lunes, febrero 28, 2011

Villa Mirafiori

Chi si è laureato in Lingue o in Filosofia alla "Sapienza" di Roma conosce bene Villa Mirafiori: la sede distaccata dalla "città universitaria", un ex-convento in cui si insegnano lingue come l'inglese, il tedesco e il francese, e materie come Estetica, Filosofia Modale e Filosofia Teoretica.

Questa mattina mi è capitato di rimetterci piede dopo anni d'assenza: un viaggio proustiano sulle orme delle macerie di un passato che sembra lontanissimo, ma è ancora accanto a me...

Ho fatto il giro delle aule che conoscevo a memoria e la memoria non mi ha abbandonato, non ho mai sbagliato un corridoio, stamane. Ma la cosa più strana di tutte è stato ritrovare gli uffici dei vari prof. che seguii all'epoca nelle stesse identiche postazioni, negli stessi uffici di sempre (ed è pure ovvio che sia così; anzi, sarebbe stato allarmante il caso contrario: un prof. non cambia studio a meno che non modifichino la struttura della sede o il docente in questione non muoia - e  allora, ho pensato, mentre vagavo per i corridoi pieni di annunci di "vendesi appunti..." o "vendesi copia testi d'esame del prof....." o "affittasi appartamento in zona P.zza Bologna..." o "affittasi stanza singola vicinanze Piazzale delle Province...", dicevo: ho pensato: quando un professore muore, sparisce anche il suo nome dalla targhetta che ne annuncia la presenza davanti alla porta del suo studio) e sorprendermi nel constatare come molte cose non cambiano e restano ferme lì dove le abbiamo lasciate anni prima, mentre noi abbiamo viaggiato, e fatto il giro del mondo, lontani chilometri dal posto in cui oggi ritorniamo a camminare...

E' stato alienante e, al contempo, divertente, vedere che c'è sempre lo stesso segretario svogliato nel gabbiotto dell'ingresso; lo stesso mobilio elegante tra Francesistica e Anglistica; addirittura, gli stessi testi d'esame (e non so se è un merito o un demerito, se giudichiamo dal punto di vista dei professori - come se fossero "attaccati" a quei libri, come se fossero rimasti legati a quel certo arcipelago di citazioni e di riferimenti colti ed eruditi...).

E' stato bello rivedere la fontana con i pesci che ci nuotano dentro; il bar con lo spiazzo verde per fumarsi una sigaretta in santa pace; le stanze distaccate degli uffici dei lettori d'inglese; le facce dei ragazzi che si assomigliano un po' tutte, malgrado gli anni e malgrado le mode del momento; i visi tirati per la paura prima dell'esame; i visi concentrati sugli appunti fotocopiati pieni di cancellature e di strisciate d'evidenziatore; i visi attenti e curiosi di ragazze bellissime che mi guardano e mi sorridono e se mi sbattono per disattenzione mi chiedono scusa dandomi del "lei" (e quando un giovane ti dà del "lei" vuol dire che stai davvero invecchiando, che tu, ai suoi occhi, fai parte - per sempre - del mondo degli adulti, o dei vecchi).

Una ragazza mi chiede se so dov'è l'ufficio del prof. Di Giacomo: glielo indico, al volo, con tono sicuro: "E' là in fondo, sulla sinistra". Di Giacomo sta ancora studiando i nodi che portano Wittgenstein dall'ordine ferreo del Tractatus logico-philosophicus all'anarchia devastante delle Ricerche filosofiche... 

Tutto scorre. E le stesse cose ritornano...come Villa Mirafiori, con i suoi alberi ancestrali e la sua aria di "isola felice", i suoi studenti che ripassano e gli annunci sparsi ad ogni angolo, la calma e la fretta di sempre...

viernes, febrero 18, 2011

Tradurre la luna piena



E' la prima volta che mi capita di stare sulla traduzione dall'alba al tramonto (si noti il capovolgimento del titolo d'un famoso film "cult" di Robert Rodriguez con la coppia - inedita - Quentin Tarantino/George Clooney, From Dusk till Dawn, in lingua originale, del '96 l'annata)...


La professoressa mi osserva con sguardo preoccupato e pensa che stia diventando pazzo: "Lei studia troppo e, a volte, si confonde, fa degli errori davvero sciocchi, prende cantonate". Che sciocco, cazzo! Me lo dico da solo, mentre mi reco in  bagno, ripetendomi - come fosse un mantra - la parola "cantonata" (cantonata, nata-canto, canta nata, canta nato, cantan ato e canton ata...).


Oggi andiamo a pranzo in un ristorante di Piazza Dante; l'ambiente è allegro e la piazza è piena di famigliole di studenti che si sono appena laureati (quante foto, quanto spumante, quanti sprechi, quante illusioni, ragazzi miei...).


E intanto le ore passano e si fa notte e sorge la luna, piena, una sfera bianca in mezzo al cielo stellato. E noi siamo ancora qui alle prese con la traduzione (solo la pausa pranzo e un mezzo minuto per andare al bagno a fare la pipì, niente di più, niente di meno).


Esco dall'Università che fuori è buio fondo (perché le nuvole hanno offuscato per intero la luna). E ricevo due strane telefonate: la prima, da parte di una ex-alunna che voleva tanto rivedermi a Pisa (ma non c'è stato verso, ho fatto troppo tardi per i suoi orari, i treni, gli andirivieni - andi e rivieni  e andiamo, dai); l'altra, da parte di una collega che dice di essere stufa di "mendicare l'amore di uno che, forse, non mi merita".


Le dico che è il verbo ad essere sbagliato, in questa storia: non si dovrebbe mai (dico: mai) "mendicare l'amore". Errore madornale; non si mendica, ci si dona e, se l'altro riceve e capisce quant'è prezioso questo dono, ci ricambia (oppure no, e allora è un'altra, la storia, e i motivi per cui sentirsi soli e sfortunati e amareggiati e, magari, cambiare il destinatario del nostro dono, se ci si riesce e ci si ha la forza).


Mia moglie mi aspetta a braccia aperte: la tavola è inbandita (o imbandita?) e il piatto ricolmo di patatine fritte e due hamburguer dall'aspetto molto, molto interessante (appetibile, sì, meglio).


Accendo la tv: San Remo, ti prego, no. Santoro (meglio?). Match Point di Woody Allen (questo sì che è un capolavoro, ragazzi!). Poi mi torna in mente (anche questo in modo alquanto strambo) il finale di Fight Club di David Fincher... E mi viene da pensare: ma quant'è geniale quel finale? 


"Mi hai conosciuto in un momento molto strano della mia vita", dice Edward Norton alla sua donna, dopo essersi sparato in bocca e esser così riuscito ad uccidere il suo "doppio" (Brad Pitt)... E i palazzi davanti a loro esplodono, in un subbuglio di fuochi d'artificio (non ricordo se anche lì c'è la luna piena)...

domingo, febrero 13, 2011

Asino chi legge, di Antonella Cilento: un bollettino di guerra pieno di speranza per il futuro


Tempo fa scrissi della mia prima esperienza di "scrittura creativa" vissuta proprio grazie a (oltre che insieme ad) Antonella Cilento, chiamata a intervenire nell'Università in cui lavoro per un incontro su "Giovani e scrittura". Non ero convinto dell'efficacia delle scuole di scrittura (creativa o meno), ma rimasi molto soddisfatto dei risultati ottenuti dall'autrice (i ragazzi dovevano scrivere tutto quello che passava loro per la testa entro 5 minuti d'orologio e a partire dalla frase: "L'anima è una farfalla").
Poi ho letto l'ultimo libro della scrittrice, Asino chi legge. I giovani, i libri, la scrittura (Parma, Guanda, 2010) e sono stato come risucchiato dal ritmo, dall'ironia, dall'autoironia, dalla limpidezza della scrittura (scrittura che nasce da un italiano molto vivace, in cui fa capolino - in modo sempre elegantissimo - il napoletano delle origini dell'autrice - fenomeno, questo, molto simile a quello che ho riscontrato in un altro autore partenopeo, il regista Paolo Sorrentino, col suo Hanno tutti ragione - ma questa è un'altra storia e torniamo a noi...).

Asino chi legge è una sorta di diario: l'autrice ci parla di sé in quanto "operatrice culturale" chiamata dai presidi delle scuole pubbliche italiane di ogni ordine e grado per i cosiddetti PON (quei progetti o laboratori che alcune scuole attivano affinché gli studenti possano sviluppare quelle capacità e/o svolgere quelle attività cosiddette "extra-curriculari" cui non è dato spazio la mattina quando si fa lezione "standard"). Non solo: il libro si presenta come un vero e proprio reportage sulla situazione dell'istruzione pubblica in Italia, come un viaggio dal Nord al Sud della Penisola.
E leggendo uno si rende conto immediatamente di due cose: a) dell'enorme passione che una come Antonella Cilento ci mette nel fare quello che fa (con energia, con pazienza e abnegazione invidiabili); b) degli enormi problemi che hanno afflitto e affliggono ancora oggi la scuola pubblica italiana (un luogo in cui, invece di sviluppare il senso critico dei ragazzi, si tira a campare, si diffonde un metodo di studio nozionistico che poca presa ha sui ragazzi e che dà scarsi risultati sul piano didattico). Un problema messo giustamente in risalto dalla Cilento è che a scuola non si impara più a leggere; non solo non si promuove la lettura (di testi letterari degni d'attenzione); non solo si continua a fruire la letteratura in pillole (brani di classici antologizzati e basta); non solo non si fa quasi niente per accattivarsi l'attenzione degli alunni sulle questioni inerenti la lettura e la scrittura, ma, addirittura, si sottraggono fondi (soldi) per promuovere quegli esperimenti che potrebbero portare i ragazzi a scoprire i libri (che non sono sempre e solo "libri di testo" - così odiati, e così asfittici, anche per un docente di buona volontà).

"Da qualche anno [...] leggere è considerato un errore, una perdita di tempo, un insignificante vizio. Studiare e leggere, è ormai noto, non ti porteranno da nessuna parte, non ti apriranno le porte del mondo del lavoro, non faranno di te una persona migliore" (p. 18).

Questa riflessione corrisponde alla verità (e all'attualità della triste cronaca di questi mesi): e non è affatto vero che i ragazzi del Nord siano più bravi (o preparati) di quelli del Sud; gli studenti si assomigliano tutti (e manifestano tutti le stesse identiche idiosincrasie) perché è la scuola pubblica italiana stessa che si comporta come un unico enorme mostro che si trascina da decenni gli stessi difetti (e le stesse tare).

Ecco allora l'importanza dell'azione di Antonella Cilento quando, una volta entrata in classe, si mette a parlare di scrittura o di libri e, addirittura, si mette a leggere a voce alta brani da Edgar Allan Poe, da Pasolini, o da Cechov: è quando legge e riesce a catturare l'attenzione degli alunni che Antonella Cilento riesce a scalfire il malfunzionamento di un'istituzione da cui dipende il grado di civiltà di un intero paese; e basta un sorriso, uno sguardo d'intesa, l'interesse dichiarato a viva voce anche da uno solo dei suoi alunni per dare alla Cilento la forza di proseguire in questa sua azione di contrasto al malfunzionamento dell'intero sistema scolastico italiano. Una sola pagina letta in più in classe; un solo esercizio di scrittura creativa in più; un sorriso, un barlume di curiosità intorno alle parole lette ad alta voce dalla scrittrice: sono questi i piccoli gesti che, a detta della Cilento, danno la forza per andare avanti e per sperare in un mondo migliore.

Ecco cos'è Asino chi legge: un bollettino di guerra (scritto direttamente dal fronte) pieno di speranza per il futuro. Un libro che racconta l'Italia di oggi e di cui dovrebbero far tesoro tutti quelli che a scuola ci lavorano (a volte controvoglia o senza la minima coscienza dei danni che possono fare non facendo bene il proprio mestiere). Un libro su come contrastare (con i fatti, e non solo a parole) quell'"analfabetismo mentale" che l'intera società sembra voler imporre a tutti, partendo proprio dalle giovani generazioni, quelle più influenzabili e manipolabili.

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...