miércoles, abril 29, 2015

On the bus

Il bus è un ottimo osservatorio, come la metro, o il tram, se parliamo di grandi città, come Roma o Madrid o Parigi... E come tutti, anch'io ne approfitto, mi piace guardare chi mi siede di fronte o di fianco, chi mi accompagna in quel breve tragitto (circa 20 minuti) che va dal centro storico all'Università. Si ha la possibilità di scorgere paesaggi interessanti, volti che parlano, sguardi che accolgono o che, al contrario, respingono, tipi interessanti o che avresti voglia di conoscere, come questo signore sui ciquanta, tipica faccia da impiegato, uno con camicia e cravatta (bianca l'una, nera l'altra), ma senza giacca, uno che porta allegramente i jeans e che a questi abbina un paio di mocassini neri che fanno molto anni '70.

Il tizio - dopo essersi sistemato - estrae puntualmente un enorme bloc-notes su cui comincia a scrivere in modo a tratti forsennato, come se non ci fosse un domani e come se quello che ha tra le mani fosse il romanzo di una vita, un libro su cui ha puntato tutto.

È mancino, scrive con la sinistra, la destra gli serve per tenere fermo il bloc-notes, e ogni tanto smette di scrivere, e guarda fuori dal finestrino del bus, sembra contempli il paesaggio (colline, montagnole, nuvole strascicate che si sciolgono sotto i raggi potenti del sole del Levante) per poi ributtarsi a capofitto sui suoi fogli, pieni zeppi di una scrittura fine e piccolissima (come si dice che scrivesse Robert Walser prima di morire, quando era già stato internato in un manicomio svizzero, almeno stando a quanto racconta Enrique Vila-Matas in Doctor Pasavento), una grafia particolarmente minuscola, che deve causargli sicuramente qualche problema di vista, anche se lui non porta gli occhiali, né sembra che ne abbia urgente bisogno, ma insomma, a lungo andare, se scrivi a quel modo, la vista dovrebbe risentirne, non trovi?

E uno si domanda subito: "Ma che cosa mai starà scrivendo? Di cosa si starà occupando? È un collega (un prof)? È un impiegato dell'Università (magari un segretario)? È uno scrittore di professione? È un pazzo? È un genio? E uno pagherebbe per poter trovar risposta a queste domande, o allungare il collo e - scorgendosi un po' - riuscire a captare e decifrare almeno una delle mille frasi che quest'uomo qualunque butta giù con una fretta, un impegno e una foga incredibili...

Scendiamo alla stessa fermata, e cioè, a due passi dall'Università: poi io vado a sinistra e lui va a destra e per questo mi domando se sia un collega o non, piuttosto, un segretario, uno dell'ammistrazione, un tecnico, chessòio, un informatico, uno di quelli addetti ad aggiustare i pc dei docenti quando s'impallano e non ti fanno più lavorare.

Un giorno o l'altro svierò a destra e vedrò di chiarire l'arcano. O forse no, e continuerò a vivere il mistero dell'uomo qualunque che scrive come un forsennato su un enorme bloc-notes appunti di chissà quale diario, di chissà quale romanzo, di chissà quale racconto entusiasmante ed intrigante... Un vero e proprio mistero...

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