sábado, marzo 30, 2024

Letture pasquali

Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste dal calendario (cenoni e pranzoni cui è difficile sottrarsi, a meno che uno non decida di diventare improvvisamente un eremita).


In Don Chisciotte e i suoi fantasmi (Palermo, Sellerio, 2023), l'adorato e ammirato Alberto Manguel mi ricorda l'importanza della scelta di Miguel de Cervantes di "inventare" un autore arabo in quanto "storico" che narra le vicende di Don Quijote de la Mancha. Scegliere un arabo (un infedele, agli occhi della Spagna e della Chiesa di Roma del XVII sec.) è un atto di ribellione notevole nei confronti del "pensiero dominante". È paradossale che a partire dal cap. IX della Iª Parte del romanzo leggiamo le gesta del folle idalgo grazie alla traduzione dall'arabo allo spagnolo di un autore originale "infedele", uno che pratica la religione islamica, nemico dello Stato, ma anche della religione di Stato... Perché questa scelta così azzardata? Perché questo trucco letterario?


Manguel sostiene che Cervantes si cali nei panni dell'Altro per invitare i suoi lettori a guardare la realtà da un punto di vista straniante. E l'Altro non è solo l'arabo, ma anche il folle, chi fuoriesce dalla lettura "standard" e razionale della realtà, chi sa guardare il rovescio dei fatti e delle persone...


Tutto ciò determina anche la vivacità e la vitalità del testo cervantino. Chi legge Don Quijote oggi si rende conto del fatto che il libro è ancora attualissimo, che non c'è personaggio o episodio che non possa essere ricollegato ai drammi, alle illusioni, alle paure che proviamo anche noi, lettori e cittadini del XXI sec. E poi c'è questa grande verità:  (id., p. 71): "il tempo di don Chisciotte è un tempo vivo, fertile, che la nostra coscienza va creando via via che lo creiamo"...e di quanti classici si potrà dire lo stesso?


Parla di tempo (e di spazio) e, soprattutto, di punto di vista all'interno del testo letterario anche Alessandro Cutrona in Questione di sguardi. Il punto di vista e la narrazione (Palermo, il Palindromo, 2020). Scritto con uno stile asciutto e grande passione, questo saggio sintetizza, ripassa e riattualizza alcune delle questioni tecniche e teoriche più spinose attorno al punto di vista e a come esso agisce determinando il senso dei testi letterari. E torna l'ombra lunga di Cervantes (e la sua scelta di "inventarsi" un Altro come Cide Hamete Benengeli) sin dalla p. 15: "Quando ci sediamo e siamo intenti a leggere un libro, seppure inconsapevolmente, stiamo abbandonando il nostro punto di vista per adottarne un altro, uno diverso dal proprio: assumiamo un'altra posizione per metterci nei panni dell'altro".


E che stimolanti risultano allora i punti di vista stranianti che hanno inventato maestri come Kafka o Collodi, Henry James o Joyce, Pirandello o Giorgio Bassani (autore che devo assolutamente riscoprire perché, al di là del magistrale Il giardino dei Finzi-Contini, è autore di racconti che mi attirano in modo davvero viscerale).


E poi Donatella Di Pietrantonio, che con L'età fragile (Torino, Einaudi, 2023) mi fa rivivere un fatto di cronaca nera avventuo in Abruzzo con uno stile che non mi convince, anche se ne riconosco l'obiettiva originalità; e poi Antonio Prete, le cui Carte d'amore (Milano, Bollati Boringhieri, 2022) devo ancora aprire, così come ancora attendono pazienti il Massimo Recalcati di Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa (Milano, Raffaello Cortina, 2014) e il Maurice Charney di Amarsi con Shakespeare (Palermo, Sellerio, 2022) e l'immenso Ernst H. Gombrich, con l'imponente Immagini simboliche. Studi sull'arte del rinascimento (Torino, Einaudi, 1978), uno di quei saggi che so già che mi cambieranno (per sempre) il modo di leggere l'arte e di vedere il mondo...


Le vacanze dovrebbero durare di più.

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