sábado, febrero 29, 2020

Panico a Napoli


Dopo quasi due mesi, grazie a un congresso organizzato dagli amici (e colleghi) dell' "Orientale", si torna a respirare l'aria d'Italia. La propria terra. La patria. Le radici. La lingua materna. L'utero da cui si è fuorisciti e a cui si aspira sempre a tornare.

All'atterraggio ci misurano la febbre con una sorta di pistola laser puntata sulla fronte: posso passare, non ho il coronavirus...meno male...

In città, per il centro storico, è facile imbattersi in intere famiglie con la mascherina sulla bocca. Per un attimo, mi sembra di essere precipitato ad Atlanta (Georgia, USA), sul set di The Walking Dead...

Il chiasso, la musica e le risate napoletane (con il bellissimo lungomare sul Golfo e l'imponente Vesuvio a fare da guardiano sullo sfondo) non riescono ad attutire l'atmosfera di terrore muto (o panico serpeggiante) che si respira in città. 

Mentre faccio il mio intervento (e noto che il collega di Letteratura Francese prende appunti e quello di Letteratura Italiana si appresta ad alzare la mano per farmi una domanda - verterà su Eugenio Montale e l'influsso dello stesso sul poeta spagnolo di cui parlo), contemplo il mare brillante, luccicante, bellissimo di Napoli (il tramonto è una visuale che toglie il fiato: c'è gente che viene da Torino che non può evitare di scattare foto a go go).

Poi si torna in albergo: noto solo ora che la manutenzione degli ascensori è affidata a una ditta il cui capo si chiama "A. Panico"... La collega napoletana che ha organizzato il congresso mi fa notare che a Napoli quel cognome si pronuncia con l'accento tonico sulla penultima sillaba: "Panìco"... Dormo più tranquillo.

La mattina dopo è l'ora di tornare a Capo di Chino (o non si scriverà forse tutto attaccato? Capodichino? Inizio a perdere il mio italiano; durante l'intervento tremavo all'idea di sbagliare parole, di confendere il lessico, d'inventare neologismi (si dice "mutevolezza" o "mutezza"? Treccani salvaci tu). Di nuovo, scene apolattiche, persone in fila in silenzio che evitano addirittura lo sguardo dell'altro; i cinesi si tengono in disparte, sanno di venire giudicati in questi giorni di follia e insensatezza; mancheranno poche ore a che la frittata si ribalti e saremo noi italiani quelli da tenere a debita distanza.

Faccio appena in tempo a comprare Studiolo, un saggio di Giorgio Agamben che mi attira subito per l'immagine di copertina e appena uscito da Einaudi. Si vede Noè disteso, come fosse ubriaco, attorniato da almeno 4 personaggi (chi sono? Perché Noè è seminudo? Dorme il sonno degli ubriachi o il sonno dei santi?).

Atterro a Valencia e i giornali cominciano a parlare del virus che inizia a propagarsi in Italia: al rientro al lavoro, alcuni colleghi mi chiederanno informazioni utili e altri eviteranno di salutarmi o di abbracciarmi. Chi è ora l'appestato? I cinesi o gli italiani?

Alle 18:30 ho lezione. Entrando in aula mi accorgerò di avere tra gli studenti una cinese e due ragazzi di Taiwan. Il mondo è davvero un villaggio globale. E non si salva proprio nessuno.

Poi scatta la fase della nostalgia: vedi Napoli e poi muori. E poi sogni di tornarci. Napoli: che grande bellezza!

No hay comentarios:

Publicar un comentario

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...