Domenica 18 maggio del 2025
È domenica mattina e hai proprio voglia di uscire in bici, fare almeno 2 ore di corsa, tutta pianura tranne la salita sul monte da cui si vede tutta la città del Sud del Sud della Spagna in cui ormai vivi da più di 10 anni. È domenica mattina e il sole splende già alto in cielo, quando qualcuno ti avvisa via Whatsapp: "Questa notte è venuto a mancare M. Ne danno il triste annuncio la moglie e i due figli".
Non te l'aspettavi. Tu ed M. avete cenato insieme poche settimane fa, dopo un incontro letterario in cui hai conosciuto uno scrittore interessante e un critico che ti sta subito simpatico. M. si lamentava del fatto che non digeriva più bene come una volta. 82 anni e un fisico asciutto, M. era solito fare 10 chilometri a piedi tutti i giorni, anche se fumava, non era proprio riuscito a togliersi il vizio (una sigaretta al giorno, non di più, ma da sempre, da quando era un giovane promettente poi diventato Ordinario di Teoria della Letteratura e Letterature Comparate).
Tu ed M. avete condiviso anche un'esperienza molto bella l'estate scorsa, ad agosto: una sorta di tour letterario tra l'Abruzzo e il Lazio, con una visita e lettura pubblica di Memorie di Adriano, lo splendido romanzo di Marguerite Yourncenaur, presso la Villa Adriana di Tivoli.
Tu ed M. non avevate gli stessi gusti letterari, ma vi rispettavate, lui leggeva le tue recensioni con interesse e tu leggevi le sue e glielo facevi sapere, quando lo trovavi sul giornale. Su uno scrittore "rosso" non eravate per niente d'accordo: per lui era un estremista, per te un poeta, un romanziere dotato di uno stile più vicino alla poesia che alla narrativa.
M. è morto e bisogna prendere la macchina per andare a dargli l'estremo saluto all'obitorio del suo paesino d'origine, in campagna, accanto al cimitero. Siete tra i primi: non c'è ancora la fila dei parenti più stretti, solo la moglie, in lutto, con le occhiaie e il dolore inconcepibile di chi ha perso la sua anima gemella, e i due figli, uno frastornato, mentre beve un caffè appena prelevato dal distributore automatico, l'altro in maglietta e jeans accasciato su una sedia d'ospedale.
Ti dici che no, non vuoi vedere M. nella camera ardente, non vuoi, non t'interessa proprio vederlo da morto, non ci pensi neanche, e, invece, la tua compagna d'avventure e di viaggi ti spinge a entrare. C'è un divano e in un angolino un tavolo pieno di pastarelle e fiori (chissà chi li ha portati fin qui a quest'ora del mattino, una domenica soleggiata di fine maggio di primo mattino) e poi, girando l'angolo, c'è lui, è M. anche se non lo vorresti vedere, è M. sfigurato dalla malattia, dimagrito così tanto da non sembrare lui, fai fatica ad associare quel volto, il volto del cadavere, con quello di M. quando era ancora un professore vispo, intelligente, attento e pieno di senso dell'ironia.
Il giornalista che scriverà il necrologio te lo manda in anticipo sul cellulare: dice di M. che era un uomo buono, un ricercatore instancabile, un docente amato dai suoi allievi e dai colleghi, una persona stoica, che amava la vita, ma che sapeva che la vita ha una fine...
La neovedova ti abbraccia. Vi abbracciate e uscite fuori, a prendere una boccata d'aria. Poi lei rientra perché arrivano i parenti, altri membri della famiglia, gli amici di una vita, i vicini di casa, tutti sorpresi dalla notizia, nessuno si aspettava una malattia così fulminante...
Tu resti fuori, guardi un cartello: "Si cerca gestore del bar dell'obitorio; urgente; chi fosse interessato chiami a questo numero...", e ti fermi a riflettere sullo strano paradosso e constrato tra un obitorio (luogo di dolore e pianti) e un bar (luogo di vita e sorrisi). Chi mai avrà voglia di prendere in mano la gestione di un bar all'interno di (o adiacente a) un obitorio che si trova a pochi metri dal cimitero del paese? Chi potrebbe averne il coraggio o il fegato? E cosa diavolo c'entra un bar in un luogo come questo?
La vita va avanti, mentre la morte ha portato via un amico, un professore universitario che ha avuto molteplici riconoscimenti accademici e umani da parte di chi lo ha considerato un "maestro". La vita va avanti, la donna delle pulizie ti dice che puoi stare, sei seduto sulla panchina antistante il bar chiuso, le dici "Non si preoccupi, me ne sto andando" e solleciti la tua compagna di viaggi e d'avventure, "non ce la faccio più a stare qui, andiamo via".
Quando torni a casa, ti prepari un piattone di pasta con il pesto di Giovanni Rana. Poi la prendi la bici e fai davvero 50 chilometri. Arrivi davvero in vetta, lì da dove si vede tutta la città. E poi viaggi in macchina nel paese sulla costa in cui si trovano le tue figlie, saluti tua suocera, parlate di M., lei non lo conosceva, ma l'aveva sentito spesso nominare in alcune conversazioni.
Alle 20:00, presso la Cineteca, danno "8 e 1/2" di Fellini. Ci vai perché hai voglia di non pensare alla morte, ma dopo pochi minuti ti rendi conto che Fellini ha girato quel film proprio per parlare di morte, o di morte dell'ispirazione, di crisi d'ispirazione, di morte dello spirito di un regista che non sa più cosa raccontare. Il finale ti fa piangere, non puoi evitarlo: sarà la sesta volta che vedi "8 e 1/2" e per la sesta volta non trattieni le lacrime davanti a quel balletto finale, con quella musica incredibile di Nino Rota che ti fa volare, ti trasporta dentro il film e dentro i ricordi che conservi del finale, quel bambino che è Guido da piccolo e che con quel mantellino bianco diventa un puntino luminoso in mezzo all'enorme oscurità di un circo (e un cerchio) che si chiude proprio quando sembrava che ormai tutto fosse perduto, che la sfida era persa, che la crisi non era superabile, e invece sì, Guido la crisi la supera accettando i suoi difetti, convivendo con tutti quei personaggi che sono le persone più importanti della sua vita, una vita fatta di menzogne, di tradimenti, di salti temporali, di ricordi e di oblio, di tanta voglia di raccontare e di crisi d'ispirazione, di un balletto che è la danza della Morte e la danza della Vita...