sábado, noviembre 05, 2016

Congressi (organizzarli)





Dunque, per la prima volta in vita mia, decido di proporre un congresso, una giornata intensa con 7 interventi da parte di esperti di Storia, Sociologia, Scienze delle Comunicazioni, Lettere, Lingue (inglese e francese) e Filosofia.

Mai proposto nulla e mai organizzato nulla di simile prima; per fortuna che in questa avventura mi accompagna Sonia, che è una segretaria perfetta: tutte le beghe burocratiche che ci rallentano il lavoro (e sono tante e sono varie e sono pure molto variegate – alcune fastidiose), lei le risolve in un batter d’occhi, spianandomi la strada verso il traguardo finale.

E così, per la prima volta in vita mia, mi trovo costretto a scegliere uno slogan, un’immagine per i dépliant della pubblicità dell’evento, l’ordine in cui dovranno parlare i 7 colleghi delle specialità succitate…

Non è facile: basta sbagliare una nota e si stona; mi affido alla fortuna e al criterio del “buon senso” o anche detto “senso comune”. Io non so (non lo so ancora) cosa diranno i miei colleghi invitati, e però so che a tutti ho chiesto la stessa cosa, a tutti ho proposto di riflettere sullo stesso tema: come siano diventati lettori “forti”; quali opere hanno contraddistinto la loro adolescenza e giovinezza fino a trasformarli e a convertirli in persone che non possono smettere di leggere (opere letterarie di qualità, si spera e si suppone).

E insomma, anche con l’aiuto di Sonia, riesco a strutturare un programma in cui si va dalla letteratura classica (i Greci e i Latini), fino alla Letteratura Inglese e Francese contemporanee, passando per quella prodotta in America del Sud a quella che si legge oggi in Spagna (mi manca qualcuno che parli di Letteratura Italiana e di quella Tedesca; ci penso e spero di poter rimediare l’anno prossimo, quando proverò ad intervenire anch’io sul tema in oggetto d’analisi e quando proverò a coinvolgere qualche collega tedesco di Lingue).

E insomma, alla fine, io e Sonia riusciamo pure a scegliere quella che ci sembra l’immagine migliore per il congresso, quella di una ragazza immersa in una luce crepuscolare, seduta su un prato, con il volto immerso tra le pagine di un tomo e circondata da altri mattoncini stampati (diciamoci la verità: è un’immagine utopica, oggigiorno è quasi impossibile vedere una giovane così concentrata nella lettura di un libro a stampa, è un sogno, qualcosa d’irreale, ma la lasciamo così, in questo congresso vogliamo trasmettere il virus benigno della lettura, vogliamo essere fiduciosi e ottimisti, lasciamola così questa immagine di copertina quasi bucolica…).

E alla fine arriva il giorno tanto atteso (dopo mesi e mesi di preparazione, di burocrazia, di lotta fino all’ultimo modulo per avere il permesso di occupare l’Aula Magna dell’Università, dopo mille trafile e mille preghiere per ottenere un minimo di fondi – non di solo libri vive l’uomo, ci vuole pure il pane, ne converrete). E così, tremando, mi appresto ad entrare in scena: i microfoni sono tutti pronti, le targhe plastificate con i nomi dei conferenzieri tutte luccicanti, le sedie tutte pronte per accogliere il maggior numero possibile di alunni e colleghi che vengono dalle altre Facoltà e che, si spera, apprezzeranno e faranno domande interessanti sull’argomento “lettura”.

Ed è mentre m’appresto a disporre le bottigliette d’acqua accanto a ogni targhetta plastificata che una giornalista mi chiede il permesso d’intervistarmi. Intervistare me! Ora! In Aula Magna! Era l’ultima cosa cui potessi pensare in questo momento… E comunque, siamo attori, dobbiamo recitare la nostra parte: mi controllo il nodo alla cravatta, mi rassetto un po’ i capelli, e ciak, si gira. Provo a mantenere un tono di voce neutro; provo a spiegare in poche frasi in cosa consiste questo congresso, che temi verranno sviscerati, quali sono gli obbiettivi accademici che ci siamo posti. Dopodiché si comincia: do inizio alle danze. Faccio i dovuti ringraziamenti; e presento i “giocatori” di cui dispongo; li schiero in campo e diamo inizio alla partita…

Emozioni indescrivibili. L’Aula Magna è colma. Gli studenti fanno domande molto intelligenti. I conferenzieri fanno interventi di alto livello (un livello che non mi aspettavo). Alcuni mi lasciano a bocca aperta per quanto impegno ci mettono nell’esporre in maniera chiara il loro punto di vista. Applausi e richieste di bis da parte del pubblico. Alcuni colleghi mi stringono la mano per congratularsi per l’iniziativa.


Il giorno dopo qualcuno mi manda il link a un articolo apparso su un giornale locale nella sua versione “online”. Parlano di me. Di noi. Di me e di Sonia e del congresso appena svolto. Riportano le mie parole. E mi sembra strano, quasi alienante, vedere scritte le mie parole su un supporto “online” che non controllo io. E di fatto, ci scappa un refuso orrendo: la giornalista mette una virgola lì dove andava un “no”; trasforma in affermativa una mia frase negativa. Vorrei urlare di rabbia. Come cazzo si fa a contraddire la frase che apre il discorso con quella che lo chiude? Poi mi calmo. E rifletto: si parla di noi, del congresso, e se ne parla in termini più che elogiativi. C’è sempre tempo per scrivere alla redazione e chiedere una rettifica (pregarli di togliere quel refuso enorme ed orrendo). Giro il link a Sonia. E non appena lo apre, salta di gioia. Mi abbraccia forte e mi dice “grazie”. Sono io che la devo ringraziare. Perché ha saputo spianare la strada verso la meta finale. Ci riabbracciamo e ci diamo appuntamento per la prossima sfida. La prossima volta inviteremo a parlare anche qualcuno di Letteratura Tedesca. E di quella Italiana, se posso, mi occuperò io. Queste sì, le possiamo definire “soddisfazioni”.

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