domingo, noviembre 24, 2019

Il colibrì (2019) di Sandro Veronesi: un romanzo che lascia il segno, come si suol dire...


Fermo restando che sono un fan di Sandro Veronesi, e premettendo che attendo sempre con ansia e gioia l'uscita di ogni suo nuovo romanzo, dobbiamo dire che Il colibrì (l'ultimo suo parto - ci ha messo 4 anni a scriverlo, da Roma "e tanti altri luoghi", come recita l'ultima sezione del libro) non è il suo miglior romanzo, essendo - a mio modesto parere - "il" migliore "La forza del passato" (del 2000).

E però, nonostante le sue imperfezioni, nonostante le sue pecche, nonostante le sue esagerazioni, nonostante tutto, insomma, Il colibrì è un romanzo che lascia il segno, come si suol dire, e che spinge a riflettere e ad emozionarsi, a fare il tifo per Marco Carrera, l'oftalmologo protagonista degli eventi, e a non vedere l'ora di vedere come va a finire la storia di questo personaggio, essendo la suspense una tecnica che Veronesi usa e distilla al millimetro con vera maestria da scrittore che ha anni d'esperienza alle spalle (e un XY risalente al 2010...).

Ma veniamo al dunque: Il colibrì fa riflettere ed emoziona perché tocca argomenti universali che riguardano la specie umana da che Homo Sapiens è sulla terra: l'amore, la morte, i contrasti familiari e tra le generazioni, la capacità che abbiamo (o che non abbiamo quasi mai) di gestire il dolore e il lutto, la capacità che abbiamo (o che abbiamo solo a volte) di rimetterci in piedi, dopo un dolore o un lutto che sembrano paralizzarci...

E Veronesi fa questo (parla di queste cose, di questi, diciamo così, "argomenti universali", di questi nodi cruciali per ognuno di noi) con uno stile apparantemente semplice, un tono affabile, un lessico colloquiale, e invece...

E invece non è proprio così, perché basta stare un po' attenti e ci si rende conto che molti brani li scrive assumendo il tono e lo stile, la voce del Dio del Vecchio Testamento, ovvero, di un dio supremo e spietato che tutto sa e tutto conosce e a cui nessun destino umano (o sovraumano) può sfuggire...E allora uno pensa anche all'altro libro "recente" di Veronesi, che s'intitola "Non dirlo"  (del 2015) e che è una sorta di commento appassionato (da scrittore e da letterato, da intellettuale non credente e da cinefilo) del Vangelo secondo San Marco e nota che tutti i passaggi scritti per esaltare il futuro "nel" passato (o il futuro "del" passato) suonano a Vangelo o a Bibbia, fanno venire i brividi ed emozionano proprio perché a scriverli sembra essere un Essere Superiore che sta al di là del bene e del male e che non sembra preoccuparsi più di tanto per gli strazi delle marionette che usa a suo piacimento.

E poi ci sono le lettere che si scambiano "ottocentescamente" Marco e Luisa, un amore nato in spiaggia, lui poco più che ventenne, lei appena quindicenne, e andato avanti per tutta la vita, praticamente, nonostante ognuno dei due amanti abbia preso strade completamente diverse e si sia sposato con terzi e abbia avuto figli con questi terzi...una a Parigi, l'altro a Firenze... "Due deficienti", come li definisce giustamente questo narratore in terza persona e onnisciente che gioca a fare Dio... Due romantici fuori dal coro che continuano a credere a un amore platonico e che, l'unica volta che hanno modo di consumare, in albergo, evitano il tutto giurandosi sadomasochisticamente "astensione carnale" totale, un'assurdità, appunto e vista con gli occhi del presente.

Ecco: il tono che assume il narratore onnisciente e lo scambio epistolare tra Marco e Luisa; sono questi i due punti forti di questo romanzo che mi ha portato fino alle lacrime (nella scena finale e conclusiva che non svelerò, ovviamente, per non togliere il piacere a quelle due o tre lettrici che ancora mi leggono) e che mi ha fatto riflettere ed emozionare nel corso dei 3 giorni che è durata la lettura (intensa e appassionata) del romanzo.

Bravo, Sandro Veronesi...nonostante le imperfezioni o le esagerazioni, nonostante tutto. Sei stato davvero bravo a scendere così a fondo nell'animo dell'essere umano.

1 comentario:

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