jueves, diciembre 22, 2011


Midnight in Paris: le età dell’oro (e i sogni ad occhi aperti)




Un uomo e una donna camminano lungo la balaustra secolare di un ponte di Parigi, di notte, mentre piove. “Parigi è più bella quando piove”, dice la ragazza, che non ha paura di bagnarsi e che s’accorda, senza saperlo, allo stato d’animo e ai gusti del suo interlocutore (in sottofondo parte la musica di Cole Porter, la canzone che s’intitola “Let’s do it” e che, in parte, traduce in musica il senso del film, Midnight in Paris, l’ultimo di Woody Allen).

Il Nostro sembra Federico Fellini quando gioca con la “macchina-cinema” per dare libero sfogo all’immaginazione e farci attraversare (come Alice nel Paese delle Meraviglie) le soglie di mondi apparentemente distanti o contrapposti fra di loro: era già successo, in parte, nel geniale (a tratti onirico o fantascientifico) Zelig, del 1983, con il personaggio del povero ebreo che cambia personalità e tratti somatici a seconda di chi si trova davanti e, poco dopo, nel 1985, con La rosa purpurea del Cairo, quando Mia Farrow s’innamora dell’attore dei suoi sogni e finisce per indurlo ad “oltrepassare” lo schermo cinematografico per vivere una storia d’amore passionale proprio perché si sa già impossibile e destinata a fallire. Accade lo stesso in Midnight in Paris, in cui si raccontano le vicende di uno sceneggiatore frustrato che si guadagna da vivere scrivendo trame per film-spazzatura hollywoodiani e che, nel tempo libero, lavora al libro della sua vita, quello in cui tentare di esprimere tutte le sue doti letterarie. E’ in procinto del matrimonio con la sua fidanzata bella e superficiale, figlia di gente ricca, che Gil (questo il nome del protagonista) si ubriaca, perdendosi per le strade della sua amatissima Parigi e, a mezzanotte in punto - e a differenza di Cenerentola -, vive l’incantesimo di finire nella capitale degli anni 20. E’ qui che, dopo lo shock iniziale, entrerà in contatto con i suoi miti personali: da un rude e burbero Ernest Hemingway a un simpatico e gioviale Scott Fitzgerald (alle prese con le follie e la gelosia di Zelda); dall’intelligente e disponibile Gertrude Stein (che si presta addirittura a leggere e a dare consigli letterari all’incredulo scrittore in erba) al folle e mitomane Salvador Dalí; da Luis Buñuel (cui Gil suggerirà la trama del “futuro” L’angelo sterminatore) a Pablo Picasso. Un mondo meraviglioso, pieno di gente interessante, molto più affascinante e appassionante dei nostri primi anni 10 del XXI secolo…

In realtà, non è tutto oro quello che luccica: dopo aver conosciuto la bellissima amante di Picasso, Gil capisce che tutti sogniamo di vivere in una Parigi che non esiste più perché ormai appartenente al passato; il relativismo temporale (e il sogno di vivere in un passato visto come “età dell’oro”) colpisce tutti, anche chi, come l’avvenente fanciulla, sogna di vivere nella Parigi della Belle Epoque, quella dei Gauguin e dei Toulouse-Lautrec… (e così loro: molto meglio il Rinascimento! Quando a dipingere c’erano mostri sacri come Michelangelo o Raffaello)…

Ognuno ha il presente che si merita; e sognare non costa nulla, anzi, a volte ci aiuta a capire meglio quello che abbiamo davanti (o sotto) ai nostri occhi. Lo impara anche Gil, che tornato al “suo” (e al “nostro”) presente decide di lasciare la futura moglie e di restare a Parigi per scrivere e dedicarsi a ciò che più lo appassiona; forse lo impareremo anche noi spettatori – anche se per un’oretta e mezza abbiamo avuto il lusso di assistere alle chiacchiere e ai discorsi di gente molto più interessante di quella con cui abbiamo a che fare quotidianamente: Picasso, Hemingway, T. S. Eliot, Scott Fitzgerald, che mondo meraviglioso quello del passato… e quant’è piccolo e insulso e prosaico e privo di magia, quello del presente…

P.S.: alla fine, quando il film è finito e i titoli di coda hanno cominciato a scorrere, ho pensato a come potrebbe essere il futuro senza più Woody Allen che, anno dopo anno, sforna film come fossero biscotti al burro. E mi sono subito consolato, al pensiero che, anche quando non ci sarà più lui, fisicamente presente e in carne ed ossa, ci resteranno sempre i suoi film, a ricordarci chi era, e quant’era bravo a farci ridere, sorridere, e sognare ad occhi aperti per un’oretta e mezza o poco più con le sue storie e i suoi personaggi sognanti, perennemente insoddisfatti e alla perenne ricerca della felicità o di qualcosa che non esiste o che è, semplicemente, irraggiungibile.

3 comentarios:

  1. inizio a pensare che farò la fine del tizio e della tizia di quel film...quanto vorrei accontentarmi! -.-'

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  2. Anche questo è un post che mi riservo di commentare appena avrò visto il film. La Parigi periodo "generazione perduta" è uno dei miei "piatti forti", e non vorrei che il miricano Allen mi facesse andare in dissonanza cognitivo-affettiva (considerato che amo Allen ma diffido dei miricani a Parigi).
    Per intanto, ho visto solo, in streaming su internet, l'inizio del film con tutta quella sfilata di cartoline strappa-core.
    Spero che il resto sia meglio.

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  3. 1-Non so quale delle 3 o 4 lettrici di questo blog tu sia, cara "Anonimo"...comunque, se ti può consolare, mi sa che siamo tutti un po' come i due del film...

    2-Cara Gabrilù, come molti "miricani", anche Allen mitizza e idealizza l'Europa; era già successo per la Barcelona di "Vicky, Cristina, Barcelona", e, ahimè, in parte risuccede in questo fillm...però la trama è davvero gradevole, scorre liscia, non è troppo sdolcinato, né troppo melodrammatico, ma basta che prima lo devi vedere!

    Un abbraccio

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