jueves, mayo 02, 2019

Stazione Termini (o dell'impossibilità di raggiungerla)


Come ho già scritto in questo "diario di bordo" virtuale svariate volte, ho sempre vissuto accanto a luoghi di transito o, al contrario, spazi dove i morti dormono il sonno eterno; ovvero, ho sempre abitato a pochi metri da stazioni di autobus o treni, perfino di aeroporti (con tutto il rumore o l'inquinamento acustico che ciò comporta), o accanto ai cimiteri delle varie città in cui (fino ad oggi) s'è (più o meno) svolta la mia vita (Roma, Pisa, Firenze, Salerno, Madrid, e l'attuale città del Sud del Sud della Spagna da cui sto scrivendo).

Stanotte è toccato a Roma il compito di (ri)convertirsi nello scenario del mio incubo quotidiano (ma quanti incubi faccio - e ricordo - ultimamente? Troppi!): mi trovavo in una strada desolata della periferia più periferica della capitale e non riuscivo letteralmente a ritrovare la strada del ritorno a casa, ovvero, la direzione giusta per tornare alla Stazione Termini che, effettivamente, per me, quando abitavo a Roma, era davvero il sinonimo del "ritorno a casa" (vivevo a 12 minuti esatti di camminata a piedi dalla famosa stazione ferroviaria e a 15 minuti esatti dal Colosseo una volta attraversata Via Merulana e imboccata quella che - a tutt'oggi - è per me una delle strade più belle della capitale, ovvero, Via Mecenate, a pochissimi passi dal Colle Oppio, un altro dei miei luoghi del cuore - lì ci (ri)lessi per intero Cent'anni di solitudine di Gabriel García Márquez ed altri capolavori...).

Mi avvicinavo alle fermate degli autobus, ma non passava mai nessuno; fermavo qualche passante e questi mi evitava come se avessi la peste; poi appare una mia collega, molto giovane e molto carina, la tipica spagnola con i capelli ricci e folti e gli occhi scuri e le labbra carnose e la voce possente e mi abbraccia, come se fosse mossa da tenera compassione per me: "Marta, tu sai come faccio a tornare a Termini? Da che parte è?". E Marta mi risponde: "Il cammino è tortuoso e labirintico"; o "Troppo labirintico per te"; o "C'è un labirinto tortuoso prima di arrivarci, stai attento".

Poi vedo una macchina del car-sharing, una di quelle elettriche che qualche romano usa davvero per muoversi in città senza dover spendere troppo di benzina e parcheggi. Mi avvicino, ma appare subito un uomo (senza volto) che mi avvisa: "È passata la mezzanotte, non si può più noleggiare".

E allora appare un'altra collega, anch'ella spagnola, ma bionda e dai capelli lisci, molto giovane e molto bella, anche se di una bellezza più nordica, rispetto a Marta, e lei pure mi abbraccia e mi chiede che cosa diavolo ci faccio in giro per quel quartiere sporco e brutto di Roma a quell'ora tarda della notte. Non so cosa le rispondo. Forse non apro nemmeno bocca. La prendo per le mani e la invito a distenderci tutti e due a terra, sull'asfalto. Senza parlare, iniziamo a contemplare entrambi il cielo stellato. Poi le carezzo la pancia e poi le sbottono i jeans e continuo a perlustrarne il corpo, la pella liscia, i peli del pube, l'umidità della vulva. Mi sento felice, anche se dura poco, perché poi mi ritrovo di nuovo accanto alla fermata dei bus fantasma. Leggo vari numeri, ma non ne memorizzo nemmeno uno. Poi un'autista tipico romano mi dice in dialetto che "hai voglia a te pe tornà giù a Termini!". Come chi esclamasse: " Campa cavallo!". E allora la disperazione, l'angoscia, la frustrazione s'impossessano di nuovo della mia mente e del mio corpo; cani randagi a zonzo per le strade notturne; vialoni pieni di alberi mezzo abbattuti; luna piena e stelle in cielo, come nel set di alcune scene notturne di Profondo Rosso di Dario Argento; provo a camminare, ma tanto lo so che sto girando in torno, che mi sarà impossibile ritrovare la strada per tornare (a piedi) a Termini...

Mi sveglio immerso nel sudore diaccio degli incubi che ci fanno sospirare. In parte felice per aver toccato la mia bella collega (anche se solo su di un piano fittizio, onirico) e in parte angosciato, tristissimo, per non aver saputo portare a termine un'azione che, quand'ero romano anch'io, riuscivo a fare anche due o tre volte al giorno.

Che significa tutto ciò? Perché uno sogna di non riuscire a camminare verso un luogo che gli è ultra-familiare? E che c'entra l'intermezzo erotico con la seconda collega e quello enigmatico con la prima?

Una settimana fa mi trovavo in Italia e Roma l'ho soltanto sfiorata, perché una volta atterrati a Fiumicino, io e la mia compagna di avventure abbiamo subito preso un bus per andare a vedere i miei nel paesino arroccato sui monti abruzzesi di cui dò nota nel mio profilo di queste pagine, senza, appunto, passare dal centro della capitale. Mio fratello vorrebbe comprare un appartamento in zona Centocelle, niente a che vedere con l'Esquilino dove abitavamo quand'eravamo entrambi studenti universitari.
Mia sorella mi ha fatto vedere alcune puntate di Suburra, la famosa serie sui rapporti tra la Mafia, Roma e Ostia.
Ma che c'entra Termini? Che c'entrano le due colleghe? Perché tanta frustrazione nel non riuscire ad andare alla Stazione Termini?

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