martes, enero 07, 2020

In qualche luogo, dal passato

La mattina tersa e fredda del 6 di Gennaio 2020; sì, è questa la data che il caso (o il destino) ha scelto affinché rivedessi e riabbracciassi (dopo più di 20 anni) il mio Prof. d'Inglese, colui che mi ha trasmesso la passione per la letteratura e che, in parte, ha contribuito a che diventassi ciò che sono oggi, un altro Prof. con la passione per la letteratura e i libri e il cinema e la cultura, in generale...

Mi accoglie seduto in poltrona, con un cappellino di lana in testa, lo sguardo vispo, malgrado la malattia e la cura per la malattia, quella chemioterapia che gli ha fatto sparire i pochi capelli che aveva; la moglie mi fa accomodare sulla poltrona di fronte, entra la luce dal giardino di casa, si sentono gli uccellini malgrado il freddo polare di questi giorni (di notte si scende sotto zero; le macchine sono ricoperte di brina e si fa fatica a mettere in moto e partire).

"Come stai, Prof.!".
"E come vuoi che stia", mi risponde, con un sorriso amaro sulle labbra secche: "guarda qua come sono ridotto, faccio fatica anche a camminare".

Ci abbracciamo come se non ci vedessimo dall'altroieri. È ancora un uomo robusto, ha ancora una presa decisa, glielo dico subito: "Sono felice di rivederti, perché se oggi sono diventato un docente universitario lo devo anche a te, a quando mi passavi i romanzi di Joyce e di Conrad sottobanco".

Piange. Si emoziona. Mi emoziona. La moglie ci redarguisce: "Vedete di smetterla, voi due, altrimenti piango pure io".

Sorridiamo tutti e tre. Si avvicina il figlio minore, che non vedevo da una vita, proprio come suo padre. Mi ringrazia di essere venuto, ma sono io che ringrazio lui.

"Allora, che fai in Spagna? Come ti trovi?".

Sono passati più di 20 anni e come si fa a riassumere le puntate precedenti? Non so da dove cominciare. Inizio dalla fine, dalla fortuna che ho avuto a trovare la donna della mia vita, la mia compagna d'avventure, in un congresso presso l'Università di Salamanca, ormai 7 anni fa...E gli parlo della prole e di com'è strano essere padre e vivere con la stessa donna che ora non è più solo moglie, ma anche madre. La moglie del Prof. annuisce, poi mi chiede se voglio un caffè. E accetto.

Poi risaliamo indietro nel tempo: come se fosse una specie di flash-back accelerato; la laurea alla "Sapienza"; il dottorato a Pisa; i viaggi in lungo e in largo per l'Italia; la stanchezza di arrivare sempre secondo ai concorsi pubblici per ricercatore; la nuova vita spagnola; la felicità di poter vivere di quello che ci appassiona. La passione che è nata nel 1994-95, quando lui mi passava Arancia meccanica di Stanley Kubrick di nascosto.

"Ma parliamo di te. Come stai? Cosa leggi? Leggi ancora molto?".
"Non molto, ma provo a stare al passo coi tempi; leggere mi aiuta a concentrarmi. Ho ancora una buona memoria. Leggo spesso Ulisse. Tu te lo ricordi la tua reazione quando vi feci leggere il monologo finale di Molly Bloom?".

Le oscenità di Molly. Le parolacce. Lo sproloquio di una donna che non ha freni inibitori. L'abilità di James Joyce nel fingersi "donna" e nel calarsi nei meandri della mente femminile. Per scoprire che, quando si tratta di narrare e di narrarsi, uomini e donne siamo uguali, ricorriamo agli stessi trucchi, alle stesse tecniche narrative, anche agli stessi sotterfugi...

"E alcune tue compagne di classe si rifiutarono di leggerlo e solo dopo io capii perché: si vergognavano, si vedevano rispecchiate nei pensieri ambigui di Molly".

Yes I said yes I will Yes.

Così finisce Ulysses di Joyce. Un canto alla vita, dopo tanta morte e angoscia e gironzolare senza meta.

"E gli italiani li leggi?", chiedo ancora.
"Non molto", mi risponde e torna a tossire, per poi aggiungere:
"Conrad, lui sì, lo rileggo spesso. Le famose "saving illusions"; le illusioni che salvano".
"La scena in cui Marlow torna dalla fidanzata di Kurtz...".
"E le dice che è morto con il suo nome in bocca, ma non era vero...The horror...The horror...".
"E la versione di Coppola in Apocalypse Now; fu quello l'aggancio per la tesina agli esami di maturità".
"E certo, e come, credi che non me lo ricordo? Io le cose importanti me le ricordo. Ho ancora buona memoria".

Arriva il caffè. E continuiamo a parlare della Spagna, dell'Italia, della crisi economica, della situazione politica dei due paesi, della comparazione tra i due stili di vita, dove si vive meglio, dove si vive peggio, e la moglie torna in cucina, ci lascia da soli. Il Prof. continua a tossire. E io mi domando come sia possibile che le conversazioni che mantenemmo tanti e tanti anni fa siano ancora qui con noi, in questa sala, nel 2020, in un nuovo anno appena inaugurato, un anno dal numero simbolico doppio, talmente avveniristico che fa impressione scriverlo, 2020...come è possibile che io stia seduto su questa poltrona a parlare del 1994 e del 95 e del 96 e del mio esame di maturità quando è trascorso così tanto tempo, così tante storie vissute lontano da lui, così tante donne amate e poi perse e tradite, così tanti treni e aerei e bus presi al volo e così tanti chilometri percorsi coi mezzi o a piedi o in bici prima di arrivare qui, in questo salone accogliente, pieno di libri, di appunti sparsi, di sedie e quadri antichi, di tappeti consumati dal tempo, di penne stilografiche oggi un po' vintage, di giornali scaduti, come è possibile...

Poi si accende una sigaretta, non prima di avermi chiesto se mi dà fastidio. Gli dico di no, anzi, sarei tentato di chiedergliene una, per fargli compagnia. Ma non fumo da 3 mesi e non mi sembra il caso di scroccargliene una proprio oggi.

Le ore scorrono via veloci. Al canto degli uccelli si unisce ora il ronzio di una lavatrice. Gli do il mio regalo per la Befana: due libri che tradussi nel 2011. Opere di autori spagnoli vissuti nel XVII secolo e che nessuno legge più (nemmeno gli stessi spagnoli). Gli dico che oggi gli studenti non leggono e che il livello si è abbassato. Mi chiede come sia possibile. E cosa fanno se non leggono. Non so cosa rispondergli. Poi arriva la moglie e mi fa intuire che posso anche andare, che forse mi aspettano a pranzo, che lei ha fatto il sugo buono e che oggi mangeranno le fettuccine. M'invitano per un prossimo pranzo insieme. Li ringrazio. Abbraccio il Prof. con affetto. Intuisco una lacrima sul ciglio. Mi trattengo e resisto: non piango. Mi fa cenno di andare, che si è fatto tardi. I miei staranno in pensiero. Mia moglie sentirà la mia mancanza. Esco e solo quando sono in macchina avverto l'impellente bisogno di scoppiare a piangere. Ma sono bravo e mi trattengo ancora una volta, perché è pericoloso guidare con le lacrime agli occhi. E mi domando di nuovo da dov'è che verranno quei ricordi così nitidi, quelle parole e quei discorsi che entrambi ricordiamo fin nei minimi dettagli; in quale luogo oscuro si nascondono i ricordi. Come fa il passato a tornare in vita nel presente con tanta precisione. Come è possibile, Prof.?

So che lui non saprebbe rispondermi. Perché il fatto che siamo mortali e che viviamo nel tempo (e del tempo) è un mistero per tutti. Lo abbraccio di nuovo col pensiero e quando arrivo a casa mia madre ha già apparecchiato la tavola. È la Befana del 2020. E io ho rivisto un pezzo di colui che fui e di colui che mi trasmise la sua passione per i libri, per la letteratura, per il cinema.

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