lunes, junio 18, 2018

Mircea Cărtărescu: scrittore folle



Primo scrittore rumeno che leggo in vita mia, Mircea Cărtărescu è un folle che scrive come pochi in questo Pianeta; a metà tra un romanzo di Antonio Moresco e un film di David Lynch, Travesti è solo un esempio delle pazzie che sa fare con le parole e con l’immaginazione questo mostro (poeta, ancor prima che romanziere)…

Inizio a leggere il romanzo (che parte in seconda persona singolare) e mi accorgo subito della levatura stilistica ed etica di questo autore (a mo’ d’esempio, copio e incollo la p. 13):

“Ero assai più solo di quanto non lo sia ora, che sono molto solo. La mia professione, all’epoca, era la solitudine. La esercitavo per le vie gialle e polverose di Bucarest, nei vecchi quartieri, a me sconosciuti fino a quel momento. Passeggiavo tutto il giorno, recitando versi a voce alta, suscitando l’orrore dei passanti con miei occhi allucinati, con il mio volto pallido e asimmetrico, con le labbra screpolate e morsicate sotto un accenno di baffi. Cercavo case molto vecchie, gialle, con decorazioni stupide e solenni, o edifici bizzarri, sottili come una lama di rasoio, che proiettavano la loro ombra, quella di uno gnomone, su piazzette solitarie. Talvolta entravo in questi edifici misteriosi, percorrevo gli atri che sapevano di vecchio e di disinfettante, salivo le scale a spirale particolarmente strette, con piccoli pianerottoli qua e là dove, nella luce dorata di una finestra rotonda, si accartocciavano le foglie polverose di qualche ficus o di un oleandro dimenticato da tutti e quasi disseccato, salivo più su, fino alla mansarda, e bussavo a una qualche porta verde, che pareva essersi riempita nell’attesa di ragnatele. Inventavo qualcosa e scendevo giù, sbucavo di nuovo alla luce del sole omogenea e pacifica, percorrevo ancora strade striate da binari di tram, m’infognavo in zone sconosciute della città. Edifici rosa, edifici scarlatti, con balconi sostenuti da atlanti e gorgoni dalle tette di gesso ingiallite per l’umidità, statue coperte di verderame a cui nessuno presta più attenzione –io le abbracciavo nella mia solitudine, ne accarezzavo la guancia escoriata, le aiutavo a rinascere a una realtà più profonda, in un’aura metafisica e radiosa”.

Ci sembra di essere proprio lì con lui, in questo brano, in compagnia del poeta-scrittore (di colui che dice “io” e che sembra coincidere pienamente con l’autore in carne ed ossa) che passeggia in mezzo a quelle case semi-distrutte e orride di Bucarest; un anti-eroe contemporaneo che non trova nulla di meglio da fare che bearsi del suo stato di solitario perenne e che, con atteggiamento quasi masochista, gode della vista di questi orrori architettonici. Eppure, tutto ciò che vede, tutto ciò che i suoi occhi carezzano, o che le sue mani toccano, diventa “poesia”: l’autore possiede un senso del ritmo incredibile e una capacità di “creare” immagini che sembrano – appunto – caratteristiche più tipiche di un poeta che di un romanziere…

È un autore strambo e strano, questo Mircea Cărtărescu, perché nel suo viaggio surreale, nella sua personale discesa agli Inferi, sa rappresentare visualmente i conflitti del protagonista, un ragazzo che (negli anni 90) in gita scolastica viene approcciato da un amico che si traveste e che si fa chiamare Lulù (e chi è Victor, quel destinatario esplicito che chiama in causa sin dalla prima pagina? Il suo “io” da adolescente? L’adolescenza è sempre “ermafrodita”? È possibile tornare a vivere il proprio passato? Queste sono solo alcune delle questioni che solleva la trama di Travesti). 

A tratti Borges e a tratti Proust, l’autore va disegnando un paesaggio morale, politico e ideologico all’interno del quale al lettore è assegnato il (duro e arduo) compito di “co-autore”: la lettura è un processo d’interpretazione costante e, a volte anche estenuante, nel caso di Mircea Cărtărescu, ma quando si arriva alla pagina finale, quando si giunge in porto, dopo tante tempeste e maremoti, dopo tante visioni stralunate e da incubo, si sente, si avverte, si capisce, che ne è valsa davvero la pena…(oltre ai due autori citati, ricorda molto anche Kafka, come se si trattasse di un Kafka che allungasse all'infinito le trame dei suoi racconti brevi...).

E dopo Travesti, sono certo che m’immergerò nelle altre sue due imprese folli: Abbacinante (romanzo-universo scritto in 3 parti tra il 1996 e il 2007 – e che già solo dalla struttura mi ricorda quell’enorme follia di Antonio Moresco che va sotto il nome di L’increato) e Solenoid (del 2015), già tradotto in spagnolo e in attesa di traduzione in italiano…

E parlando di traduzione: complimenti, intanto, a Bruno Mazzoni, perché trasportare nella nostra lingua uno scrittore del genere deve essere davvero una grande sfida (e, in tal caso, la sfida è vinta perché il traduttore riesce a darci l’idea della fluidità e della complessità, delle mille sfaccettature e musicalità della scrittura dell’autore).

Ne riparleremo certamente su questi schermi…

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