martes, noviembre 17, 2015


RECENSIONI

Chi mi conosce nel piano della “realtà” (Nabokov la scriveva sempre tra virgolette, questa parola, e come dargli torto) e non solo e soltanto su quello della “virtualità” (o del “cyber-spazio” di questo “diario di bordo”), sa bene che mi risulta difficile, a volte impossibile, dire di “no” agli amici... Sono – come suolsi dire – “molto amico dei miei amici” e, quindi, se uno di loro mi scrive e mi chiede il suo parere su un suo libro appena uscito e mi lascia intuire che gli piacerebbe che io scrivessi per lui una recensione al suo testo fresco di stampa, ecco, se uno di loro fa così, io non riesco a dire di no, tendo sempre ad accettare, dimenticandomi del fatto che, nella vita di tutti i giorni, il lavoro che faccio mi obbliga a leggerne altri 100 di libri che non sono stati scritti dai miei amici, altri 1000, di testi a volte non così ameni o divertenti come quelli che mi piacerebbe leggere.

E così, all’improvviso, e senza quasi rendermene bene conto, mi ritrovo con la scrivania dello studiolo invasa da libri da recensire, tomi che (in alcuni casi) sfiorano le 500 pagine, e mi tremano i polsi all’idea di dover poi consegnare la recensione entro (mettiamo) il 15 di Gennaio, o il 20 di Febbraio, o il 30 di Marzo.

Il primo è un saggio di critica letteraria sul concetto di flâneurie e la narrativa di un autore spagnolo molto quotato (forse un po’ sopravvalutato). Il libro mi arriva dalla “University of Liverpool”, da parte di una collega e amica che lavora per una rivista scientifica tra le più importanti del mio ambito di ricerca. L’autore, inglese, analizza le opere di quest’autore (che non voglio citare, per non dargli ulteriore pubblicità) a partire dal concetto succitato: a quanto ricordo, la figura del flâneur (del “passeggiatore solitario”, per così dire) nasce con la poesia di Baudelaire, ovvero, quando la città in quanto “cosmo” entra di prepotenza nell’immaginario collettivo e il poeta diventa vagabondo che canta le stranezze, le bellezze, le bruttezze, le sconcezze dell’urbe moderna e modernizzata... Dal risvolto di copertina, si capisce che l’autore fa riferimento anche ad altri modelli e cita E. A. Poe (non lo sospettavo) e Walter Benjamin (lui sì, sapevo che prima di morire aveva in mente di scrivere un tomo su Parigi, capitale europea, un testo dove il vagabondare diventa sinonimo di rimemorare il passato – personale e storico, ovvero, intimo e collettivo – dell’autore e di una nazione). E citando Benjamin, il pensiero corre alle sue letture della Recherche proustiana e a quell’altro flâneur dell’anima umana che fu Marcel Proust... Insomma, si prospetta come una lettura interessante, vedremo se l’autore oggetto di studio sarà all’altezza dei modelli citati (ora che ci penso: pure Fernando Pessoa è catalogabile come flâneur, anche se, a quanto ricordo, non si mosse mai da Lisboa, o solo rare volte, era un sedentario, ma con l’immaginazione volava alto, altro che...).

Il secondo tomo è davvero un volume gigante, sul “fantastico” all’interno del “fumetto”. Gli autori (sono due) ripercorrono la storia del genere a partire da questo elemento e mi viene subito un dubbio: cos’è “fantastico”? Cosa dobbiamo o possiamo intendere con questo termine? Comunque, basta sfogliare il libro per rendersi (fortunatamente) conto che è pieno d’immagini; anzi, a guardare bene, la parte scritta è nettamente inferiore a quella iconografica. E quindi mi domando: cosa scriverò nella recensione se sembra che ci sia poco da recensire? Dovrò parlare delle fonti iconiche? Certo è che scoprirò fumetti mai visti prima. Il panorama è davvero ampio (dagli USA anni 20 alla Francia anni 80, passando per la Spagna anni 40 e l’Italia anni 70 – Guido Crepax, Hugo Pratt, Leone Frollo, quanti geni ha dato l’Italia al genere “fumetto”!).

Il terzo libro è un’altro saggio, sul teatro di Juan Benet, uno degli scrittori più strani, affascinanti, ostici, complessi, geniali che la letteratura spagnola abbia mai creato negli ultimi 50 anni... Ingegnere di professione, come il nostro benemerito Carlo Emilio Gadda, Benet si è dedicato alla letteratura solo come passatempo, come hobby, come forma d’ozio. Risultato? Ha dato alle stampe uno dei romanzi più enigmatici che siano mai stati pubblicati in Spagna negli anni 70 (Volverás a Región, del 1969); una serie di saggi di altissimo livello e capaci di catturare l’attenzione anche del lettore più svagato o distratto su questioni “facili facili” come il Tempo, la Morte, l’Amore, il Tradimento, l’Origine delle Lingue, l’Origine dell’Uomo, Dio, l’Apocalisse, et coetera... et coetera...; una serie di racconti, favole e, appunto, opere teatrali inclassificabili.
So già che la lettura di questo saggio mi terrà inchiodato alla sedia (o al sofà) per un fine settimana intero. La mia compagna di sventure è avvisata. Non disturbare. Lettura in corso. Lettore in azione.

Il quarto e ultimo libro di cui dovrei dare un’opinione scritta poi convertibile in recensione è... No, di questo meglio che non parlo. Non ora. Non qui. Di certo è che non mi annoierò. Non è un saggio, ma un romanzo. E siccome chi lo scrive è davvero una persona amica, non voglio parlarne a sproposito per scaramanzia (e mettiamo poi che non mi piace? Che Dio ce ne scampi e liberi! È difficilissimo scrivere una recensione di un romanzo di un’amica che poi scopriamo non essere all’altezza: che fai? Fingi? T’inventi una recensione positiva anche se poi riconosci che il libro non vale molto? Come si fa? Come ci si comporta quando si vuole essere onesti intellettualmente e, allo stesso tempo, non si vuole ferire la sensibilità di una persona che conosciamo, che ammiriamo umanamente, e che letterariamente può fallire? Chi sono io per giudicare gli altri? Quest’ultima domanda me la faccio ogniqualvolta mi si chiede di scrivere una recensione; non credo che il mio parere sia più valido o azzeccato o scientificamente sicuro di quello di un altro; e poi, di nuovo: ma chi sono io per giudicare lo sforzo di un altro?).

E insomma: quattro recensioni su quattro testi diversi da fare entro massimo quattro mesi (Marzo 2016  la dead-line).


Speriamo bene...

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