viernes, enero 04, 2019

Dogman (2018), di Matteo Garrone: un film sulla bestialità degli esseri umani


Ci sono due aspetti che colpiscono di Dogman, l'ultimo film di Matteo Garrone (vincitore - a ragione - di svariati premi internazionali, tra cui la Palma d'Oro al Miglior Attore al bravissimo Marcello Fonte): il primo è dato dal modo in cui è inquadrato il paesaggio (un'innominata città di mare che ricorda, o potrebbe vagamente ricordare, Ostia o il litorale romano); il secondo è rappresentato dal modo in cui è presentato il protagonista, un uomo qualunque, un uomo della strada, un "uomo senza qualità" (per citare Musil), qui incarnato dal bravissimo e succitato Marcello Fonte.

Il paesaggio (fotografato in un modo incredibilmente poetico ed elegante) sembra ricondurci ai film western o alle atmosfere di John Ford o di Sergio Leone: è un paesaggio triste, tremendamente cupo, in cui la vicinanza col mare non dà - paradossalmente - alcuna speranza a chi è costretto a viverci. Anzi, il mare sembra lontanissimo, anche se da qualche inquadratura in campo lungo se ne intuisce il suono e se ne intravede qualche lembo. In questo ambito, la sabbia che arriva a toccare i marciapiedi e le strade asfaltate, il parco giochi e il negozio per cani di cui è proprietario Marcello sembra essere cemento o polvere sporca, sembra essere cenere o scarto da cantiere.

Va notato pure che, in questo paesaggio freddo e ostico, non appaiono mai bambini o se appaiono sono sempre ripresi fuori campo, sgranati o sfocati (tranne la figlia di Marcello, che ha un'evidente funzione drammatica: elevare all'ennesima potenza i dilemmi morali di un poveraccio che vorrebbe evitare di delinquere, vorrebbe salvarsi dalle grinfie di un drogato senza scrupoli, e non sa che pesci pigliare, non sa come farsi rispettare). E se è per quello, in questo contesto spaziale non ci sono quasi vicini di casa, non si sentono voci umane, tranne quelle dei pochi colleghi e amici di Marcello, destinati poi a diventare i suoi nemici acerrimi (suo malgrado).

In quanto al personaggio, al protagonista, Marcello: fa davvero impressione constatare come il regista ci spinga ad empatizzare con lui, con quest'omino che quasi senza accorgersene finisce tra le braccia di Samuele, il drogato pazzo di cui sopra: un giovane senza speranze che trova sfogo nella droga e nei furti che gli permettono di comprarsela. Marcello (che deve moltissimo alle espressioni a metà tra l'innocenza e lo stupore sinceri di Marcello Fonte, qui attore pasoliniano in epoca post-pasoliniana e post-neorealista e che può ricordare quello stesso Franco Citti che Pasolini assoldò per Accattone) ci ispira pietà e, al contempo, fastidio, perché noi vorremmo parteggiare per lui, vorremmo aiutarlo a salvarsi, ma è lui che non apre gli occhi, è colpa sua se finisce a farsi un anno di carcere pur di non fare il nome del vero colpevole di un furto con scasso che lo renderà "ostile" agli occhi degli altri poveracci che frequentano il quartiere.

La scena in cui, dopo aver scoperto che Simone e un socio hanno letteralmente rinchiuso nel freezer un cagnolino che abbaiava troppo nell'appartamento in cui sono entrati a rubare, Marcello decide di tornare indietro per liberarlo e "scongelarlo", ecco, questa sola scena rende merito all'intero film, per come ci obbliga a guardare ciò che succede davanti alla telecamera, per come ci spinge a metterci nei panni del protagonista, per come ci obbliga a guardare con altri occhi la realtà che ci circonda (per non parlare della tenerezza che ispira il personaggio quando, con tenerezza, si rivolge ai cani chiamandoli "amore"; un modo di rapportarsi agli animali che non può vigere nei rapporti tra gli esseri dis-umani che vivono nel suo quartiere).

Dogman è un film duro, violento, ma di una violenza non spettacolarizzata (come è quella di Tarantino, per intenderci), che va dritto al nodo della questione: come un uomo qualunque, un uomo all'apparenza "per bene" possa essere costretto a diventare "cattivo" o a vendicarsi per i soprusi dei "cattivi".

Non commenterò la scena finale: non solo perché voglio evitare di fare spoiler, ma perché, credo, una volta iniziato il film, lo spettatore non potrà fare a meno di aspettare con ansia che arrivi questa benedetta scena finale. Perché è quando arriva che si ha la sensazione di aver vissuto un incubo, in compagnia di un "dogman" che sa che gli esseri umani possono essere molto più "bestie" degli stessi animali.

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