della pubblicità dell’evento, l’ordine in cui dovranno parlare i 7 colleghi
delle specialità succitate…
Non è facile: basta sbagliare una
nota e si stona; mi affido alla fortuna e al criterio del “buon senso” o anche
detto “senso comune”. Io non so (non lo so ancora) cosa diranno i miei colleghi
invitati, e però so che a tutti ho chiesto la stessa cosa, a tutti ho proposto
di riflettere sullo stesso tema: come siano diventati lettori “forti”; quali
opere hanno contraddistinto la loro adolescenza e giovinezza fino a trasformarli
e a convertirli in persone che non possono smettere di leggere (opere
letterarie di qualità, si spera e si suppone).
E insomma, anche con l’aiuto di
Sonia, riesco a strutturare un programma in cui si va dalla letteratura
classica (i Greci e i Latini), fino alla Letteratura Inglese e Francese
contemporanee, passando per quella prodotta in America del Sud a quella che si
legge oggi in Spagna (mi manca qualcuno che parli di Letteratura Italiana e di
quella Tedesca; ci penso e spero di poter rimediare l’anno prossimo, quando
proverò ad intervenire anch’io sul tema in oggetto d’analisi e quando proverò a
coinvolgere qualche collega tedesco di Lingue).
E insomma, alla fine, io e Sonia
riusciamo pure a scegliere quella che ci sembra l’immagine migliore per il
congresso, quella di una ragazza immersa in una luce crepuscolare, seduta su un
prato, con il volto immerso tra le pagine di un tomo e circondata da altri
mattoncini stampati (diciamoci la verità: è un’immagine utopica, oggigiorno è
quasi impossibile vedere una giovane così concentrata nella lettura di un libro
a stampa, è un sogno, qualcosa d’irreale, ma la lasciamo così, in questo
congresso vogliamo trasmettere il virus benigno della lettura, vogliamo essere
fiduciosi e ottimisti, lasciamola così questa immagine di copertina quasi
bucolica…).
E alla fine arriva il giorno tanto
atteso (dopo mesi e mesi di preparazione, di burocrazia, di lotta fino
all’ultimo modulo per avere il permesso di occupare l’Aula Magna
dell’Università, dopo mille trafile e mille preghiere per ottenere un minimo di
fondi – non di solo libri vive l’uomo, ci vuole pure il pane, ne converrete). E
così, tremando, mi appresto ad entrare in scena: i microfoni sono tutti pronti,
le targhe plastificate con i nomi dei conferenzieri tutte luccicanti, le sedie
tutte pronte per accogliere il maggior numero possibile di alunni e colleghi
che vengono dalle altre Facoltà e che, si spera, apprezzeranno e faranno
domande interessanti sull’argomento “lettura”.
Ed è mentre m’appresto a disporre
le bottigliette d’acqua accanto a ogni targhetta plastificata che una
giornalista mi chiede il permesso d’intervistarmi. Intervistare me! Ora! In
Aula Magna! Era l’ultima cosa cui potessi pensare in questo momento… E
comunque, siamo attori, dobbiamo recitare la nostra parte: mi controllo il nodo
alla cravatta, mi rassetto un po’ i capelli, e ciak, si gira. Provo a mantenere
un tono di voce neutro; provo a spiegare in poche frasi in cosa consiste questo
congresso, che temi verranno sviscerati, quali sono gli obbiettivi accademici
che ci siamo posti. Dopodiché si comincia: do inizio alle danze. Faccio i
dovuti ringraziamenti; e presento i “giocatori” di cui dispongo; li schiero in
campo e diamo inizio alla partita…
Emozioni indescrivibili. L’Aula
Magna è colma. Gli studenti fanno domande molto intelligenti. I conferenzieri
fanno interventi di alto livello (un livello che non mi aspettavo). Alcuni mi
lasciano a bocca aperta per quanto impegno ci mettono nell’esporre in maniera
chiara il loro punto di vista. Applausi e richieste di bis da parte del
pubblico. Alcuni colleghi mi stringono la mano per congratularsi per l’iniziativa.
Il giorno dopo qualcuno mi manda il
link a un articolo apparso su un giornale locale nella sua versione “online”.
Parlano di me. Di noi. Di me e di Sonia e del congresso appena svolto.
Riportano le mie parole. E mi sembra strano, quasi alienante, vedere scritte le
mie parole su un supporto “online” che non controllo io. E di fatto, ci scappa
un refuso orrendo: la giornalista mette una virgola lì dove andava un “no”;
trasforma in affermativa una mia frase negativa. Vorrei urlare di rabbia. Come
cazzo si fa a contraddire la frase che apre il discorso con quella che lo
chiude? Poi mi calmo. E rifletto: si parla di noi, del congresso, e se ne parla
in termini più che elogiativi. C’è sempre tempo per scrivere alla redazione e
chiedere una rettifica (pregarli di togliere quel refuso enorme ed orrendo).
Giro il link a Sonia. E non appena lo apre, salta di gioia. Mi abbraccia forte
e mi dice “grazie”. Sono io che la devo ringraziare. Perché ha saputo spianare
la strada verso la meta finale. Ci riabbracciamo e ci diamo appuntamento per la
prossima sfida. La prossima volta inviteremo a parlare anche qualcuno di
Letteratura Tedesca. E di quella Italiana, se posso, mi occuperò io. Queste sì,
le possiamo definire “soddisfazioni”.