David Lynch: non lo "lyncheremo" più
Ieri sera, verso le 20:00 (l'ora di cena per me, all'italiana), mia cugina mi manda una foto di David Lynch in bianco e nero con l'annuncio della triste notizia. Al di sotto del sorriso sornione del regista e della sua mitica capigliatura invidiabile (quale quasi ottantenne può vantare una simile massa di capelli?), la frase: "David Lynch è venuto a mancare all'età di 78 anni". Ho smesso di mangiare e di leggere il messaggio. Ho solo risposto: "NO" con l'emoticon di un pianto irrefrenabile...
Oggi, 17 di Gennaio del 2025, nel Sud del Sud della Spagna in cui vivo, il tempo si è guastato e sembra accordarsi allo stato d'animo dei milioni di fans che Lynch aveva in ogni parte del globo. Fa impressione vedere quanto cordoglio hanno espresso in queste ore tante persone (note e meno note) sui cosiddetti "social"; fa impressione vedere che strano tipo di vincolo umano e intimo sembra aver generato Lynch arrivando ai cuori e alle menti di tante persone (di tante nazionalità diverse). Mi commuove leggere l'addio di Francis Ford Coppola o quello del suo attore feticcio, Kyle MacLachlan, l'attore che ha interpretato quasi tutti i ruoli protagonisti dei suoi film, oltre al mitico agente Cooper della serie Twin Peaks, una serie che ha rivoluzionato la televisione mondiale degli anni 90 a suon della domanda cruciale: "Chi ha ucciso Laura Palmer?" e con l'adozione di un linguaggio cinematografico tutto basato sul surrealismo e sulla tecnica della suspense.
Oggi, in uno stato d'animo prossimo alla depressione, di David Lynch voglio ricordare soprattutto due scene, non tra le più note e famose. Una viene da Strade Perdute (1997) o forse da Cuore Selvaggio (1990): vediamo una macchina che viaggia su una delle tipiche strade americane in mezzo al deserto, una di quelle strade lunghissime e che sembrano non avere mai fine, fino a quando, a un certo punto, l'auto sbanda e si schianta contro un albero. È notte fonda e l'unica fonte di luce proviene dai fari anteriori dell'auto. Vediamo due donne che scendono, una è vistosamente ferita alla fronte, perde sangue e sembra aver perso anche il senno, perché dice all'amica, più giovane: "Dov'è la mia borsetta? Dov'è la mia borsetta?" e si affanna a cercarla in mezzo alla polvere e ai cespugli del deserto. È una scena incredibile anche se verosimile in cui assistiamo, impotenti, alla paura e al tremore che s'impossessa di chi ha appena avuto un incidente automobilistico. Ed è l'atmosfera a darci l'idea dell'ansia e della paura: la macchina da presa tentenna, balla, si ferma, poi si muove, in mezzo all'oscurità della notte, come se fosse ubriaca o improvvisamente impazzita.
L'altra scena viene da INLAND EMPIRE (2006) che, per me, è uno dei più bei film di Lynch, insieme a Mulholland Drive (2001) e, ovviamente, a Eraserhead (1977). Si tratta di un'altra scena sconvolgente, nell'apparente semplicità del suo contenuto, e che credo di aver già descritto in questio diario di bordo virtuale che forse non leggono più nemmeno quelle tre o quattro lettrici che mi seguivano anni fa... È una scena assurda, in cui assistiamo alla morte di una ragazza, accasciata sul marciapiede di una delle tante strade periferiche di Hollywood. La ragazza perde sangue dalla pancia, si afferra il ventre, mentre, tutta imbacuccata, inizia a chiedere aiuto a un barbone e quest'ultimo la guarda e inizia a parlarle, non ricordo più se prova a trasmetterle un messaggio di pace e tranquillità, non so se le dice di stare calma e che se morirà non sarà poi così doloroso, non ricordo se le dice che le resterà affianco, ma intanto quella ragazza soffre e sta per morire e noi siamo lì, insieme a lei, testimoni oculari di un evento quotidiano e comunque visto come "tabù", è una morte assurda, oscena e insignificante, resa ancora più surrealista dalla presenza del barbone che parla e parla e dice cose che, in quel contesto, non hanno molto senso o non danno la consolazione che ci si aspetta, il dialogo è calmo, ma serrato, assurdo, ma sensato, spietato e anche un po' tragicomico. Poi, all'improvviso, la macchina da presa fa un leggero movimento all'indietro ed è solo allora, solo allora, quando lo spettatore si rende conto del fatto che ha appena presenziato una morte inscenata all'interno di un film, una metascena in un metafilm, perché INLAND EMPIRE è proprio questo, un film metacinematografico che s'interroga costantemente sul confine sempre labile tra "realtà" e "finzione" o su come questi due mondi interagiscano tra di loro in modo a volte sorprendente, come in questa scena di una morte assurda e banale, una morte in diretta...
Ecco: è per scene come queste che io sarò sempre grato a David Lynch. Un artista che ha saputo immaginare le zone più oscure dell'animo umano. Un regista che ha saputo trasformare i suoi incubi in storie affascinanti e sempre inquietanti. O affascinanti proprio perché inquietanti. Con mia cugina eravamo soliti fare sempre la stessa battuta: "David Lynch? Lynchamolo!". Ora non potremo "lyncharlo" più. Ci restano i suoi film, per fortuna. E la possibilità di rivederli finché il viaggio non finirà anche per noi.
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