sábado, julio 24, 2021

 Accettare il presente



Dunque, il punto è questo: facciamo fatica ad accettare il presente, ovvero, a vivere lì dove stiamo e nel momento in cui siamo. Senza dover scomodare Sant'Antagostino, abbiamo una tendenza innata nello spostarci lungo l'asse del tempo tornando (e guardando) indietro, verso il passato e i ricordi ad esso legati, e, al contempo, ad anticipare eventi e pronostici spostandoci (e spiando) in avanti, verso il futuro e i sogni e le illusioni ad esso legati. Nel mezzo, appunto, c'è quel presente che facciamo fatica a vivere in quanto tale e a spremere quanto sarebbe opportuno spremerlo, a goderlo, a viverlo fino in fondo, con tutti i pro e tutti i contra che un'operazione del genere implica (è inevitabile che ci siano "presenti" che vorremmo sfuggire o evitare come la peste; così come ce ne sono altri che vorremmo non finissero mai, come quando stiamo bene con la persona amata o stiamo godendo a letto grazie ad un orgasmo dato o ricevuto dalla persona amata o come quando sappiamo che stiamo per incontrare la persona amata e già solo quest'idea ci eccita e ci spinge a goderne al massimo - Leopardi docet: "Non è tanto la soddisfazione del piacere a dare piacere quanto l'attesa del piacere" - o non era lui? Fa niente, andiamo avanti).

Insomma, abbiamo quasi sempre (quasi tutti) un rapporto piuttosto conflittuale con il "momento presente" e tendiamo quasi sempre (quasi tutti) ad idealizzare i "momenti passati" (o a guardarli con tenerezza e una certa nota malinconica o nostalgica) e ad anticipare i "momenti futuri" (come se non lo sapessimo già che ogni "anticipazione" potrà venire contraddetta dalla realtà fattuale). E questo è ciò che ho sperimentato guardando un film struggente e assolutamente pessimista, uno di quei film che non andrebbero mai guardati quando uno si sente solo e depresso e avrebbe voglia di suicidarsi (in senso metaforico, almeno nel mio caso): mi riferisco a Revolutionary Road, di Sam Mendes, del 2008, con gli splendidi Leonardo Di Caprio e Kate Winslet (due interpretazioni da Oscar, non ci sono dubbi).

Ecco: in Revolutionary Road lo spettatore tocca con mano (e vede con gli occhi) che cosa significa per noi, esseri umani, non riuscire a vivere il presente: lei sogna di trasferirsi a Parigi, dove spera che lui torni ad assaporare la vita e l'amore al massimo grado; lui all'inizio si lascia convinvere dalla proposta romantica di lei, ma poi, dinanzi ad un considerevole aumento di stipendio e di contratto, decide che forse è meglio restare negli Stati Uniti d'America, che forse anche nell'ambito di una "normale" vita borghese benestante si può essere felici o si può vivere una vita felice. È a partire da questo contrasto di vedute che scoppia la tragedia: lui non vuole più rincorrere i sogni del passato in nome di un futuro diverso, mentre lei non riesce più ad accettare il presente, dopo un passato tanto roseo e un futuro negato (per colpa del pragmatismo e del materialismo di lui).

Non serve che mi metta a "spoilerare" qui come finisce la storia; ripeto, è una storia tragica, assolutamente cupa e triste e deprimente... E uno, dopo che ha avuto modo di vedere un suo terzo articolo pubblicato sulla pagina culturale di un giornale importante della regione in cui si trova; uno che ha avuto la fortuna di pranzare con uno scrittore di notevole prestigio e alta qualità letteraria; uno che ha goduto di Eros grazie al trasporto passionale e assurdo di una donna eccezionale sia sul fronte fisico che su quello intellettuale; ecco, uno che ha potuto vivere queste esperienze (ed altre che non sto qui a citare), non dovrebbe sentirsi depresso o triste o solitario o angosciato a tal punto da mettersi a guardare un film come Revolutionary Road. Uno dovrebbe avere il coraggio di dirlo: "Ho vissuto queste esperienze e sono state tutte positive ed eccitanti e gratificanti e stimolanti" e non rimpiagere il passato se già paventa che quello che è stato vissuto "al massimo grado" non tornerà più in futuro. Uno dovrebbe accontentarsi e guardare alla vita con allegria e ottimismo, invece che piangersi addosso. L'ho già scritto in un altro "post" del passato: siamo tutti degli eterni insoddisfatti, sempre scontenti di ciò che già abbiamo e desideriamo sempre ciò che non c'è o non è a nostra portata di mano. Dovremmo davvero imparare a "desiderare ciò che abbiamo", come disse una volta il regista Bigas Luna citando - forse - proprio quel Sant'Antagostino che non ho voluto scomodare qualche frase più su... Uno dovrebbe - accidenti - imparare ad accettare il "presente" senza troppe pretese, senza paure, senza rimpianti, senza eccessiva nostaglia. Dovrebbe. Dovremmo. Ma non è (mai) facile e pure questo lo si sa (lo sappiamo).

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