lunes, octubre 06, 2014

La vita in tempo di pace, di Francesco Pecoraro (Ponte alle Grazie, 2013), ovvero: la vita al ralenty


Era da tempo che non mi capitava di leggere un romanzo di uno scrittore italiano; è da anni che aspetto che escano i nuovi “parti” di gente come Antonio Moresco o Sandro Veronesi (in realtà, del primo sono usciti già due titoli, l'anno scorso, mentre il secondo si prepara a mandare nelle librerie il suo Terre rare – bella la copertina, un po' meno il titolo, ma staremo a vedere... di certo sappiamo già che in quest'opera ricomparirà quel Pietro Paladini protagonista “immobile” di Caos calmo, risalente ormai a ben 9 anni fa).

E così, ecco che mi capita tra le mani La vita in tempo di pace, di tale Francesco Pecoraro, a me del tutto ignoto, nonostante la fascetta m'informi che questo romanzo è giunto in finale per il Premio Strega di quest'anno.

Un primissimo elemento che sorprende di questo libro è certamente la sua lunghezza: le 509 pagine dell'edizione che maneggio io avrebbero potuto essere tranquillamente il doppio se editore e autore avessero deciso di stamparlo in caratteri un po' più grandi. Si ha la sensazione di stare leggendo un classico, in una di quelle tipiche edizioni che spaventano un po' anche il più onnivoro dei lettori; La vita in tempo di pace è un tomo considerevole, occupa spazio, anche se è leggero, è imponente, sebbene la trama sia piuttosto risicata o labile o flebile.

L'ingegner Ivo Brandani è in attesa dell'aereo che lo riporterà in Egitto per realizzare una mega-opera che consiste nel riprodurre su scala reale la costa corallina del Mar Rosso; si tratta di un cosidetto fake, ma cosa non lo è, o non lo potrebbe diventare, in un futuro prossimo? A proposito di futuro, il romanzo inizia un 29 Maggio del 2015 alle ore 9:07 del mattino. Siamo insomma in un mondo futuribile molto vicino al nostro presente. E questo mondo e questo presente cominciamo a rileggerli attraverso lo sguardo, il pensiero e i ricordi (occhi, mente e memoria) del nostro Anti-eroe, che sì, fa l'ingegnere e si preoccupa di costruire ponti o di progettare opere monumentali, ma in passato ha frequentato la Facoltà di Filosofia e avrebbe tanto voluto dedicarsi a tempo piano proprio a questo, al “pensare”, al “riflettere”, al “ragionare” sopra le Ultime Cose (le maiuscole: Pecoraro abbonda nell'uso ironico e a volte melodrammatico delle maiuscole; Padre e Madre essendo le due figure più importanti che ci siano all'interno della trama).

E insomma, il romanzo scorre lungo il flusso di coscienza debordante, strabordante e anche piuttosto interessante di questo “io” che aspetta di imbarcarsi e aspettando pensa e ricorda e riflette sulla sua vita passata, ma anche su quella presente (sua e dei suoi simili). E nonostante tutto, e nonostante la quasi assenza totale di trama, non ci annoiamo, il lettore è invitato a ripetere mentalmente lo stesso esercizio di riflessione che conduce il Nostro:

“Quando pensiamo, non facciamo che smontare e rimontare continuamente dati finché non vi troviamo un senso: la filosofia è interessante per questo” (p. 282).

Ecco, è questo il merito del romanzo: spingerci a pensare e a fare “filosofia” leggendo. Brandani riflette su tutto; si ha come la sensazione che questo suo ennesimo viaggio di lavoro sia l'ultimo, come se ormai, giunto al traguardo dei 69 anni, ormai vecchio, Brandani sentisse il bisogno di liberarsi dalla mole di rabbia, di rancore, di stress che ha accumulato nel corso della sua intera vita e usasse questa attesa in aeroporto per mostrare a se stesso e, di riflesso, a noi lettori, questa sua “filosofia portatile” o “ambulante”, una filosofia in cui si tenta la cartografia (oltre che la radiografia) di una società precisa e circoscritta, ovvero, dell'Italia che va dalla fine della Seconda Guerra Mondiale agli inizi (appunto) dei primi vent'anni del XXI secolo.

E questo è un altro dei fattori a favore o dei punti di forza di questo libro: Pecoraro si prefigge l'ambizioso progetto di costruire un' “opera mondo” (per dirla con Moretti) per metterci dentro tutto, circoscriverci il tutto o tutto quanto egli sa o è venuto a sapere sull'Italia, un paese impossibilitato a gestire il caos, un paese in cui nessuno sa cosa vuol dire il “bene comune”, un mondo a parte bravissimo ad auto-compiangersi e auto-criticarsi, ma incapacissimo di migliorare o di andare avanti per strade più morali e più civili.

Leggiamo i pensieri di questo ingegnere e vediamo Roma (chiamata la Città di Dio, nel romanzo) il giorno in cui il Tevere straborda e si allaga tutto e tutto va in tilt. E poi vediamo i meccanismi perversi e malati di una grossa impresa che tenta di manipolare il Nostro attraverso il profumo dei soldi (la frase “Non sono come voi” l'ingegner Brandani se la ripete spesso, in questa fase “rampante” della sua vita di giovani imprenditore, ma ormai sa che fa parte del sistema e che la sua tessera del Partito Comunista non ha più alcun valore – perché il capitalismo è ovunque, ha sfondate le difese di ognuno, non c'è più nulla fare). Si tratta di uno dei capitoli centrali (e migliori) del romanzo, quando il capo invita l'ingegnere a passare una vacanza sul mare con sua moglie e la sua barca enorme da arricchito e Brandani accetta controvoglia e si ritrova nella trama di Il coltello nell'acqua di Roman Polanski (uno di quei film che mostra alla perfezione la teoria hobbesiana dell' “uomo come lupo verso gli altri uomini”). E vediamo pure la giovinezza di questo Anti-eroe, quando, appunto, frequenta le lezioni di Filosofia per diventare anche lui, a sua volta, un filosofo e si scontra (anche fisicamente) con un mondo in preda alla frenesia della Rivoluzione del Maggio parigino: il 68 come annus mirabilis per fare e disfare il vecchio sistema, gli anni 70 (pre-Brigate Rosse) come isola felice per riportare la giustizia anche all'interno dell'Università (via i baroni, via i programmi scelti dall'alto, senza consultare le esigenze e gli interessi del popolo studentesco). E così capiamo che ogni capitolo rappresenta uno scalino in più che ci fa metaforicamente “scendere” lungo l'asse della cronologia personale di Brandani: dalla giovenizza all'adolescenza e poi giù verso l'infanzia e i primi contatti con il mondo (la cacca, i vermi, la chiesa, le prediche delle suore e del Padre - figura mortalmente decisiva per Brandani anche perché più invecchia e più tende a rassomigliarsi al genitore, la sua faccia traspare dallo specchio di Brandani vecchio -  e della Madre – figura positiva e rassicurante, la donna che lo protegge, col suo profumo di buono).

A fare da “incipit” e da “explicit”, ad aprire e chiudere come un circolo l'intero romanzo, una riflessione apocalittica sui batteri e sui parassiti, sulla malattia che è vita e che causa morte in continuazione. Sono pagine esagerate, in cui l'iperbole la fa da padrona, come si suol dire, ma anche liriche, ritmate, pagine in cui vediamo all'opera una mente che non si stanca di vedere il marcio intorno a noi e dentro di noi, una mente che si direbbe “nichilista”, perché non sembra farsi illusioni né sembra credere in Dio né in un ordine prestabilito. La mente di un filosofo, che va alla ricerca di un senso che si sa già (purtroppo) perduto.


Un romanzo, questo di Pecoraro, che ci fa vedere la vita al ralenty. E l'operazione è riuscita, forse anche grazie all'età anagrafica, Anche Pecoraro come il suo protagonista ha 70 anni. Anche lui ha vissuto parecchio prima di dirci come stanno effettivamente le cose...

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