miércoles, febrero 10, 2010

Remo Bodei, La vita delle cose, Roma-Bari, Laterza, 2009

Con la consueta eleganza e il solito acume, il prof. Bodei ci accompagna in questo saggio alla scoperta del significato degli oggetti che ci circondano e che, in silenzio, fungono da compagni d’avventura in questo viaggio periglioso che è la vita (e il vivere). Un primo punto teorico importante riguarda proprio la definizione di “oggetto”; da distinguere da quella di “cosa” (sembrano sinonimi, ma non lo sono affatto). “Oggetto” (dal latino “objectum”) è quanto “ci sta contro”, una sorta di ostacolo, di presenza fisica che sembra schierarsi “contro” di noi, che sembra sempre sfidare il nostro intelletto; “cosa”, invece, ha la stessa radice etimologica del termine latino “causa”, qualcosa che “riteniamo talmente importante e coinvolgente da mobilitarci in sua difesa (come mostra l’espressione ‘combattere per la causa’)” (id. p. 12).

Come studiare “oggetti” e “cose” in un mondo iper-tecnologico e così saturo di cose come il nostro, dove questi stessi artefatti sembrano essere prodotti per venire sostituiti subito da altri in una specie di “gioco al massacro” secondo il quale, non fai in tempo ad acquistare un nuovo artilugio tecnologico che, dopo due mesi, questo è diventato già vecchio, obsoleto, antiquato?

Uno dei nodi della questione riguarda proprio il rapporto tra gli oggetti e il tempo: nel mondo accelerato in cui viviamo (mondo in cui il presente ha assolutizzato ogni altra categoria temporale), anche gli oggetti sembrano aver cambiato senso e significato per noi che li fabbrichiamo (e li usiamo in fretta e dopo poco li gettiamo via, una volta dismessi dal loro uso quotidiano). Pensiamo anche ai mobili, a come sono concepite le case di oggi (in un mondo in cui il “mattone” è una fonte di ricchezza e in cui lo “spazio” si riduce sempre di più e le “case” sono costruite in modo tale da ricavare il massimo dell’energia e dell’utilità dal minimo dei metri quadrati disponibili, anche i “mobili” non sono più quelli di una volta, per dirla in tono ironico – id., pp. 71-73). I mobili dei nonni venivano addirittura tramandati di generazione in generazione; i matrimoni stessi dipendevano strettamente dai patrimoni di cui erano dotati i singoli capi-famiglia; i vestiti del fratello maggiore passavano in eredità a quelli minori; e così le scarpe, e così via…

L’eccessiva fretta sembra aver contribuito a farci dimenticare che gli “oggetti” in quanto “cose” parlano, hanno molto da raccontarci, se sappiamo ascoltarli; che gli oggetti rimangono in certo modo impregnati della storia (personale) di chi li ha posseduti e della Storia (umana) di chi li ha generati e pensati (questi passi del saggio di Bodei mi fanno pensare subito al primo libro di Claudio Magris: quell’Illazione su una sciabola in cui, appunto, una vecchia spada ritrovata in un terreno abbandonato permette al narratore-cronista-storico di ripercorre una porzione importante della storia recente della Germania condannata al disastro della Seconda Guerra Mondiale…come se da una semplice arma dimenticata tra le zolle fosse possibile riscrivere e rintracciare un passato che – pur essendo prossimo – sembra incarnare un tempo “altro” e “mitico” e, proprio per questo, percepito quasi come “fuori” del tempo cronologico…).

Diventati desueti, finiscono nei solai, nelle cantine, nel banco dei pegni, nei negozi dei rigattieri e degli antiquari, nelle discariche. Ritrovati o comprati, emanano un effluvio di malinconia, somigliano a fiori vizzi che per rinascere hanno bisogno delle nostre attenzioni” (id., p. 30).

Come fare per “ascoltarne” la storia più intima? Chi può redimerli e, applicando quella “meraviglia” che sarebbe uno dei motori primi che ci spinge alla “filosofia” – secondo Aristotele, ma anche secondo Platone – al curiosare, all’indagare le cause prime e primordiali di un certo evento, oggetto, persona se non proprio colui che li guarda, se ne prende cura, e in certo modo l’interroga, come l’artista e il filosofo stesso? Quali “attività” - se non l’arte e la filosofia - si preoccupano di togliere il velo a quelle cose concrete, a volte decrepite, altre solo consumate, che chiamiamo “oggetti”?

E’ questa la pars costruens del saggio: quella che offre (a mio giudizio, in modo a volte anche troppo utopico) la ricetta (o il suggerimento) per fare in modo che gli oggetti diventino “cose” e non solo “prodotti di mercato” che ci sommergono, ci distraggono, che “occupano” lo spazio vitale che abbiamo a disposizione nelle nostre case, facendoci a volte sentire “alieni” a noi stessi (o oggetti inerti in mezzo a oggetti di cui, spesso, si disconosce la natura e l’uso). Guardare gli oggetti come ricettacoli delle storie di chi li ha posseduti; contemplare le opere d’arte che ritraggono gli oggetti più banali e comuni per riflettere sull’Eternità e il nostro rapporto troppo spesso viziato o conflittuale con essa; riflettere sulla caducità degli oggetti stessi, per smettere di avere paura della morte (perché se è vero che gli oggetti ci sopravvivono, è pur vero che noi continuiamo a vivere dentro quegli oggetti di cui ci siamo presi maggior cura e che i nostri figli erediteranno e metteranno da parte – forse – in memoria di noi). Sono solo alcune delle soluzioni al problema (contemporaneo) della contrapposizione tra “organico” e “inorganico”, tra “soggetto” senziente e “oggetti” intelligenti (pensiamo al cosiddetto posthuman o ai tentativi di implantare nei computer sistemi di intelligenza simili al nostro cervello)…

Il saggio offre spunti interessanti anche sul versante propriamente letterario: da Leopardi a Proust, non c’è scrittore che non abbia incluso gli oggetti anche più banali all’interno di una sua opera o di una riflessione personale; da Verga a Paul Celan, non esiste autore che non abbia tratto spunto e che non abbia esercitato la propria immaginazione a partire dalla contemplazione o dalla considerazione attenta di un oggetto qualsiasi (su questo tema è ormai diventato un classico il saggio di Francesco Orlando che ricorda Bodei in nota: il bellissimo (e vastissimo) Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura, Torino, Einaudi, 1997).

Un libro agile, questo di Bodei, e che ci spinge a guardarci attorno e a domandarci che ci fanno tutte queste penne, questi giornali, questi libri, queste tazze e questo cellulare su questa scrivania vecchia di vent’anni almeno…E su che fine farò io, dopo che non ci sarò più e queste stesse penne, giornali, libri e tazze e cellulare continueranno a esistere senza il loro legittimo padrone…

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