viernes, enero 17, 2025

 David Lynch: non lo "lyncheremo" più



Ieri sera, verso le 20:00 (l'ora di cena per me, all'italiana), mia cugina mi manda una foto di David Lynch in bianco e nero con l'annuncio della triste notizia. Al di sotto del sorriso sornione del regista e della sua mitica capigliatura invidiabile (quale quasi ottantenne può vantare una simile massa di capelli?), la frase: "David Lynch è venuto a mancare all'età di 78 anni". Ho smesso di mangiare e di leggere il messaggio. Ho solo risposto: "NO" con l'emoticon di un pianto irrefrenabile...

Oggi, 17 di Gennaio del 2025, nel Sud del Sud della Spagna in cui vivo, il tempo si è guastato e sembra accordarsi allo stato d'animo dei milioni di fans che Lynch aveva in ogni parte del globo. Fa impressione vedere quanto cordoglio hanno espresso in queste ore tante persone (note e meno note) sui cosiddetti "social"; fa impressione vedere che strano tipo di vincolo umano e intimo sembra aver generato Lynch arrivando ai cuori e alle menti di tante persone (di tante nazionalità diverse). Mi commuove leggere l'addio di Francis Ford Coppola o quello del suo attore feticcio, Kyle MacLachlan, l'attore che ha interpretato quasi tutti i ruoli protagonisti dei suoi film, oltre al mitico agente Cooper della serie Twin Peaks, una serie che ha rivoluzionato la televisione mondiale degli anni 90 a suon della domanda cruciale: "Chi ha ucciso Laura Palmer?" e con l'adozione di un linguaggio cinematografico tutto basato sul surrealismo e sulla tecnica della suspense.

Oggi, in uno stato d'animo prossimo alla depressione, di David Lynch voglio ricordare soprattutto due scene, non tra le più note e famose. Una viene da Strade Perdute (1997) o forse da Cuore Selvaggio (1990): vediamo una macchina che viaggia su una delle tipiche strade americane in mezzo al deserto, una di quelle strade lunghissime e che sembrano non avere mai fine, fino a quando, a un certo punto, l'auto sbanda e si schianta contro un albero. È notte fonda e l'unica fonte di luce proviene dai fari anteriori dell'auto. Vediamo due donne che scendono, una è vistosamente ferita alla fronte, perde sangue e sembra aver perso anche il senno, perché dice all'amica, più giovane: "Dov'è la mia borsetta? Dov'è la mia borsetta?" e si affanna a cercarla in mezzo alla polvere e ai cespugli del deserto. È una scena incredibile anche se verosimile in cui assistiamo, impotenti, alla paura e al tremore che s'impossessa di chi ha appena avuto un incidente automobilistico. Ed è l'atmosfera a darci l'idea dell'ansia e della paura: la macchina da presa tentenna, balla, si ferma, poi si muove, in mezzo all'oscurità della notte, come se fosse ubriaca o improvvisamente impazzita.

L'altra scena viene da INLAND EMPIRE (2006) che, per me, è uno dei più bei film di Lynch, insieme a Mulholland Drive (2001) e, ovviamente, a Eraserhead (1977). Si tratta di un'altra scena sconvolgente, nell'apparente semplicità del suo contenuto, e che credo di aver già descritto in questio diario di bordo virtuale che forse non leggono più nemmeno quelle tre o quattro lettrici che mi seguivano anni fa... È una scena assurda, in cui assistiamo alla morte di una ragazza, accasciata sul marciapiede di una delle tante strade periferiche di Hollywood. La ragazza perde sangue dalla pancia, si afferra il ventre, mentre, tutta imbacuccata, inizia a chiedere aiuto a un barbone e quest'ultimo la guarda e inizia a parlarle, non ricordo più se prova a trasmetterle un messaggio di pace e tranquillità, non so se le dice di stare calma e che se morirà non sarà poi così doloroso, non ricordo se le dice che le resterà affianco, ma intanto quella ragazza soffre e sta per morire e noi siamo lì, insieme a lei, testimoni oculari di un evento quotidiano e comunque visto come "tabù", è una morte assurda, oscena e insignificante, resa ancora più surrealista dalla presenza del barbone che parla e parla e dice cose che, in quel contesto, non hanno molto senso o non danno la consolazione che ci si aspetta, il dialogo è calmo, ma serrato, assurdo, ma sensato, spietato e anche un po' tragicomico. Poi, all'improvviso, la macchina da presa fa un leggero movimento all'indietro ed è solo allora, solo allora, quando lo spettatore si rende conto del fatto che ha appena presenziato una morte inscenata all'interno di un film, una metascena in un metafilm, perché INLAND EMPIRE è proprio questo, un film metacinematografico che s'interroga costantemente sul confine sempre labile tra "realtà" e "finzione" o su come questi due mondi interagiscano tra di loro in modo a volte sorprendente, come in questa scena di una morte assurda e banale, una morte in diretta...

Ecco: è per scene come queste che io sarò sempre grato a David Lynch. Un artista che ha saputo immaginare le zone più oscure dell'animo umano. Un regista che ha saputo trasformare i suoi incubi in storie affascinanti e sempre inquietanti. O affascinanti proprio perché inquietanti. Con mia cugina eravamo soliti fare sempre la stessa battuta: "David Lynch? Lynchamolo!". Ora non potremo "lyncharlo" più. Ci restano i suoi film, per fortuna. E la possibilità di rivederli finché il viaggio non finirà anche per noi.

miércoles, enero 15, 2025

 

Diario di Bologna

 


6 Gennaio 2025

 

Iniziamo l’anno accamedico in viaggio dall’Abruzzo all’Emilia Romagna. Devo firmare un accordo Erasmus con il Campus di Forlì (con il DIT, ovvero, il Dipartimento di Interpretazione e Traduzione). Abbiamo affittato (a caro prezzo) un appartamento a due metri dalla Stazione Centrale di Bologna. La capitale della regione ci accoglie con la nebbia e un freddo umido che ti penetra nelle ossa, che a tratti paralizza. Sono le 19:30 ma sembra mezzanotte. Riesco a carpire frammenti di dialoghi in dialetto bolognese. Adoro quest’accento, così diverso dall’abruzzese o dal romanesco.

La padrona di casa mi fa vedere la moka della Bialetti: sembra che oggigiorno nemmeno i turisti italiani si preparano più la macchinetta tradizionale, sembra che tutti preferiscano la Nescafé (è più veloce, più efficace, più pulito). Mi chiedo dove andremo a finire se perfino gli italiani smetteranno di farsi il caffè come abbiamo sempre fatto nel corso di decenni (forse secoli).

Andiamo a dormire presto, stanchi del viaggio. Domattina, alle 10:30, saremo già a Forlì, al Campus universitario, per conoscere dal vivo una collega con cui ho scambiato un sacco di email, prima di arrivare  a questo momento (ovvero, alla firma concreta dell’accordo). Nell’appartamento, il riscaldamento è al massimo. Fuori c’è la nebbia e si gela, dentro si può dormire anche in maniche corte.

 

7 Gennaio 2025

Forlì: anche qui nebbia e freddo. Le panchine della stazione sono bagnate. La gente imbacuccata. Andiamo al Campus senza sbagliare strada. È una città geometrica, Forlì, o così pare. Giorgia ci accoglie con il sorriso e ci offre subito un caffè. I mobili dell’ufficio in cui parliamo di questioni accademico-burocratiche sembrano tratti dalla serie di Leopardi che Rai1 manda in onda proprio stasera. Sembra tutto molto ottocentesco. La stampante funziona, ma a fatica, con una lentezza quasi snervante. C’è il distributore dell’acqua gratis (fredda e a temperatura ambiente). C’è anche quello del caffè a 60 centesimi. Ho notato che, ormai, in Italia, nei bar, è impossibile prendere un espresso a meno di 1,30 euro. Giorgia ci mostra le aule dei laboratori dei futuri interpreti e traduttori italiani da e per lo spagnolo (ma anche il francese, il tedesco, l’inglese, perfino il cinese). È bello, quasi emozionante, vedere tanti studenti seduti in postazioni costruite su due piani in un edificio che, qualche decennio fa, era un ospedale, ora completamente ristrutturato e ricostruito secondo la moda del postmodernismo architettonico. Vedo una cartina dell’Italia con sopra stampata una domanda a caretteri cubitali: “di dove sei tu?”. In realtà, la domanda appare sotto la cartina dell’Europa. La distanza e la miopia galopante mi giocano brutti scherzi. Qui gli scambi Erasmus sono all’ordine del giorno. Siamo qui per quello. E per loro, per quegli studenti che avranno voglia di sperimentare cosa significa studiare in un altro paese e in una lingua diversa da quella materna.

Andiamo a pranzo in una trattoria tipica emiliana. Le tagliatelle con il ragù alla bolognese sono orgasmiche. I tortellini in brodo pure. Il caffè macchiato lo servono con un bricco per il latte, uno con panna spruzzata con cacao amaro e un biscottino al cioccolato d’accompagnamento. Incredibile la qualità del cibo e la professionalità dei camerieri e del padrone di casa.

Nel pomeriggio, giro in centro con la nostra guida personale (fino a un parco che mi ricorda “El Retiro” di Madrid) e poi rientro a Bologna in treno perché comincia a piovigginare.

Prima di separarci Giorgia ci parla dell’architettura del Quartiere razionalista: se si guardano dall’alto, certi palazzi del quartiere formano la M enorme di Mussolini. Non a caso, il Duce è nato a Predappio, ovvero, a 20 chilometri da Forlì. Mi sembra davvero paradossale che uno dei dittatori più ridicoli e folli della Storia del XX secolo sia nato proprio in una delle regioni più “rosse” d’Italia. Poi proviamo a sdrammatizzare. Senza l’Emilia Romagna la cucina italiana sarebbe più povera: qui hanno inventato il Parmiggiano Reggiano, il Grana Padano, la mortadella, l’aceto balsamico di Modena, la piadina, lo squacquerone, le tigelle e le crescentine, le tagliatelle e i tortellini…il Lambrusco e il San Giovese…

Proviamo solo per un momento ad eliminare uno di questi elementi dalla cucina tipica italiana: saremmo tutti più poveri (e più tristi). Viva l’Emilia Romagna!

 

8 Gennaio 2025

 

Ravenna: quanta bellezza e quanta storia e quanta arte nella stessa città! Il Mercato Coperto ci stupisce per la sua eleganza e la cura di ogni dettaglio, la varietà dell’offerta gastronomica e la bontà dei prodotti. E poi la Basilica di San Vitale coi suoi famosi mosaici bizantini e Galla Placidia e …la tomba di Dante. Mi faccio scattare una foto. Mi commuove sapere che le ossa del Sommo Poeta riposano proprio qui, lontane dalla natia Firenze, la patria da cui Dante si esilia e a cui non farà più ritorno.

Andiamo a pranzo in un altro ristorante su consiglio di un’amica che rivedrò domani per una cena in una pizzeria del centro di Bologna. Si chiama Osteria Passatelli. Mangiamo un piatto di tortellini con fonduta di parmiggiano stagionato 30 mesi e passatelli in brodo. Di nuovo, il piacere della tavola ci lascia a bocca aperta.

Dopo una passeggiata digestiva, torniamo a Bologna. E qui mi sgancio dal gruppo e vado in centro da solo. I portici di Bologna. Le Torri degli Asinelli. La Piazza del Nettuno. E la Piazza Coperta Umberto Eco, dotata di spazi per la diffusione della lettura e della cultura davvero emozionanti se consideriamo il mondo in cui viviamo. Ho visto ragazzi leggere libri di carta. Anziani leggere giornali di carta. Forse non tutto è perduto, se queste biblioteche sono ancora frequentate e anche da persone giovani, da gente che ormai è abituata ad usare il cellulare come una seconda pelle.

Mi addentro nelle sale del Cinema Modernissimo: cimeli di alcuni grandi classici del cinema italiano; una caffetteria elegante e assolutamente cinefila, poster dovunque, locandine di film visti da ragazzo; foto storiche e in bianco e nero della Bologna del secondo dopoguerra. In programmazione l’ultimo film di Roberto Andò: L’abbaglio, con Ficarra e Picone. E poi, uscendo per strada, la Feltrinelli, dove mi è impossibile non comprare libri e non rimembrare i tempi in cui andavo sempre a quella di Via dei Cerretani a Firenze (quando ero un cittadino della città di Dante). Compro un saggio breve di Ezio Raimondi, il grande italanista, Un’etica del lettore; e poi Il viaggio di Dante. Storia illustrata della Commedia, di Emilio Pasquini; e poi È una donna che vi parla, stasera, di Alba de Céspedes, una scrittrice che ho scoperto grazie alla mia compagna d’avventure e di viaggi e, infatti, gliene faccio dono, come regalo inaspettetato.

Domani altro giro, altra corsa: Ferrara. Andiamo a dormire guardando l’ultima puntata di Leopardi, il poeta dell’infinito su Rai1. È bello e strano, e anche un po’ emozionante, vedere una serie del genere sulla tv pubblica italiana. È strano sentirsi così…italiano in Italia.

9 Gennaio 2025

Ferrara. La pioggia, il freddo, il vento ci danno il benvenuto e ci obbligano a prendere un taxi per arrivare alla Biblioteca Ariostea, sita all’interno dello storico Palazzo Paradiso (gli Estensi avevano buon gusto nel nominare i loro possedimenti; qui esiste anche un Palazzo dei Diamanti).

Entriamo per dare fastidio agli addetti della biblioteca. Riusciamo a farci aprire una porticina che dà accesso alla sala in cui secoli fa gli studenti di Medicina seguivano le lezioni di Anatomia. Poi saliamo al secondo (o terzo) piano per contemplare emozionati la tomba di Ludovico Ariosto. È la seconda tomba importante che visito da quando siamo in Emilia Romagna: Dante e Ariosto, due geni, ognuno a modo suo, anche se è ovvio: l’Orlando Furioso non potrebbe mai raggiungere le vette della Commedia, né avere la stessa fama internazionale dell’opera del fiorentino. Dalla tomba di Ariosto si vede una sala di lettura destinata agli specialisti e ai ricercatori: dentro quella sala sono conservati manoscritti e libri antichi risalenti al XV e al XVI secolo. Chissà se non c’è anche una qualche edizione del poema di Ariosto.

Vorrei sedermi e tornare studente, ma non si può. Continuiamo il tour per la città fredda e piovosa, entriamo nella Cattedrale, poi passiamo davanti al Castello, bellissimo e rinascimentale, con quell’acqua che lo difende e lo circonda. E poi, appunto, il Palazzo dei Diamanti, percorrendo quella che viene considerata una delle strade più belle d’Italia, ovvero, Corso d’Ercole I d’Este. Al posto dei sanpietrini romani ci sono altre pietre che sostituiscono l’asfalto e fanno viaggiare con la mente indietro nel tempo. All’interno del Palazzo un negozio con i cataloghi delle mostre e una libreria fornitissima: vorrei comprare tutti i saggi sulla fotografia, sul cinema (Fellini), sull’arte. È incredibile la cura del dettaglio, l’amore che chi gestisce questa libreria dimostra nei confronti della cultura. Poi si torna a Bologna. E vediamo Rossella a cena nella pizzeria Berberè: impasto artigianale, lievito di qualità, alta digeribilità. La mia capricciosa è ottima, così pure la margherita della mia amica di liceo. Erano 10 anni che non ci vedevamo, ma sia io che lei sappiamo che, in fondo, non siamo cambiati molto da quando eravamo adolescenti, anche se i nostri corpi sono invecchiati. Rossella ci parla della fatica che fa a cercare d’insegnare qualcosa ai ragazzi di oggi: “L’altra mattina spiegavo l’apparato riproduttivo e non avete idea delle battutine stupide. Poi, due alunni marocchini molto palestrati mi hanno chiesto se potevamo presentare una lezione sull’importanza dello sport e dell’alimentazione per avere un fisico come il loro. Li ho lasciati fare: hanno scritto “l’alibido” (con l’apostrofo) e “problemi rettili” (dimenticando la “e”). Dio mio che risate e che disperazione!”. Ridiamo tutti. Il livello generale degli studenti delle superiori è basso in tutto il mondo, evidentemente. Rossella ormai è quasi più bolognese che abruzzese. Elogia la Spagna: anche dal punto di vista politico. Parliamo della Meloni, della serie su Mussolini con Luca Marinelli, dei cortei dei fascisti proprio lì, a Bologna, la rossa, la dotta, la grassa. Di come è difficile pensare al cambiamento climatico e al regredire generalizzato con le guerre in atto alle porte di quella UE nata proprio dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale. Poi parliamo di cinema e del Cinema Modernissimo che lei stessa mi ha consigliato di visitare. Beviamo birra e poi vino, un bel San Giovese per ricordare i bei tempi di una volta. Il giorno dopo dobbiamo ripartire per Roma e poi il giorno dopo ancora per la Spagna. Ma stasera, intanto, abbiamo annullato le distanze sia spaziali che temporali, abbiamo condiviso un pezzetto di quella follia che è la vita, come diceva anche Sterne…

 

11 Gennaio 2025

Di mattina andiamo in stazione per andare a Modena. L’obiettivo è pranzare con la migliore amica di mia madre, prima di tornare a Bologna e da lì prendere l’Italo delle 18:52. Modena dista appena mezz’oretta dalla capitale dell’Emilia Romagna. Visitiamo il centro storico, poi, alle 12:30, ci viene a prendere il marito della migliore amica di mamma e ci porta a casa sua: una villa in mezzo al nulla, circondata dalla pianura e dagli alberi che svettano in mezzo a casolari che fanno pensare a Novecento, il film di Bertolucci. Maria Paola ci ha preparato un pranzo succulanto, un vero pranzo di Natale: di nuovo i tortellini, con panna e parmiaggiano reggiano doc; e poi le tigelle, con insaccati vari e mortadella che solo a Bologna è così buona. Beviamo e sorridiamo nel rimembrare mia madre che non si è mai decisa a prendere un treno e a venire sù al Nord dal paesino sui monti abruzzesi in cui vive. Parliamo della difficoltà di fare i genitori oggi. Ma sarà mai esistita un’epoca in cui sarà stato facile fare il padre o la madre? Domanda retorica. Il marito di Maria Paola torna a lavoro: lei ci riporta alla stazione. Sono le 17:00 ma sembrano le 2 di notte. La stazione centrale è tutta un viavai. Italo parte in perfetto orario (anche se mia madre preannunciava uno sciopero che non c’è stato). Alle 21:05 siamo a Termini. Mio fratello non può venire a prenderci; ci tocca prendere il taxi. Verso le 22:00 siamo tutti seduti nel salotto di casa sua a mangiare pizza. Tornerò in Spagna con 3 o 4 kili in più, ma sono felice. La felicità implica più peso corporeo. Ma ogni tanto fa bene rompere le regole e non seguire dieta di sorta. Domani sarà il 12 Gennaio. Sarò in Spagna. La mia seconda patria. Che difficile il ritorno alla routine dopo questo viaggio così denso e bello e allettante. Quant’è dura tornare alla realtà di tutti i giorni.

 

 David Lynch: non lo "lyncheremo" più Ieri sera, verso le 20:00 (l'ora di cena per me, all'italiana), mia cugina mi manda ...