domingo, junio 05, 2011

Tra Manzoni e Gadda: Andrea Camilleri (quello de Il birraio di Preston)


Non avevo mai letto nulla prima, di Andrea Camilleri... E mi ero ripromesso di farlo (un amico danese ci rimase di stucco quando scoprì che non conoscevo i libri di Camilleri, un "bene nazionale", un grande autore, un pezzo grosso...). E così ho iniziato da questo piccolo romanzo pseudo-storico, comico, grottesco, irriverente e divertentissimo che va sotto il nome de Il birraio di Preston (Palermo, Sellerio, 1995).

Niente a che vedere, dunque, con i ben più noti (e fortunati) romanzi del ciclo Montalbano. Molto a che vedere, invece, con lo stile-Camilleri: credo che siano stati pubblicati già un po' di studi sulla materia (o, comunque, verranno pubblicati - Camilleri è perfetto per una tesi di laurea o di dottorato). Io non posso giudicare, finora, ma ne posso apprezzare impressionisticamente le qualità: Camilleri mescola il siciliano all'italiano e agli altri dialetti nostrani (qui: il fiorentino, il romano e un paio d'altri dialetti del Nord Italia) per creare un linguaggio dotto che non esiste nella realtà; nel senso che anche il siciliano che adotta è un siciliano addomesticato agli usi e consumi dell'autore; piegato dall'autore per dire ciò che egli intende fargli dire (diceva Italo Calvino che in questo consiste l'arte dello scrivere - e la scrittura letteraria). 

Impossibile non pensare all'altro grande sperimentatore di linguaggi (e miscelatore abilissimo di dialetti) come Carlo Emilio Gadda (che sul romanesco ha fondato poi il garbuglio del suo romanzo più famoso, ambientato in Via Merulana - romanesco diverso, dunque, per fini e modalità d'utilizzo da quello "appassionato" di un poeta come Pasolini - ma non divaghiamo).

Camilleri racconta con questa lingua (o "idioletto" sperimentale) una piccola storiella legata alla rappresentazione dell'omonima opera del titolo (un oscuro dramma di un oscuro autore teatrale di fine 800) per farci rivivere (o permetterci di sbirciare) l'ambiente che c'era nella Sicilia degli anni 60-70 del XIX secolo. Il tutto, con un tono ironico, una verve comica, una vis satirica davvero invidiabili (ed è impossibile non ridere, in alcuni brani particolarmente riusciti).

Per certi versi, Camilleri qui fa pensare a un Manzoni postmoderno (ovvero: a un Manzoni redivivo che rifacesse I promessi sposi in versione comica). Ogni capitolo prende il proprio titolo da una frase estratta da un romanzo famoso; non solo, ogni capitolo funziona come una "macchina autonoma", per cui la trama esplode o si rifiuta di compattarsi grazie a una struttura aperta e malleabile la cui intelaiatura si basa fondamentalmente sull'arte (tutta barocca, ancor prima che postmoderna) della variatio (si intuisce che Camilleri deve essersi divertito un mondo ad abbandonarsi a una tale variatio)...

Il birraio di Preston si legge con piacere e si degusta come un buon vino; si consuma poco per volta (perché il lettore avverte subito che qui c'è da ridere e da divertirsi assai e non c'è nessuna fretta d'arrivare all'ultima pagina - tanto, non è risolutiva, e il giallo resta tale - perché il prefetto fiorentino dell'immaginaria Vigàta vuole imporre al teatro del paese proprio quest'opera da quattro soldi?).

Un esempio (a metà tra Manzoni e Gadda) dell'arte narrativa di questo Camilleri (poi vedremo come se la cava con i romanzi della saga Montalbano...):

"Nella matinata del giorno in cui l'ammazzarono [l'incipit viene da Cronaca di una morte annunciata, di Gabriel García Márquez], il dottor Gammacurta se ne stette come al solito nel gabinetto medico, e magari il dopopranzo ci passò, dopo una pausa per il mangiare e per una dormitina di mezz'ora. Ma non era del suo solito umore, anzi era decisamente nirbuso, non ebbe pacienza per i picciliddri con gli occhi pisciati, s'incazzò per febbri terzane e quartane, s'infuriò quando dovette incidere un vesparo darrè al collo di uno che per buon peso, per lo scanto che aveva del bisturi, non si riusciva a tenerlo fermo.
Quando poi stava per chiudere il gabinetto e tornarsene a casa, lo vennero a chiamare di corsa perché il mare aveva gettato a riva un forasteri mezzo annegato. Appena lo vide, Gammacurta pigliò a santiare come un turco.
"- Ma porco di chi dico io! Quale mezzo annegato! Non lo vedete che è morto da almeno una simana e che i pesci se lo sono mangiato? Chiamate chi minchia volete, il parrino, il diligato, ma non scassate i cabasisi a me!"
La scascione del malumore, tanto strammo in una persona all'urbi e all'orbo cògnita come gentile e perbene, consisteva nel fatto che quella sera, non c'erano santi, a teatro doveva andare" (p. 45)

No hay comentarios:

Publicar un comentario

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...