miércoles, diciembre 11, 2019

Che fine hanno fatto?



Mentre ascolto La luna piena cantata da Jovanotti, mi vengono in mente delle persone che ho solo intravisto per una frazione di secondi, nella mia vita, e che per motivi diversi mi hanno lasciato una certa impressione indelebile nella memoria; persone di cui non conosco il nome e che, una volta sparite dal mio orizzonte visuale, non sono mai più tornate in vita, come se fossero morte o come se fossero cadute in un buco nero (il buco nero dell'oblio? Non proprio, perché se le ricordo ancora oggi, queste persone, un motivo ci deve essere).

Dunque, rimembrando a casaccio, ecco la bibliotecaria che fuma come un turco, pacchetti di Marlboro rosse, come quelle che fuma anche mio padre... Ha il viso simpatico di una donna di mezza età (dunque, e stando agli assurdi parametri attuali, una donna sui 60 anni) e indossa il camice bianco da infermiera: mi sorride sempre, è sempre stata molto gentile con me, mi ha sempre trattato con un certo rispetto e con enorme professionalità, quando, al bancone, ho fatto una richiesta particolare o ho chiesto il favore di prolungare un prestito... 

Mesi e mesi di gesti quotidiani ripetuti ad libitum e poi, all'improvviso, il mio personale "angelo custode" della Biblioteca non c'è più: c'è una collega che la sostituisce e che allude a gravi motivi di salute (con tutte quelle sigarette!); un'altra che ammette di non sapere se lavora ancora lì da loro; un'altra che svicola la domanda, evita di rispondere, non vuole impicciarsi degli affari di una collega...cara bibliotecaria dal sorriso sempre smagliante, nonostante le mille sigarette, sarai ancora viva o sarai già finita nel regno dei più?

E poi c'è un'altra signora, questa volta completamente sconosciuta, una bionda, bella e alta, slanciata ed elegante, pur essendo casual, con cui m'imbattei tanti anni fa a Trento (era la primissima volta che mettevo piede a Trento e rimasi affascinato dai paesaggi innevati delle montagne che ti circondavano ovunque, a 360 gradi)... La seguii, per un tratto, e a un certo punto sembrava che fosse lei a seguire me, perché io cercavo la Feltrinelli e lei sembrava dirigersi proprio verso la Feltrinelli. E iniziai a fantasticare e ad immaginare un nostro incontro galante (io avevo sui 30 anni all'epoca; la sconosciuta, come la bibliotecaria, il doppio). Indossava un giubbotto di pelle nero, dei jeans consumati all'altezza delle gambe, un paio di stivali con i tacchi a spillo; avevo iniziato a trovare una scusa per attaccar bottone, ma poi non ebbi proprio il coraggio di avvicinarmi; stavo già immaginando una scena porno sul letto dell'albergo in cui alloggiavo; sentivo già il sangue ribollirmi nelle vene; poi avvistai la Feltrinelli e lei entrò da un'altra parte (Zara, Benetton, un negozio di vestiti, ora non ricordo) e io mi nascosi in una fumetteria apparsa anch'essa all'improvviso...il viso arrossito dalla vergogna, il fiato corto, la pippa mentale attorno all'incontro svanito senza essere nemmeno cominciato...come mi era venuta in mente una cosa simile?

E poi c'è una giornalista, quella giornalista. È una donna bassa e grassa dall'aspetto incupito, una persona che non trasmette serenità, anzi, una da cui ci si sente subito respinti. Entra in aula alle 9 e 10, in anticipo su tutti, anche sugli alunni; il congresso inizierà alle 9 e 30 e non capisco cosa ci faccia qui questa giornalista; mi saluta come se ci conoscessimo da una vita e, sfoggiando un sorriso falsissimo, mi dà del lei e m'inizia a fare una serie di domande sulle tematiche che affronteremo nel corso della giornata, su chi sono gli ospiti, sul perché vogliamo fomentare la lettura tra i giovani.
Io rispondo come posso, sono ancora mezzo addormentato e nessuno mi ha parlato di un'intervista da concedere prima dell'inizio del congresso. Le chiedo per chi lavora; mi risponde per una radio locale di cui non avevo mai sentito prima il nome; poi mi ringrazia e io le stringo la mano, umida e viscida, e fa sparire il microfono e un microregistratore (perché un'attrezzo simile quando i cellulari anche più banali sono dotati della funzione di "registrazione"?). Entra un mio collega e mi chiede chi sia quella donna. "Non lo so", mi sento rispondergli, con la faccia da ebete, con l'incertezza che mi spinge a chiedermi perché abbia davvero sentito l'urgenza di rispondere alle domande di una perfetta sconosciuta.
E se non lavorava affatto per la radio di cui mi ha parlato? E se non era affatto una giornalista?

Che fine hanno fatto questi tre fantasmi del passato? E perché continuo a ricordarmene? Sono tutte e tre donne; due su tre hanno l'età di mia madre (o quasi); una avrei voluto perfino portarmela a letto; l'altra mi fa pena (e se ha un tumore ai polmoni?) e l'altra mi repelle...Ma perché?

Juan Benet soleva dire che "la memoria è un dito tremante"; ed in effetti non possiamo dargli torto: il dito prova ad indicare il verso giusto, a segnalare la persona esatta con cui si è parlato, con cui abbiamo avuto un qualche minimo contatto visuale, ma non ce la fa, il dito trema, tremola, tentenna, indica persone che non coincidono più con quelle che abbiamo visto in passato, che abbiamo desiderato o temuto nel nostro passato e non c'è modo di sapere dove si sia cacciate, dove siano andate a finire, se davvero sono andate a finire da qualche parte.

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