La vita in tempo di pace, di Francesco Pecoraro (Ponte alle
Grazie, 2013), ovvero: la vita al ralenty
Era da tempo che non mi capitava di leggere un romanzo di uno
scrittore italiano; è da anni che aspetto che escano i nuovi “parti” di gente
come Antonio Moresco o Sandro Veronesi (in realtà, del primo sono usciti già
due titoli, l'anno scorso, mentre il secondo si prepara a mandare nelle
librerie il suo Terre rare – bella la copertina, un po' meno il titolo,
ma staremo a vedere... di certo sappiamo già che in quest'opera ricomparirà
quel Pietro Paladini protagonista “immobile” di Caos calmo, risalente
ormai a ben 9 anni fa).
E così, ecco che mi capita tra le mani La vita in tempo di
pace, di tale Francesco Pecoraro, a me del tutto ignoto, nonostante la
fascetta m'informi che questo romanzo è giunto in finale per il Premio Strega
di quest'anno.
Un primissimo elemento che sorprende di questo libro è
certamente la sua lunghezza: le 509 pagine dell'edizione che maneggio io
avrebbero potuto essere tranquillamente il doppio se editore e autore avessero
deciso di stamparlo in caratteri un po' più grandi. Si ha la sensazione di
stare leggendo un classico, in una di quelle tipiche edizioni che spaventano un
po' anche il più onnivoro dei lettori; La vita in tempo di pace è un
tomo considerevole, occupa spazio, anche se è leggero, è imponente, sebbene la
trama sia piuttosto risicata o labile o flebile.
L'ingegner Ivo Brandani è in attesa dell'aereo che lo
riporterà in Egitto per realizzare una mega-opera che consiste nel riprodurre
su scala reale la costa corallina del Mar Rosso; si tratta di un cosidetto fake,
ma cosa non lo è, o non lo potrebbe diventare, in un futuro prossimo? A
proposito di futuro, il romanzo inizia un 29 Maggio del 2015 alle ore 9:07 del
mattino. Siamo insomma in un mondo futuribile molto vicino al nostro presente.
E questo mondo e questo presente cominciamo a rileggerli attraverso lo sguardo,
il pensiero e i ricordi (occhi, mente e memoria) del nostro Anti-eroe, che sì,
fa l'ingegnere e si preoccupa di costruire ponti o di progettare opere
monumentali, ma in passato ha frequentato la Facoltà di Filosofia e avrebbe
tanto voluto dedicarsi a tempo piano proprio a questo, al “pensare”, al
“riflettere”, al “ragionare” sopra le Ultime Cose (le maiuscole: Pecoraro
abbonda nell'uso ironico e a volte melodrammatico delle maiuscole; Padre e
Madre essendo le due figure più importanti che ci siano all'interno della
trama).
E insomma, il romanzo scorre lungo il flusso di coscienza
debordante, strabordante e anche piuttosto interessante di questo “io” che
aspetta di imbarcarsi e aspettando pensa e ricorda e riflette sulla sua vita
passata, ma anche su quella presente (sua e dei suoi simili). E nonostante
tutto, e nonostante la quasi assenza totale di trama, non ci annoiamo, il
lettore è invitato a ripetere mentalmente lo stesso esercizio di riflessione
che conduce il Nostro:
“Quando pensiamo, non facciamo che smontare e rimontare continuamente
dati finché non vi troviamo un senso: la filosofia è interessante per questo”
(p. 282).
Ecco, è questo il merito del romanzo: spingerci a pensare e a
fare “filosofia” leggendo. Brandani riflette su tutto; si ha come la sensazione
che questo suo ennesimo viaggio di lavoro sia l'ultimo, come se ormai, giunto
al traguardo dei 69 anni, ormai vecchio, Brandani sentisse il bisogno di
liberarsi dalla mole di rabbia, di rancore, di stress che ha accumulato nel
corso della sua intera vita e usasse questa attesa in aeroporto per mostrare a
se stesso e, di riflesso, a noi lettori, questa sua “filosofia portatile” o
“ambulante”, una filosofia in cui si tenta la cartografia (oltre che la
radiografia) di una società precisa e circoscritta, ovvero, dell'Italia che va
dalla fine della Seconda Guerra Mondiale agli inizi (appunto) dei primi
vent'anni del XXI secolo.
E questo è un altro dei fattori a favore o dei punti di forza
di questo libro: Pecoraro si prefigge l'ambizioso progetto di costruire un'
“opera mondo” (per dirla con Moretti) per metterci dentro tutto, circoscriverci
il tutto o tutto quanto egli sa o è venuto a sapere sull'Italia, un paese
impossibilitato a gestire il caos, un paese in cui nessuno sa cosa vuol dire il
“bene comune”, un mondo a parte bravissimo ad auto-compiangersi e
auto-criticarsi, ma incapacissimo di migliorare o di andare avanti per strade
più morali e più civili.
Leggiamo i pensieri di questo ingegnere e vediamo Roma
(chiamata la Città di Dio, nel romanzo) il giorno in cui il Tevere straborda e
si allaga tutto e tutto va in tilt. E poi vediamo i meccanismi perversi e
malati di una grossa impresa che tenta di manipolare il Nostro attraverso il
profumo dei soldi (la frase “Non sono come voi” l'ingegner Brandani se la
ripete spesso, in questa fase “rampante” della sua vita di giovani
imprenditore, ma ormai sa che fa parte del sistema e che la sua tessera del
Partito Comunista non ha più alcun valore – perché il capitalismo è ovunque, ha
sfondate le difese di ognuno, non c'è più nulla fare). Si tratta di uno dei
capitoli centrali (e migliori) del romanzo, quando il capo invita l'ingegnere a
passare una vacanza sul mare con sua moglie e la sua barca enorme da arricchito
e Brandani accetta controvoglia e si ritrova nella trama di Il coltello
nell'acqua di Roman Polanski (uno di quei film che mostra alla perfezione
la teoria hobbesiana dell' “uomo come lupo verso gli altri uomini”). E vediamo
pure la giovinezza di questo Anti-eroe, quando, appunto, frequenta le lezioni
di Filosofia per diventare anche lui, a sua volta, un filosofo e si scontra
(anche fisicamente) con un mondo in preda alla frenesia della Rivoluzione del
Maggio parigino: il 68 come annus mirabilis per fare e disfare il
vecchio sistema, gli anni 70 (pre-Brigate Rosse) come isola felice per
riportare la giustizia anche all'interno dell'Università (via i baroni, via i
programmi scelti dall'alto, senza consultare le esigenze e gli interessi del
popolo studentesco). E così capiamo che ogni capitolo rappresenta uno scalino
in più che ci fa metaforicamente “scendere” lungo l'asse della cronologia
personale di Brandani: dalla giovenizza all'adolescenza e poi giù verso
l'infanzia e i primi contatti con il mondo (la cacca, i vermi, la chiesa, le
prediche delle suore e del Padre - figura mortalmente decisiva per Brandani
anche perché più invecchia e più tende a rassomigliarsi al genitore, la sua
faccia traspare dallo specchio di Brandani vecchio - e della Madre – figura positiva e
rassicurante, la donna che lo protegge, col suo profumo di buono).
A fare da “incipit” e da “explicit”, ad aprire e chiudere
come un circolo l'intero romanzo, una riflessione apocalittica sui batteri e
sui parassiti, sulla malattia che è vita e che causa morte in continuazione.
Sono pagine esagerate, in cui l'iperbole la fa da padrona, come si suol dire,
ma anche liriche, ritmate, pagine in cui vediamo all'opera una mente che non si
stanca di vedere il marcio intorno a noi e dentro di noi, una mente che si
direbbe “nichilista”, perché non sembra farsi illusioni né sembra credere in
Dio né in un ordine prestabilito. La mente di un filosofo, che va alla ricerca
di un senso che si sa già (purtroppo) perduto.
Un romanzo, questo di Pecoraro, che ci fa vedere la vita al
ralenty. E l'operazione è riuscita, forse anche grazie all'età anagrafica,
Anche Pecoraro come il suo protagonista ha 70 anni. Anche lui ha vissuto
parecchio prima di dirci come stanno effettivamente le cose...
No hay comentarios:
Publicar un comentario