jueves, diciembre 11, 2025

 La luce e l'onda. Cosa significa insegnare? di Massimo Recalcati (Torino, Einaudi, 2025) [una nota a pie' di pagina]





Del succitato saggio di Massimo Recalcati (comprato al volo all'aeroporto Galileo Galilei di Pisa), vorrei citare solo una nota, che mi ha colpito e mi ha ricordato la domanda di un lettore di circa 70 anni (mio fedele alleato ai caffè letterari che organizzo grazie all'appoggio delle Biblioteca Regionale della città del Sud del Sud della Spagna in cui vivo): mi riferisco alla nota 33, p. 52:

"Non a caso Schopenhauer riteneva che il pensiero degno di questo nome sorgesse solo dal dolore in quanto punctum pruriens della metafisica, ovvero da un reale traumatico che non può essere neutralizzato da nessun sapere. Cfr. A. Schopenhauer, Supplementi al Mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Roma-Bari 1986, p. 178".

Ecco: la domanda del mio lettore settantenne era la seguente: "Ma quindi si scrive solo quando si sta male?". E io gli risposi (davanti ad altri 24 lettori attenti e fedeli alle mie proposte letterarie): "Credo di sì, perché quando si è felici si vive o si cerca di spremere al massimo la felicità, ma è quando si è tristi o si cade in depressione che ci si rinchiude in se stessi, si pensa, e, quindi, si può anche arrivare a scrivere. Io non credo che Joyce avrebbe mai partorito l'Ulisse se fosse stato un uomo felice; né Proust la Recherche; né Kafka La Metamorfosi; né Cervantes il Quijote, che è pure un libro che fa ridere, pieno di battute e di scenette comiche, ma partorito in un momento non certo facile per l'autore, ormai dimenticato da tutti e senza grandi speranze per il futuro".

Ecco: una delle cose che si apprezza del saggio (l'ennesimo) di Recalcati sull'insegnare è proprio questo: per insegnare, per generare conoscenza, bisogna pensare e pensare non è né facile né scontato né scevro da sacrifici e sudore. Il problema più grande che ci si trova davanti, quando si entra in un'aula (e non mi riferisco solo a quelle delle scuole medie e superiori, ma anche a quelle universitarie, che sono le aule che sono solito frequentare per lavoro) è che ci si ritrova davanti a una massa di giovani che non vogliono pensare o che non immaginano che per pensare bisogna soffrire, frenare, rallentare, sudare, soppesare pro e contra, collegare, dedurre, insomma, sforzarsi molto (senza l'illusione che internet sia la soluzione a tutti i dubbi, l'enciclopedia infallibile in cui c'è tutto).

Ecco perché per me non c'è mai una lezione uguale all'altra, è letteralmente impossibile impartire la stessa tematica allo stesso modo (anche se gli appunti potrebbero essere gli stessi da anni - e in realtà ogni anno c'è un'aggiunta, una nota al pie in più, un commento che critica quello dell'anno prima, un riaggiustamento costante). Ogni lezione è davvero una sfida, una lotta, un'avventura, un'opzione tra mille che cambia a seconda del pubblico e delle reazioni di questo pubblico. È una scommessa che uno fa su se stesso e sugli altri, in nome della fatica di pensare o ripensare ciò su cui si è già riflettuto, è pensare di nuovo, rischiare sempre, rielaborare sempre il già letto o già scritto e pensato.

Ma come coltivare il pensare in un mondo accelerato? In una società dove si vuole sempre tutto e subito e in cui ogni minimo intoppo o lentezza è vissuta come sconfitta? Per pensare (per leggere) occorrono ingredienti (strumenti) molto poco quotati nel mondo contemporaneo: lentezza, calma, riflessione, concentrazione, solitudine, silenzio. Forse soprattutto queste ultime due cose: la solitudine e il silenzio. Dove andarle a trovare? Come ottenerle? E la scuola (e l'Università) non dovrebbero essere invece i luoghi della condivisione e della parola? Certo: ma per una condivisione e una parola efficaci, costruttive, bisogna prima aver coltivato bene il pensiero. E dunque, di nuovo, solitudine e silenzio come elementi centrali da cui (ri)partire. Ma chissà che paura fanno la solitudine e il silenzio a tanti (e non mi riferisco solo ai giovani, né solo agli studenti di ogni ordine e grado).

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